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Casalesi, il verdetto finale

Di Stefano Fantino il . Campania

 

Ora è davvero finito. Dal punto di vista giudiziario, s’intende, perché i due boss Iovine e Zagaria sono ancora “primule rosse” e il potere dei Casalesi non è certo scomparso. Ma la parola definitiva è stata posta su un processo che oggi, con il verdetto di terzo grado, segna il capolinea della mafia casertana.  Sono passati quasi quindici anni da quando le indagini sui casalesi, potente e radicata associazione mafiosa campana, hanno iniziato a muovere i primi passi dando il via a quella “cattedrale” che è stato il procedimento giudiziario contro i suoi capi e affiliati. Mastodontico a dir poco, tra migliaia di pagine di sentenze, centinaia di faldoni e interrogatori, decine di imputati, testimoni, pentiti. 
Oggi nella tarda serata la prima sezione penale della Cassazione ha confermato tutte le condanne inflitte dalla Corte d’Assise d’appello di Napoli nel 2008 nei confronti dei vertici del clan. In sostanza sono state confermate per i ventiquattro imputati i 16 ergastoli e le 8 condanne a pene inferiori, cioè che vanno dai 2 ai 30 anni. I giudici della prima sezione, presieduta da Edoardo Fazioli, sono dunque giunti dopo la camera di consiglio alla convalida integrale di quello che era stato il verdetto emesso dalla Corte d’Assise di appello di Napoli nel giugno del 2008 nei confronti del clan campano. Spiccano, ovviamente, i nomi grossi del giro casalese, quegli stessi capaci di portare in alto il sodalizio criminale. Dopo gli esordi al fianco di Antonio Bardellino non avevano esitato a eliminare il vecchio boss per dare un’ulteriore violenta sterzata alla rotta del clan. Così ritroviamo le accuse, che vanno da associazione mafiosa, a omicidio, a porto abusivo d’armi ed estorsione, nei confronti di molti boss di spicco: i capi Francesco Schiavone, il noto “Sandokan”, e Francesco Bidognetti, detto “Cicciott ‘e mezzanotte, per i quali è stata confermata la condanna all’ergastolo.  Come del resto per i fuggitivi Antonio Iovine, Michele Zagaria e Mario Caterino.
Oltre ai sedici ergastoli, la suprema corte, in particolare, ha rigettato e dichiarato inammissibili anche i ricorsi di altri otto imputati per i quali sono state confermate le condanne dai 3 ai 20 anni. In particolare, diventano definitive le condanne per Antonio Basco (21 anni), Luigi Diana (16 anni, oggi pentito); Nicola Pezzella (15 anni). Dieci anni e mezzo vanno al collaboratore di giustizia Carmine Schiavone. Guido Mercurio è stato condannato a 9 anni, Corrado De Luca – attualmente latitante – a 8 anni. Quattro anni per Alberto Di Tella, 3 anni e tre mesi per Vincenzo Della Corte.
 
