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Dentro “Pandora-Matrix”

Di Luigi Spera il . Campania



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I particolari, i dettagli e gli
elementi utili per poter parlare di un’inchiesta come di un’ottima
inchiesta, con un risultati che vanno oltre la norma, sono diversi.
L’ordinanza della Dda di Napoli, che ha sgominato il clan
Limelli-Vangone li raccoglie tutti. Prima di tutto il blitz di
guardia di finanza e carabinieri, che ha portato in cella 86 persone,
ha di fatto decapitato un clan potentissimo. E poi, con le indagini
del nucleo di polizia tributaria delle fiamme gialle guidato dal
colonnello Sandro Baldassari, è stato chiarito più che in ogni
altra occasione il fatto che connivenze di professionisti e
imprenditori apparentemente senza macchia, colletti bianchi, troppo
spesso gravitano nell’orbita dei clan e li rendono talvolta più
forti e capaci di sottrarsi al controllo della legge.

Ma la fine criminale del superboss
Giuseppe Gallo rappresenta qualcosa di più, qualcosa di più utile
anche per guardare con gli giusti occhi il fenomeno camorristico.
Quello attivo alle falde del Vesuvio, un clan certamente storico e
con radici ben piantate nello scacchiere criminale da decenni, è
potuto crescere fino a diventare una delle cosche più forti ed
economicamente rilevanti della Campania, anche alimentandosi in un
territorio piccolo, come quello dei comuni di Boscotrecase e
Boscoreale, lontano dalle luci dei riflettori del capoluogo, che
troppo spesso finisce per essere identificato come l’unico o
maggiormente determinante nel parlare di camorra. L’ordinanza
“Pandora-Matrix”, come tante indagini sui clan dei
Casalesi, ha dimostrato ancora una volta che non è così. Altro
dettaglio che le indagini della guardia di finanza lasciano alla
letteratura criminale, e che è emerso nel corso delle
investigazioni, è certamente quello che definisce ancora una volta
come determinante nella valutazione della rilevanza di un clan non
tanto la potenza di fuoco, piuttosto la disponibilità di liquidi.
Quei milioni di euro che Gallo era in grado di ‘muovere’ liquidi e in
contanti nel giro di poche ore. Cash uguale potere si direbbe.

Oltre ai meriti da statistica, i
milioni di euro sequestrati, gli oltre 700 chili di cocaina
sequestrati e gli affiliati assicurati alla giustizia, sono questi i
motivi di orgoglio di cui il Gico guardia di finanza napoletana può
farsi vanto al termine del blitz della scorsa settimana.
Un’operazione con un’ordinanza da 2052 pagine che di certo dovrebbe
finire nella letteratura camorristica per l’importanza che ha
rivestito. Ne è consapevole il comandante del Gico, il colonnello
Antonio Nicola Quintavalle Cecere che ha guidato i sei investigatori
della prima sezione “Criminalità Organizzata” che hanno
lavorato in questi anni per rendere possibile tanto.



Colonnello Quintavalle, non è un
indagine di routine come tante questa…

Assolutamente no, bisogna avere la
sensibilità di capire che è stato sgominato un clan che aveva un
controllo del territorio spaventoso, una realtà criminale davvero
rilevante. Questo anche causato dal legame familiare tra la maggior
parte degli affiliati che da solidità e compattezza al gruppo. Il
controllo del territorio da parte dei Limelli-Vangone, era tanto che
in pratica il comune di Boscotrecase era diventata una vera e propria
cittadella privata. Con vedette piazzate praticamente ovunque sia a
rilevare eventuale presenza di forze dell’ordine sia personaggi di
clan rivali. Con un sistema di video sorveglianza che dagli ingressi
al comune arrivava fino alla villa del boss. Ovviamente gli affiliati
giravano armati e operavano con una violenza spaventosa e
spavalderia. Basti pensare che per punire un soggetto che aveva preso
soldi al clan, gli uomini della cosca hanno effettuato delle vere e
proprie indagini per risalire al luogo dove si nascondeva, poi una
volta preso, lo hanno ‘portato a fare un giro’.

Colonnello, la guardia di finanza, ha
capacità tecniche e logistiche che permettono una pervasività nelle
indagini che fanno tremare i polsi alle organizzazioni criminali…

E’ vero. Oltre alle indagini statiche,
siamo in grado di operare delle indagini dinamiche: quello che
definisco un ‘ascolto economico’ per risalire ai prestanome delle
organizzazioni criminali che permettono di ripulre il denaro sporco e
il reinvestimento di capitali. E perciò quest’indagine, iniziata
come una investigazione per un traffico di cocaina, ci ha permesso di
arrivare a definire un patrimonio illecito e apparentemente lecito,
che grazie a soggetti legati al clan, riusciva a emergere
dall’illegalità. Apparentemente. Le indagini sono state lunghe anche
per questo. Ci siamo resi conto di aver di aver incrociato il clan
più importante della zona vesuviana. A livello criminale tale da
poter essere posizionato al livello degli scissionisti della zona di
Scampia-Secondigliano. E ci siamo arrivati vivendo le indagini.

