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Diego e quelle foto, quando Maradona fuggì dalla Procura

Di Giovanni Marino (Repubblica Napoli) il . Campania

Sono in balia di fan scatenati. E,
spesso, equivoci. E’ il destino dei calciatori, di quelli famosi
soprattutto. E a Napoli, piazza “fanatica” del pallone, la
cosa inevitabilmente si ripete. Adesso ci sono le immagini di Marek
Hamsik, Fabio Cannavaro e Roberto Carlos, del tutto ignari di chi
fosse la persona che aveva chiesto di farsi una foto con loro. Ma il
primo grande caso fu quello del campione dei campioni, Diego Armando
Maradona, immortalato in casa del clan Giuliano. Con tanto di vasca
da bagno a forma di ostrica, icona del kitsch camorrista, a far da
sfondo. Storia nota. Meno conosciuto è il verbale di interrogatorio
del Pibe davanti al magistrato della Procura. E una sua inaspettata
fuga, in senso letterale, davanti alle domande del pm. Ecco come
andò.

IL DOSSIER CRIMINALPOL 

E’ il 28 settembre del 1989.
Diego è convocato nel vecchio tribunale di Castelcapuano dal
pubblico ministero Federico Cafiero de Raho. Non è indagato nè
imputato di alcunché. Ma l’inquirente, all’epoca sostituto
procuratore di punta dell’anticamorra e, in seguito, primo a scoprire
intrighi e affari del clan dei Casalesi, vuol sentirlo come
testimone. Il motivo? Da qualche giorno sulle pagine dei giornali
sono finite le immagini del capitano del Napoli “ospite”
della famiglia Giuliano, i ras di Forcella. Si tratta di scatti
contenuti in un rapporto della Criminalpol firmato dal capo
dell’ufficio, Matteo Cinque dopo una perquisizione nell’abitazione di
Carmine Giuliano, in quel periodo latitante. Scrive Cinque (che poi
sarebbe divenuto questore di Palermo): “Non sfugge a questo
ufficio la strana presenza di Maradona in compagnia di pregiudicati e
inquisiti ritenuti organizzatori del lotto e toto nero, fonte
primaria di sovvenzione della camorra. Appare opportuno procedere a
ulteriori accertamenti onde acclarare il ruolo di Maradona in questo
contesto, qualora l’autorità giudiziaria lo disponga”. Allegate
al rapporto, ben 71 fotografie. Tre anni dopo scatta la verifica
perché Diego, che aveva ritardato il suo rientro in Italia, lancia
strani messaggi e, in sostanza, si dice spaventato dalla camorra.

QUEL
DRIBBLING AL PM

In campo, quel Maradona è un leone indomabile. In
Procura, un giovane incerto e spaurito. Cafiero de Raho inizia
l’interrogatorio, prima domanda scontata: “Signor Maradona,
perché in un comunicato ha annunciato di voler restare in Argentina
spaventato dalle minacce camorristiche? Quali sono queste
intimidazioni?”.  La risposta, con voce flebile: “Giudice,
quel comunicato l’ho fatto perché la stampa diceva cose incredibili
sul mio mancato rientro ma io, in realtà, volevo dire un’altra cosa:
volevo sottolineare la mia paura per il comportamento dei tifosi. Era
un appello alla società del Napoli affinché mi tutelasse prendendo
adeguate misure per evitare la reazione incontrollata dei tifosi”.
Il numero 10 pensa di averla chiusa lì. Non è così. Arrivano altre
domande e l’argentino viene assalito dal panico. Sgrana gli occhi,
farfuglia qualcosa e con uno sprint inatteso imbocca la porta e prova
una serpentina per sfuggire al magistrato negli angusti corridoi
della Procura. Cafiero de Raho resta di sasso. Fortuna vuole che, ad
attenderlo in quegli uffici ci sia anche il suo avvocato di fiducia,
Vincenzo Maria Siniscalchi. E’ lui a convincerlo a ritornare davanti
al pm.

IL PIBE E GIULIANO 

Angosciato, Maradona siede ancora in Procura e prova a rispondere
agli interrogativi del magistrato. Non è proprio convincente. Dice e
si contraddice. “Il ritardo nel tornare a Napoli? La camorra non
c’entra. Le foto con i Giuliano? Sì, quel Carmine lo conosco. Lo
vidi in una casa in cui fui portato da Palummella, come è chiamato
il nostro capotifoso della curva B, Gennaro Montuori. Ricordo
vagamente quel giorno: finito l’allenamento del pomeriggio Palummella
mi condusse in un club di tifosi dove mi fermai a parlare con alcuni
di loro e fui invitato a cena da un tale”. Cafiero lo interrompe
e gli mostra le foto. “Sono io in una casa con certe persone…
voi mi dite che si tratta di gente della famiglia Giuliano… io, io
riconosco i posti in cui venni portato quella sera dopo
l’allenamento. Anzi, ecco la foto della vasca a forma di ostrica dove
compaio con un ragazzo dal pullover rosso: beh, mi hanno detto che
quello era un altro capotifoso del Napoli, un altro di quelli che mi
invitarono a cena. Oltre a lui riconosco Carmine Giuliano. Poi nessun
altro”. Vi siete rivisti?, chiede Cafiero. “Con Carmine sì,
sei mesi fa, al ristorante Rosolino. C’era un matrimonio a cui
Palummella mi aveva chiesto di intervenire. D’altronde mi capita
spesso di essere invitato dai tifosi a manifestazioni di vario
genere. Non prendo soldi per tutto ciò, però mi danno premi, targhe
e regali. Comunque ero all’oscuro di chi si sposava quel giorno e
incontrai Giuliano casualmente. Con lui non ho avuto altri rapporti”.

ALLARMI E RASSICURAZIONI 

Maradona appare confuso anche nell’ultima dichiarazione dove
alterna paure a rassicurazioni. Dice: “Signor giudice, da quando
sono rientrato a Napoli continuano a chiamarmi: telefonate anonime in
cui mi insultano pesantemente e dove mi dicono di tornarmene in
Argentina. Ma per quanto riguarda la camorra vi assicuro di non aver
mai chiesto protezione ad alcun delinquente famoso o meno famoso. Io
non tratto napoletani camorristi. Anche se conosco moltissime persone
a causa della mia notorietà”. Diego non fornisce elementi utili
per proseguire l’indagine. La vicenda finisce lì. Non la sua partita
con la giustizia che proseguirà a lungo. In Italia e in Argentina.
Con più sconfitte che successi.

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