Il business della previdenza agricola
A leggere i dati ufficiali, gli agrumeti della Piana di Gioia Tauro erano pieni di lavoratori locali e non di immigrati. E così, forse, si capisce meglio anche cosa ci sia dietro il “caso Rosarno”. Lo scorso anno i braccianti italiani iscritti all’Inps nella cittadina calabrese risultavano 1.600. Quelli extracomunitari appena 36. Numeri analoghi nel comune limitrofo di Gioia Tauro: 600 lavoratori agricoli italiani e solo 19 extracomunitari. Non cambia la musica nel terzo comune della zona, San Ferdinando: 317 braccianti italiani e appena 17 extracomunitari. Il totale è presto fatto: nel 2009 all’Inps risultavano iscritti ben 2.517 lavoratori italiani e soltanto 72 extracomunitari, circa 35 volte meno. E le migliaia di immigrati africani, quelli coinvolti nella rivolta di Rosarno e ora trasferiti fuori regione? Tutti lavoratori in nero.
I numeri parlano chiaro, confermano quanto emerso in questi giorni ma rappresentano qualcosa che non ha nulla a che vedere con la realtà. Se infatti quei 72 braccianti extracomunitari regolari sono una goccia nel mare degli immigrati che ogni mattina si “offrivano” ai caporali per raccogliere clementine e arance, ma sono, comunque e purtroppo, un dato vero, quei 1.600 lavoratori italiani sono, invece, un dato in gran parte falso. Perché braccianti italiani negli agrumeti della Piana quasi non se ne vedono. Insomma, come emerso da anni nelle inchieste della magistratura di Palmi, in stretta collaborazione col servizio ispettivo dell’Inps, si tratta di falsi braccianti. Cittadini di Rosarno e dintorni, iscritti nelle liste, formalmente assunti, ma solo per poi beneficiare delle agevolazioni contributive: indennità di disoccupazione, di malattia, di maternità. Bastano 51, 101 o 151 giornate all’anno (spesso neanche lavorate…) e si ottengono i benefici. E mentre loro, pur incassando i contributi non lavorano, nei campi devono andare gli immigrati. Ovviamente in nero, sottopagati e sfruttati.
Un sistema di illegalità diffusa che beneficia di una legislazione sicuramente non adeguata e di complicità che vanno da medici compiacenti (difficile sottrarsi perché tanto c’è subito qualcun altro pronto a certificare la malattia), sindacalisti e addetti ai patronati a volte complici, faccendieri, soggetti istituzionali. Il tutto sotto l’organizzazione e il controllo della ‘ndrangheta che, come in altre regioni del Sud, si è profondamente inserita nel businnes della previdenza agricola. Un ricco affare per le cosche, ma anche l’ennesima occasione per confermare il proprio controllo sul territorio. «Se per ottenere la fittizia iscrizione negli elenchi agricoli ci si deve rivolgere ai boss del paese – ci dice un dirigente calabrese dell’Inps, esperto proprio in questo campo – è evidente che il potere di tali boss nel territorio non può che crescere e consolidarsi». Non solo ipotesi, visto che molte inchieste della procura di Palmi hanno confermato il coinvolgimento delle cosche.
Parliamo del gotha della ‘ndrangheta, cioé le cosche Pesce-Bellocco e Piromalli. E non è un caso che i tre comuni citati siano tutti attualmente sciolti per infiltrazione mafiosa e gestiti da tre commissari prefettizi nominati dal ministero dell’Interno. Gli esempi scovati dagli ispettori dell’Inps e dalla magistratura sono innumerevoli e clamorosi. Succede così che appena una donna rimane incinta il “compare” le regala l’iscrizione all’Inps. Il che vuol dire l’immediato ottenimento dell’indennità di maternità. La mamma, ovviamente, sui campi non andrà mai. Altre volte vengono falsificate la carte inserendo nomi di persone estranee e andando poi alla posta ad incassare per loro i contributi. Magari, con certezza dell’impunità, facendo tutte le domande con la stessa calligrafia.
E quando l’Inps fa i controlli succede più o meno questo: «Pronto signora ci passa suo marito». «Non posso, sta in officina al lavoro». «Ma come? Ha fatto domanda di disoccupazione in agricoltura…».Ad essere coinvolte sono soprattutto le aziende medio-piccole che fanno lavorare in nero gli immigrati e poi dichiarano le giornate per gli italiani, spesso parenti. Oppure ci sono quelle false, inesistenti, che dichiarano terreni non propri. O ancora, per evitare i controlli, si inseriscono lavoratori “fasulli” in aziende che ne hanno di regolari. E che «non possono dire di no». Soprattutto se a fare la richiesta sono esponenti delle note famiglie mafiose. Ironia della sorte una delle piazze di Rosarno teatro degli scontri è dedicata a Giuseppe Valarioti, sindacalista ucciso nel 1980 dalla ‘ndrangheta per le sue lotte proprio contro l’illegalità in agricoltura.
* Avvenire
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