Il personaggio che guidava le sorti del
clan a soli 34 anni era davvero un boss di grande spessore…

Gallo, era un boss ‘vecchia scuola’.
Temuto da tutti, riusciva a esercitare un controllo diretto su tutte
le attività del clan. E, tanto nei suoi affari quanto nel ‘suo’
territorio non si muoveva una foglia se non disponeva lui. Quello che
fa impressione poi è il controllo che aveva del clan. Abbiamo
verificato che in qualche occasione ha fatto direttamente lui la
staffetta, ha seguito i camion che trasportavano la cocaina per
rendersi conto personalmente tutto. Durante i viaggi poi chiamava in
continuazione i responsabili delle colonne per conoscere
continuamente il tragitto. Anche la madre aveva soggezione del
figlio, nonostante quando lui non ci fosse era lei a sostituirlo.
All’inizio avevamo certo cognizione che avevamo a che fare con un
capo dal grande spessore criminale ma solo andando avanti con il
lavoro abbiamo capito quanto grande fosse. Disponeva di grande
liquidità. Milioni di euro che gestiva con facilità e con una
velocità impressionante. Una forze che gli deriva anche dal padre,
grande trafficante di cocaina e personaggio storico della malavita
campana (Pasquale detto ‘o russ, ndr).

Ma nella cosca ruoli importanti erano
anche nelle mani delle donne?

Certo i vertici avevano forti legami
parentali tra di loro, come da tradizione. Le donne in questa
indagine hanno avuto un’importanza fondamentale sin dall’inizio.
Oltre la madre che di fatto gestiva tutto a nome del figlio quando
luo non c’era e anche la sia compagna, le sorelle e altre donne che
erano le uniche persone che tenevano in mano le casse della cosca e
che si occupavano di tenere la cassa, di prestiti, stipendi agli
affiliati e ogni tipo di azione economica.

Una rete quella nelle mani di Pepp ‘o
pazz cresciuta in maniera esponenziale…

Possiamo certamente parlare di una
holding criminale a tutti gli effetti. Il boss Forniva cocaina anche
a clan grandissimi e potenti e con un radicamento storico sul
territorio. Per far capire il peso criminale del personaggio anche a
livello internazionale, va detto che addirittura aveva la possibilità
di comprare a credito la cocaina dai colombiani. Una possibilità
praticamente sconosciuta. Mai o quasi si è avuta notizia che i
colombiani e i sudamericani concedano quintali di cocaina senza
pagamento immediato, se non anticipato. E se Gallo poteva
evidentemente poteva garantire in ogni caso una copertura economica a
ogni affare.

Poi c’è tutta la questione relativa
alla finta pazzia.

Dal 2001 in poi oltre che sul capoclan
sono state effettuate molte perizie per diversi componenti del clan,
sempre per cercare con diagnosi finte di tirarsi fuori dal carcere.
Gallo percepiva anche la pensione per questo: 699 euro per una
diagnosi pilotata.

Colonnello, come iniziano le vostre
indagini?

Tutto è iniziato quando è stata
fermata casualmente per un controllo la vettura di Carmela Gallo,
sorella del capoclan. Nell’auto aveva assegni, denaro contante per
18mila euro e documenti falsi. Da qui, analizzando le carte siamo
arrivati all’amministratore di una società che era collegata al
clan. A seguito di una perquisizione il soggetto in questione,
vittima di un’estorsione indiretta da parte dei Limelli-Vangone, ha
iniziato la sua collaborazione. Da quel momento, dopo aver definito
un primo scenario siamo partiti intercettazioni ambientali,
telefoniche con oltre 500 utenze monitorate e telematiche che ci
hanno consentito di costruire l’organigramma della cosca e dei suoi
affari.

C’è stato qualcosa, un passaggio
nell’indagine che ha accelerato il vosto lavoro?

Certamente il sequestro del libro
mastro del clan. In una perquisizione siamo venuti in possesso del
documento che certificava, ogni iniziativa economica, soprattutto per
quanto riguarda la droga. Lì erano segnati nominativi degli
acquirenti, quantità di cocaina ceduta, pagamenti e altre
informazioni di gestione. Così siamo anche risaliti ai canali
esterni di approvvigionamento.

La cocaina era certamente il capitolo
di bilancio più corposo…

Pensi che durante il periodo di
indagini abbiamo portato a termine operazioni con il sequestro di
complessivamente oltre 700 chilogrammi, un’immensità. Anche se poi,
abbiamo certificato che dopo aver subito il sequestro, il clan si è
subito organizzato.

Come arrivava la droga in Italia, qual
era l’iter?