Genesi di un processo: la nascita dei Casalesi
Processo Spartacus, il nuovo maxiprocesso. Quante volte si è sentito accostare questo ormai concluso processo alla camorra casalese, con quello, storico, istruito dai giudici siciliani contro Cosa Nostra. Non si può negare che il paragone regga e sia doveroso, nonostante una scarsa  attenzione mediatica iniziale che non ha reso noto al grande pubblico quello che si stava muovendo nelle aule di tribunale. Eppure anche qui si parla di mafia di alto livello, di un clan che vede la sua origine dei primi anni Ottanta: in una Campania devastata dalla lotta criminale senza esclusione di colpi tra la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e il cartello della Nuova Famiglia, muovono decisi i loro passi anche quei gruppi legati direttamente a Cosa Nostra siciliana, come confermerà il pentito Masino Buscetta a Giovanni Falcone. Sono infatti affiliati sia Lorenzo Nuvoletta, detentore del potere di “pungitura” in Campania (per affiliare nuovi mafiosi) sia il suo alleato Antonio Bardellino. Proprio quest’ultimo è all’origine dei Casalesi, dopo l’annientamento di Raffaele Cutolo. Tanti affari nel cemento nella provincia campana, mentre alle spalle del capo crescono nuovi leader e il sodalizio criminale riesce a farsi affidare importanti affari, come quello della messa in regola dei Regi Lagni, un canalone lungo una cinquantina di chilometri di epoca borbonica. Cresciuti nell’ombra di Bardellino i Casalesi non esitano a prenderne il posto: un crescente gioco di equilibri interni porta nel 1988 alla morte del loro leader, il cui corpo però non fu mai ritrovato e sulla cui uccisione gli inquirenti arriveranno incrociando varie testimonianze. E con la morte di Bardellino arriva anche l’uccisione di suo nipote, Paride Salzillo, viatico per la cacciata dei bardelliniani, rifugiatisi nel sud Pontino e la salita al potere dei boss di Casal di Principe e dintorni. Negli anni Novanta l’apoteosi economica, tra dominio sulle attività del territorio, l’imperituro affare del cemento e gli investimenti all’estero: quella dei casalesi diventa una potente holding capace di diventare assegnataria di lavori per l’autostrada Roma-Napoli e di inserirsi nel business dei rifiuti.
Spartacus, tra condanne e minacce
La risposta allo strapotere dei Casalesi arriva per la prima volta nel 1993. Un arresto importante, quello di Francesco Bidognetti, acciuffato il 18 dicembre è il primo il segno di una serie di fermi che dal 1995 minerà fortemente il clan. Finché l’8 novembre 1996 non si tiene la prima udienza preliminare del processo Spartacus 1, la cui gestazione in vista della sentenza di primo grado durerà quasi 10 anni, durante i quali il capo indiscusso del sodalizio, Francesco Schiavone verrà catturato (luglio 1998). Quando si arriva alla prima sentenza,  il 15 settembre 2005 i testimoni ascoltati sono 508 e le pagine della motivazione scritta dal giudice Magi più di tremila.  L’esito è  di 95 condanne , tra le quali  21 ergastoli. Quella del processo di appello è una storia differente, in parte. Nel pieno della riscoperta, o meglio scoperta, della situazione casertana, in seguito a libri e trasmissioni televisive per la prima volta pare che ci sia un minimo di consapevolezza di quanto, di enorme, si sta processando nella prima sezione della Corte d’Assise di Appello di Napoli. Addirittura durante il dibattimento i legali di due boss imputati (Iovine e Bidognetti) si fanno portavoci della legittima suspicione che i loro assistiti nutrirebbe nei confronti del collegio giudicante e parallelamente viene scagliato minaccioso l’indice verso chi condizionerebbe l’attività dei giudici. Lo scrittore Roberto Saviano, il magistrato della Dda Cantone, peraltro già dimessosi all’epoca dei fatti e la giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. Nel giugno 2008 dopo quattro giorni di camera di consiglio venne emessa la sentenza di appello per Spartacus: un pronunciamento che nei fatti conferma gli ergastoli comminati in primo grado. Tutti i capiclan vengono colpiti, da Bidognetti a Schiavone ai tuttora latitanti Zagaria e Iovine. Il massimo della pena viene confermato anche per Giuseppe Caterino, Mario Caterino (latitante), Cipriano D’Alessandro, Raffaele Diana (latitante), Enrico Martinelli, Sebastiano Panaro, Giuseppe Diana, Francesco Schiavone, detto ‘Cicciariello’, Walter Schiavone, Luigi Venosa, Vincenzo Zagaria e Alfredo Zara. 
Oltre Spartacus
Chiusa il processo Spartacus, la pratica sui Casalesi per molti versi non va in soffitta. Rimane una scrupolosa ricostruzione della loro ascesa criminale, una scia di omicidi, esecuzioni, ma soprattutto lasciano traccia i tanti, troppi affari entro i quali, spesso legalmente, il clan era riuscito a inserirsi. La capacità di essere mafiosi e imprenditori è stata la carta vincente dei Casalesi, capaci di fare affari nel cemento, controllare le attività della provincia casertana, ma anche di aggiudicarsi appalti per bonifiche, autostrade carceri. Tutti ambiti in cui la ipotizzata presenza di un livello politico rimane pressoché aperta; d’altronde la definizione stessa
di mafia ipotizza una criminalità organizzata capace di rapportarsi con politica e istituzioni. Anche per questo dal processo madre, si sono dipanati diversi filoni, uno in particolare, Spartacus 2, che contempla i coinvolgimenti della politica locale. Impossibile inoltre non far riferimento alla richiesta, recentissima, di arresto  per l’onorevole Cosentino, accusato di collateralità con il clan dei Casalesi, e sempre dichiaratosi estraneo da qualunque addebito, mentre il Parlamento non concedeva l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Parallelamente a quanto è successo in Sicilia con Cosa Nostra, il terzo livello anche qui, nella storia dei Casalesi, deve ancora essere esplorato. La partita giudiziaria è in parte chiusa. La potenza dei Casalesi, alla ricerca di nuovi equilibri e sicuramente minati da questo importante passo, non è però scomparsa. E con questa nemmeno tanti interrogativi ancora da sciogliere.

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