La ferita, per non dimenticare
Curato da Mario Gelardi autore e regista teatrale (sua è la trasposizione per il palcoscenico di “Gomorra”, il romanzo verità di Roberto Saviano), “La ferita” è una bella opera di scrittura a più mani, frutto dell’indignazione e della speranza. Indignazione di fronte alle storie sconosciute delle vittime di camorra, vere e proprie ferite inferte alle famiglie e alla società. Speranza, invece, per la consapevolezza delle tante opere positive che il ricordo di questi innocenti ha generato nelle nuove generazioni. A partire da quanto sarà ricavato dalla vendita del libro che andrà devoluto alla nuova cooperativa di Libera nel casertano, “Le Terre di Don Peppe Diana”.
Ed è proprio pensando ai giovani che gli autori mettono insieme un racconto collettivo, costruito rievocando, ora in prima ora in terza persona, i tanti percorsi di chi ha incrociato fatalmente i traffici della criminalità organizzata. Sono storie da non dimenticare assolutamente, per non uccidere tutte queste persone una seconda volta, imponendo loro un polveroso oblio dopo la tragica fine. La memoria diventa l’unico antidoto possibile al dolore, per dare un senso alla tragedia.
Il libro si apre con l’intervento che Roberto Saviano pronunciò a Casal di Principe il 23 settembre del 2006: una vera invettiva di segno civile che segnò la condanna a morte dello scrittore, reo di avere infangato il buon nome dei Casalesi nella loro città, un affronto intollerabile.
Allo scrittore Angelo Petrella tocca ricordare Giancarlo Siani, corrispondente da Torre Annunziata de “Il Mattino”, le cui ultime vicende sono state recentemente ricordate nel bel film di Marco Risi “Fortapasc”. Petrella rievoca il coraggioso giornalista adottando un singolare punto di vista, le lenti dei suoi occhiali: “Ci sta un filosofo tedesco, che si chiama Wittgenstein, che dice che la nostra logica è come gli occhiali sul nostro naso: possiamo vedere attraverso le lenti, ma non possiamo vedere le lenti. Però secondo me vale pure l’incontrario: per questo da sopra al naso di Giancarlo non sono mai riuscito a riconoscere bene le espressioni sulla sua faccia. Ma, se ora mi sta ascoltando, sono sicuro che sta ridendo”.
“Un dolore che è come un’isola”: così il curatore della raccolta, Mario Gelardi, descrive il vissuto drammatico della madre di Simonetta Lamberti nel ricordare l’uccisione della figlia, colpevole solo di essere in compagnia del padre, il magistrato Alfonso Lamberti, nemico acerrimo della camorra (29 maggio 1982).
A Rosario Esposito La Rossa tocca il compito di raccontare la storia di Antonio Landieri, un disabile trovatosi suo malgrado in mezzo ad una faida e quindi ucciso il 6 novembre 2004, inizialmente accusato di essere uno spacciatore: “Quando Antonio fu finalmente dichiarato innocente nessun giornale né parlo, nessuna tv. Antonio, nonostante le scuse dello Stato, restava un maledetto punto interrogativo per la giustizia”.
Roberto Russo, autore teatrale, torna agli anni dell’infanzia trascorsa insieme, per celebrare la memoria di Silvia Ruotolo, giovane madre finita tragicamente nella linea di fuoco dei killer dei clan in lotta tra loro, sotto gli occhi innocenti dei suoi due figli. Era l’11 giugno del 1997.
Altra vittima innocente, finita nel piombo di una faida è Annalisa Durante, morta a soli 14 anni il 27 marzo del 2004 e ricordata da Rosario Esposito La Rossa con alcune parole scritte nel suo diario di adolescente innamorata della vita: “Mi piacerebbe volar via. Aprire la finestra e raggiungere il cielo su un arcobaleno”.