La droga arrivava dalla Colombia con i
narcotrafficanti locali. A tenere i contatti con loro era Gallo.
Abbiamo verificato che quando lui chiamava, a rispondere da Valencia
erano le donne dei narcos, un’abitudine questa proprio dei cartelli
sudamericani in cui gli uomini evitano di parlare a telefono. A
effettuare le operazioni era Gallo, spesso chiamava da cabine
telefoniche. Una volta raggiunto un accordo, in Spagna si recavano
alcuni fedelissimi di Gallo, Michele Sorrentino o Michele Ronga
principalmente. Quando venivano in possesso della droga, la
provavano, effettuavano le loro verifiche e poi chiamavano Gallo che
dava l’assenso. Già in Spagna veniva fatta una prima divisione della
droga e spesso i carichi venivano suddivisi in loco. A volte
partivano due camion a distanza di un giorno, per evitare in caso di
sequestri di perdere tutto il carico. Una volta arrivati in Italia,
il viaggio di solito subiva uno stop in Lazio. Usciti a Cassino si
recavano nel comune di Santi Cosma e Damiano, dove in un capannone
veniva stoccata la cocaina e divisa. Da lì prendeva varie direzioni.
Nord, Roma e, in maggioranza la Campania. Fino a Boscotrecase, luogo
ultimo di arrivo veniva effettuata una nuova staffetta. Non ci sono
sempre arrivati però. Li abbiamo fermati tre volte, mandando in fumo
oltre 700 chili di cocaina che gli avrebbero fatto guadagnare ben 75
milioni di euro.

Dove finiva in particolare questo fiume
di droga?

Gallo era a tutti gli effetti un broker
internazionale. Era lui un riferimento per decine di altri gruppi o
clan sia della Campania che di altre zone. Anche clan importanti e
storici come i Gionta che hanno gestito piazze di spaccio di grande
rilievo si sono quasi sempre rivolti ai Limelli-Vangone e a Gallo per
l’approvvigionamento. Oltre le cosche della mala locale, aveva attivo
un canale siciliano, dove faceva giungere droga a Palermo. E poi
Roma, alla famiglia Damiani, romani che gestivano un vasto giro nella
Capitale venivano venduti anche 20-30 chili di cocaine per volte.
Altre partite di cocaina arrivavano a Milano, dove venivano spacciati
sempre da gruppi originari del posto. Nel corso delle indagini è
però emerso anche che da lui si sono riforniti i potenti clan di
Secondigliano, Scampia (piazza più grande d’Europa, ndr) e
Piscinola. Capita spesso che se i clan di territori diversi vanno in
difficoltà per recuperare la cocaina dai propri canali e così
chiedono appoggio ad altri clan. E’ successo così con i napoletani
che si sono così rivolti a Gallo, che pareva avere davvero pochi
problemi.

E i soldi passavano sempre per il
riciclaggio?

Si è emerso che Agostino Balzano,
sconosciuto colletto bianco era ul collegamento tra organizzazione e
i suoi soldi e le attività commerciali lecite, era un vero e proprio
consulente finanziario. E’ stato lui ad avviare i due ristoranti che
poi sono stati gestiti dalle sorelle del boss, ed era lui che aveva
rapporti con gli altri operatori finanziari che operavano in favore
del clan. In una intercettazione si sente che uno dei promotori
finanziari pure finiti in cella dice a Balzano “se quel tuo don
Peppe ci dava altri soldi, con quell’investimento ci facevamo anche
di più. Abbiamo verificato che Balzano era anche il collegamento con
Bruno Passaretti imprenditore con un ruolo chiave nelle indagini.

Avete sequestrato ben 65 milioni di
beni al clan e forse non avete ancora concluso, che importanza ha
questo aspetto, il sequestro?

E’ assolutamente importante perchè
togliergli i soldi toglie ai clan la linfa vitale è li mette in
ginocchio. con gli arresti si tagliano i rami, con il sequestro si
recidoni le radici.

Si fa più volte riferimento a
prestanome, come si diventa prestanome di un clan?

Ci sono due modi, uno è quello dei
approfittare di imprenditori che in difficoltà economiche e senza
avere la possibilità di ottenere prestiti per via legale si
rivolgono al clan per avere spesso denaro liquido, che alla camorra
non manca mai. Troppo spesso però, non potendo onorare i prestiti,
finiscono per diventare complici, e il clan entrano nelle loro
aziende come soci occulti. E in quest’ordinanza si è assistito più
volte a questa dinamica.

C’è un esempio degno di nota
nell’ordinanza?

Uno dei soggetti coinvolti, il titolare
della Soretex di Ottaviano, ditta di abbigliamento che addirittura
aveva appalto con la pubblica amministrazione per la fornitura di
divise per le forze dell’ordine. Alla prese con carenza di liquidità
e non potendo avere accesso al credito, anche per i pagamenti
postecipati della pubblica aministrazione, è ricorso a un prestito
dal clan. Alla fine i Limelli-Vangone si sono infiltrati nell’azienda
ee anche grazie a questa ditta hanno fatto emergere il loro denaro
sporco.

Al danno la beffa, in questo gioco di
riciclaggio e reinvestimenti a finire danneggiati sono anche, ancora
una volta, gli imprenditori e commercianti onesti…

Certo, questo è un dato non certo
trascurabile. E’ chiaro che avendo una gestione illegale, le aziende
collegate alla cosca operano anche una concorrenza sleale e un
inquinamento commerciale a danno dei cittadini onesti con costi che
vengono abbassati del 40% a danno di chi quei prezzi non può farli,
perchè deve rispettare le regole del mercato.

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