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L’amaro rientro a Castelvolturno

Di Stefano Fantino il . Calabria, Campania

La storia delle terre del Volturno è sempre stata strettamente legata, negli ultimi anni, al fenomeno degli immigrati africani, da tempo presenti in zona per lavorare in loco o per spostarsi a “fare la stagione” da altre parti. A Rosarno per esempio, dove tanti africani di CastelVolturno si erano spostati per la raccolta degli agrumi, salvo poi, come abbiamo visto, tornare con il terrore negli occhi anticipatamente alla base. Che probabilmente non è accogliente, ma sempre dura, difficile, precaria, ma ha avuto il merito di vedere crescere negli anni in maniera esponenziale l’impegno del privato sociale che volontariamente garantisce e cerca di tutelare il lavoro e i diritti di questi lavoratori.

In un territorio che, parallelamente a quello rosarnese, ha alle spalle una forte presenza mafiosa, resa, da queste parti, nella provincia di Caserta ancora più vivida e lucida da quelle esplosioni di violenza che nel passato, prossimo e recente, hanno colpito gli africani. Potremmo partire dal nome di una associazione che qui si occupa di assistenza sanitaria e mediazione culturale. Jerry Essan Masslo. E dietro una storia che racconta tantissimo: a vent’anni di distanza l’omicidio di Jerry Masslo, bracciante occupato nella raccolta di pomodori a Villa Literno, è ancora vivo nei ricordi di questo territorio. E rappresenta l’attualità per tanti lavoratori immigrati che grazie al lavoro associativo e volontario di alcuni presidi (l’associazione Masslo, il centro Fernandes di Castelvolturno) tentano di supplire alle mancanze del tessuto sociale e istituzionale, evitando al contempo di scivolare nelle mani e nel giro mortale dell’illegalità. 

Un’ombra che aleggia sui lavori degli stagionali, sulle loro stessi vite, e sulle morti come testimonia l’agguato che nel 2008, in settembre, portò all’uccisione di sei africani da parte della camorra casalese, a Castelvolturno. E a cui seguirono aspre contestazioni degli immigrati che in questi giorni sono riecheggiate nella memoria alla luce della situazione di Rosarno, nella fertile piana di Gioia Tauro, dove la presenza dietro al lavoro degli stagionali è molto più di un presentimento. Ora che l’eco mediatica sembra già essersi spenta, ora che il trasferimento degli africani ha posto fine alla “rivolta”, rimane insoluta la storia che è sottotraccia, all’insegna di una valutazione solamente emergenziale del fenomeno, senza che si indaghi le problematiche e i motivi di quanto è accaduto. E nel frattempo chi lavora per dare dignità alla vita di queste persone si trova a fare i conti con un bilancio molto spesso “ballerino” che rende ancora più difficile il lavoro dei volontari. 
«Il nostro Centro lavora sempre a pieno regime – racconta al nostro collega Michele Docimo, Antonio Casale direttore del Centro Fernandes da sempre il punto di riferimento per l’accoglienza, un pasto o una visita medica e per la salvaguardia dei diritti degli stranieri – che ci sia l’emergenza Rosarno o meno il flusso dei migranti da noi è comunque sempre continuo, così come sono senza sosta i servizi che il Centro Fernandes eroga, e siamo al limite del sovraffollamento. Nella giornata di ieri hanno bussato alle porte del nostro centro circa una trentina di immigrati alcuni dei quali erano partiti proprio da qui, da CastelVolturno, per andare a lavorare in Calabria mentre altri sono arrivati da noi per la prima volta in cerca di un posto in cui stare. Purtroppo, però, non riusciamo ad accogliere tutti perché non abbiamo più posti. Gli ultimi li abbiamo assegnati a due immigrati che hanno richiesto le nostre cure e che abbiamo bisogno di tenerli ricoverati. La capienza, ripeto, è quella e qui siamo al pieno. Mi rendo conto che questo creerà una ulteriore sofferenza per queste persone che costrette ad abbandonare Rosarno oltre ad aver perso tutto non hanno nemmeno un posto dove andare. hanno perso tutto non hanno dove andare e crea sofferenza anche a noi impossibilitati a poterli ospitare ma s tiamo facendo di tutto per trovare loro qualche altra, temporanea, sistemazione».
Noi d Libera Informazione, ne abbiamo parlato con Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe, ma principalmente medico, attivo nell’associazione Jerry Masslo e presente con un’attività ambulatoriale volontaria anche al centro Fernandes di Castelvolturno dove sono confluiti molti africani dopo la dipartita da Rosarno.
Le storie degli immigrati sono spesso storie di assistenza inesistente, che voi, come associazione Jerry Masslo, cercate di prestare, in che modo? 
Noi da anni cerchiamo di dare una risposta a uno dei bisogni, anzi, uno dei diritti  fondamentali dell’uomo, che è quello alla salute, anche in sostituzione di compiti specifici dello Stato. La legge Bossi-Fini prevede un’assistenza sanitaria anche agli immigrati irregolari clandestini tramite l’assegnazione di un codice che garantisce l’assistenza farmaceutica, specialistica e di laboratorio  (tesserino per Straniero Temporaneamente Presente, valido sei mesi ma rinnovabile ndi), mentre per quello che riguarda il medico di famiglia si devono attrezzare i distretti sanitari con ambulatori dedicati o in mancanza ci si affida al volontario, opzione che è diventata ormai una regola costante, un fatto sistematico. 

