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500 milioni disinteressati

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

A conclusione di una settimana a dir poco turbolenta allo Stabilimento Petrolchimico di Gela, il 29 gennaio scorso è arrivata la notizia attesa da mesi: il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha dato parere favorevole, approvandoli, agli investimenti, ridottisi oramai a 500 milioni di euro, stabiliti dai vertici della società, “Raffineria di Gela s.p.a.”, controllata dall’Eni. Tale verdetto elimina ogni vincolo all’avvio dei molteplici lavori tesi all’ottimizzazione delle opere di bonifica ambientale e di rafforzamento della produzione energetica: dai sindacati ai vertici locali della struttura aziendale, il presidente, Giuseppe Ricci, e l’amministratore delegato, Battista Grosso, passando per la forza lavoro, sempre più impegnata nella tutela dei diritti fondamentali, in prima fila quello all’occupazione, la reazione è stata quasi univoca, era ora insomma.

Lo Steam Reforming, per la produzione di idrogeno, il Klaus, destinato alla riduzione dello zolfo generato dai carburanti, il serbatoio da 120 mila tonnellate necessario ai fini delle operazioni di stoccaggio del petrolio grezzo, la copertura del parco coke e la nuova sala controllo, non saranno solo mere ipotesi vagliate dagli esperti, trasformandosi, al contrario, in opere da realizzare entro un termine determinato. L’approvazione degli investimenti, come ovvio, scongiura il paventato rischio di una “seconda Termini Imerese”: i lavoratori dell’indotto, e non solo, attendono una fase di stabilità, all’indomani del totale conflitto.

Ancor prima della “fatidica” decisione ministeriale, però, iniziavano a circolare, anche in seno al massimo consesso civico, alcune ipotesi legate al vaglio positivo della richiesta avanzata dal gruppo Eni. Coincidenze oppure verità connesse a scelte strategico-economiche predisposte da gruppi industriali influenti all’interno del territorio regionale? Il decisivo sblocco dei famigerati 500 milioni di euro giunge, indubbiamente, a conclusione di un iter, lungo ed articolato, immessosi su favorevoli binari attraverso il placet rilasciato dall’attuale reggente del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l’esponente del Pdl, Stefania Prestigiacomo. Nelle stesse ore, proprio all’interno dello sconfinato perimetro della raffineria gelese, iniziavano, senza destare alcuno scalpore, praticamente in punta di piedi, i primi lavori finalizzati alla realizzazione di taluni insediamenti aziendali: alcune “baracche”, utilizzate quali punti di riferimento delle entità economiche operative nel vasto indotto gelese, prendevano forma. Ma chi dovrà occuparle?

Alcune fonti interne individuano, senza alcun dubbio, gli ospiti negli operai dell’azienda, “Coemi s.p.a.”, con sede a Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa.  La società aretusea, attiva nel settore elettromeccanico, già titolare di diversi lavori commissionati anche da “Isab Energy s.r.l.”, “Erg Petroli s.p.a.” ed “Agip Petroli s.p.a.”, in prevalenza presso il triangolo industriale, Priolo-Melilli-Augusta, ha infatti deciso di ampliare il raggio d’azione, spingendosi fino al polo industriale di Gela. La “nuova arrivata” è solo una delle tante propaggini di un più ampio conglomerato economico-finanziario, la holding, “Fincoe s.r.l.”, con sede a Casalecchio sul Reno, in provincia di Bologna, controllata, attraverso una quota pari al 21,5%, proprio dall’attuale ministro, Stefania Prestigiacomo, affiancata, con la medesima percentuale, dalla sorella Maria Pia e dal padre, Giuseppe, titolare, invece, del 9,7%.

La “Coemi s.p.a.” è, dunque, sotto stretta tutela della famiglia Prestigiacomo (la Fincoe s.r.l. possiede il 99% dell’azienda elettromeccanica), tanto da detenere il 59,1% della “Vetroresina Engineering Development”, altra creatura del gruppo. Mentre da Roma Stefania Prestigiacomo autorizzava investimenti da 500 milioni di euro, tutelando gli interessi primari di produttività della “Raffineria di Gela s.p.a.”, e con questi quelli di centinaia di famiglie, un’azienda da lei controllata si insediava nel medesimo sito industriale, in attesa di partecipare alle gare d’appalto generate dallo sblocco tanto atteso.

Il gruppo Prestigiacomo, da decenni fra i protagonisti della dimensione economia regionale, tanto da essere rappresentato anche in seno al massimo consesso locale, Confindustria Sicilia, ha voluto adottare, perlomeno nel sito gelese, una politica di basso profilo: innestandosi attraverso l’affidamento di un contratto aperto, di durata triennale, ottenuto mediante l’appoggio garantito alla società, “Elettroclima s.n.c.” di Orazio Bonincontro e Nuccio Libertà.  L’accordo, stando a quanto trapelato all’esterno dei cancelli della fabbrica, consentirebbe al personale dell’azienda gelese di concentrarsi sulle manutenzioni ordinarie, prevedendo un intervento della forza lavoro in dotazione alla “Coemi s.p.a.” nei casi di commesse strategicamente più impegnative e complesse.

Ma il vero scopo perseguito dalla società di famiglia sarebbe ben altro; alcuni addetti ai lavori, sentiti per ricostruire le tappe di quest’ingresso, sono convinti che una realtà del calibro della “Coemi s.p.a.” abbia un limitato interesse all’ottenimento di commesse di “basso cabotaggio”, ambendo, viceversa, alla gestione dei grossi appalti che inevitabilmente verranno assegnati non appena i lavori per la realizzazione dei nuovi impianti, resi possibili dall’autorizzazione ministeriale, si avvieranno: un investimento da 500 milioni di euro, qualora si concretizzasse per intero, non potrebbe che far gola a tutti.

“Aspettate un paio di mesi e vedrete se la Coemi non si aggiudicherà un bel po’ di lavori, soprattutto quelli grossi”, questa la previsione formulata da un’altra fonte, assai informata sull’argomento. A questo punto non resta che attendere: mai, come oggi, Roma e Gela sono apparse tanto vicine.

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