L’assenza è, invece, il vocabolo che più ritorna nel brano che Ciro Marino dedica ad Attilio Romanò, 29 anni, ucciso il 24 gennaio del 2005 nel suo negozia di telefonia: “L’assenza di un marito, l’assenza di un padre che sarebbe stato, l’assenza di un figlio, l’assenza di un amico, l’assenza di un fratello. E colma si questa assenza? Come si riempie questo vuoto? È semplice. Questa assenza resta tale. Resta assenza. È nulla più”.
Una fuga verso casa è l’espediente narrativo utilizzato da Giuseppe Miale di Mauro per parlare di Don Peppe Diana, il sacerdote colpito in sacrestia il 19 marzo del 1994 da un killer mafioso, perché “quei colpi sparati in faccia, al petto, non hanno fatto male solo a lui”.
La giornalista de “La Repubblica” Conchita Sannino rievoca la tragica testimonianza di fiducia nella giustizia che una madre, Matilde Sorrentino, uccisa a colpi d’arma da fuoco il 27 marzo 2004, offrì denunciando le violenze subite dal figlio e da altri minori da una organizzazione di pedofili operante a Torre Annunziata.
Gigi Sequino e Paolo Castaldi, uccisi a Pianura il 10 agosto 2004 per uno sbaglio dei killer che pensavano fossero di un clan rivale, sono i protagonisti del racconto di Mario Gelardi che rivive quella tragica sera con le parole di un padre dei due. Altra vittima di cieca e inconsapevole violenza descritta da Conchita Sannino è il musicista rumeno Petru Birlandeandu, vittima di pallottole sparate da un branco di killer che reclamavano la loro signoria nel popoloso rione napoletano di Montesanto (26 maggio 2009).
Nella ricostruzione di Raffaele Cantone rivive il gesto coraggioso dell’anziano farmacista di Baia Domizia (CE), ucciso il 20 settembre 1988 perché si era opposto al pizzo degli estorsori locali. Medesima la parabola civile e umana di Domenico Noviello, raccontata da Daniela De Crescienzo: denunciò i suoi estorsori e venne spazzato via violentemente il 16 maggio 2008 a Castel Volturno. Un’altra storia di pizzo e di coraggio è scritta da Giuseppe Miale di Mauro per ricordare Raffaele Pastore, ucciso il 23 novembre 1997 dopo il netto rifiuto opposto a chi lo voleva taglieggiare.
“Perché solo la coscienza non basta, così come non basta Dio…”: questa la terribile conclusione cui giunge Daniela Sanzone nel rievocare la sorte toccata al piccolo Gioacchino Costanzo, solo due anni, sorpreso il 15 ottobre 1995 dai colpi di arma da fuoco di killer in cerca del loro vero obiettivo.
Una storia ancora tutta in divenire è invece quella raccolta dal giornalista esperto di criminalità ambientale Peppe Ruggiero che ci parla di Don Cesare Boschin, eliminato il 30 marzo 1995; il suo nome non è ancora nell’elenco ufficiale delle vittime di mafia perché le indagini sono in corso, ma sembra che l’origine della sua fine vada cercata proprio nella caparbietà con cui denunciava gli affari delle mafie ai danni dell’ambiente.
Ultimo ritratto di questa ricca galleria è dedicato alla strage di Castel Volturno (18 settembre 2008), in cui persero la vita sei cittadini ghanesi. Una tragica anteprima dei fatti di Rosarno.
Alla fine della lettura di così tante storie, diverse e pur simili nel tragico epilogo, c’è il rischio di pensare che a nulla sia servito il loro sacrificio, ma ci vengono in aiuto le parole di Don Tonino Palmese: “ci sono vivi che puzzano di morte e ci sono morti (come le vittime innocenti delle varie forme di violenza) che profumano di vita. È il ricordo di queste vittime che determina un solo desiderio: vivere per un mondo giusto”.
AA.VV. (a cura di Mario Gelardi)
La ferita
Racconti per le vittime innocenti di camorra
Ad est dell’equatore, Napoli 2009
pp 176
€ 8,00
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