La fornitura di questo servizio ricade quindi sui volontari come voi? 
 
Noi quindi facciamo ambulatori dedicati STP in modo totalmente gratuito e volontaristico senza ricevere soldi, cosa che accadrebbe se lo facesse l’azienda sanitaria, con proprio personale.  
Questo vi permette di ricevere dei fondi di supporto? 
L’azienda sanitaria alcuni anni fa stipulò con noi una convenzione per l’accompagnamento di servizi socio sanitari: noi aiutiamo ragazzi con problemi spesso relativi a gravidanza, aborto e li accompagniamo verso strutture pubbliche, evitando che vadano in mano a privati o nel circuito illegale. In cambio l’ASL dovrebbe fornirci dei rimborsi delle spese, tra cui la mediazione culturale che forniamo noi al distretto sanitario. Per anni abbiamo avuto un positivo rapporto con l’ASL, che era quella di Aversa, ora negli ultimi mesi, a causa della crisi della sanità e della situazione della Campania, le aziende sanitarie sono state unificate e da due aziende nella provincia di Caserta si è passati a una. Con questa unificazione sono arrivati i problemi: non riusciamo più a fare le cose che facevamo prima , comportando grande affanno per la nostra associazione. Decine di migliaia di euro di esposizione con le banche, che sono molti per noi. 
Questa situazione coinvolge anche altre associazioni di volontariato? 
Il centro Fernandes anche, ad esempio, un centro di accoglienza che è gestito coi fondi dell’8x Mille della Caritas  di Capua. Solo grazie a questi fondi privati riesce a fare questo lavoro importante, fornire pasti, doccia, ospitare il nostro ambulatorio, in un’area molto vasta e dove è forte la presenza di immigrati. Tutto questo senza mai aver avuto una convenzione con il Comune, la Provincia, la Regione. A volte quando gli immigrati devo ritornare abili dopo alcuni interventi medici si chiede al Fernandes di ospitarli fino a completa guarigione: la qual cosa viene fatta dal centro ma senza che vi siano aiuti economici, dimostrando come spesso sostituire le cose che già lo Stato dovrebbe fare risulti ancora più difficile di quanto già non sia. 
Dopo i fatti di Rosarno, come si pone di fronte a un parallel
lo tra la realtà  della piana calabrese e quella di Castelvolturno? 
Innanzitutto si tratta di due realtà del Mezzogiorno dove è molto forte la presenza dell’agricoltura come mezzo economico di sussistenza. Ma soprattutto sono due zone che hanno a che fare con una grande presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso: ‘ndrangheta lì, camorra dei casalesi qui. Tutto questo sta alla base della presenza massiccia di immigrati che vengono sfruttati sul lavoro; a Rosarno soprattutto nel lavoro in campagna, per quanto riguarda la zona del Volturno anche il campo dell’edilizia vede un impiego forte di manodopera africana. Il fatto che siano irregolari e clandestini amplifica la possibilità che vengano sfruttati e oppressi. E in molti casi costretti ad attività di spaccio e prostituzione. 
Un quadro economico-sociale simile?
Una economia debole richiede manodopera al nero per essere concorrenziale,  all’interno di un contesto in cui la criminalità prospera dove la carenza di strutture di servizio spesso non sono in grado di risolvere le richieste della popolazione locale, tantomeno non sono capaci di farlo nei confronti degli stranieri. Il tutto per avere, alla fine, un miscuglio altamente esplosivo. 
In queste ore ha parlato con qualche africano ritornato a Castelvolturno? 
Non ho ancora avuto modo di parlare bene con loro, perchè passo al centro Fernandes il martedì  sera e il giovedì sera. Ho solo avuto brevi contatti domenica mattina . Ora sono tornati qui perché da qui sono partiti verso la piana calabrese , ma hanno anticipato il ritorno di due mesi. 
Cosa pensi di chi dice che gli africani difendono diritti che noi non siamo più  capaci di difendere? 
Penso sia un problema di rappresentanza: la popolazione immigrata non ha rappresentanti, dal punto di vista sindacale, politico e istituzionale. E quindi non c’è nessuno che difenda i loro  diritti e i loro bisogni e ogni tanto scoppia, autonoma, la loro rivolta, tentano di farlo da soli, in modo caotico in modo violento, cosa questa da condannare assolutamente e oltretutto assolutamente controproducente. Come è successo a Rosarno, dove il sospetto che ci sia qualcuno che ha stimolato questa rivolta, è plausibile viste le conclusioni a cui si è arrivati. Un’espulsione oggi e magari domani la possibilità che vengano sfruttati ancora di più senza avere il coraggio di potersi ribellare, dal momento che la ribellione l’hanno pagata solo loro.


Con la collaborazione di Michele Docimo

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