Una Catania da raccontare
Una città piena di intelligenze vivaci, giovani impegnati, di un potenziale inespresso. Un luogo che i giornalisti sono più abituati ad abbandonare anziché raccontare. Questa è Catania per Sigfrido Ranucci, vincitore del premio Pippo Fava 2010, giornalista di Report, autore de”I Vicerè” la puntata che ha raccontato Catania all’Italia e forse anche ai catanesi. Sigfrido, 48 anni e una vita trascorsa in Rai, in particolare tra Rainews24 e Report, ha incontrato nel suo lavoro giornalistico una Catania immobile e soffocata ma anche una città in cui la vera costante, dai tempi di Pippo Fava ad oggi, sono i giovani che non hanno smesso di raccontarla, di inventarsi nuovi modi per farlo, in un monopolio dell’informazione locale, che ha segnato per decenni la vita di questa città ai piedi dellE’tnea. Abbiamo raccolto il commento di Ranucci, pochi giorni dopo l’assegnazione del premio intitolato al giornalista Pippo Fava, ucciso a Catania il 5 gennaio del 1984.
Cosa ha rappresentato per te vincere questo premio proprio quest’anno che con la puntata di Report “I Vicerè” hai contribuito a far conoscere al resto del Paese la situazione catanese, la stessa per la quale Pippo Fava ha dato la vita?
Questo premio è per me un riconoscimento inaspettato che mi riempie d’orgoglio. E’ un premio dato alla memoria di chi ha dato la vita per questa città. Una città che, devo dire, non è cambiata moltissimo dagli anni in cui lavorava Pippo Fava. Tutti i poteri che Fava denunciava, sono in qualche modo, ancora li, vanno a “braccetto” l’un con l’altro, sono presenti ancora opere incompiute e disfunzioni amministrative, imprenditoria collusa, mafia, ma tutto ciò continua a coesistere con la presenza di un grosso potenziale umano ed intellettuale. Tutto ciò fa si che i giornalisti Catania siano sempre più abituati ad abbandonarla anziché raccontarla. Questo è un premio importante anche perché dedicato alla memoria. Catania e il resto dell’Italia hanno,sempre più, la memoria corta e non averne significa, sempre più, nel giornalismo raccontare i fatti – come ricorda spesso Roberto Morrione – lasciandoli orfani di madre e padre, cioè del contesto. Questa mancanza genera troppo spesso un modo di fare informazione che è diventato nel tempo, a mio avviso, disinformazione.
Un Paese dalla memoria corta per molto tempo ha insabbiato ricordi. Oggi a distanza di tanti anni, chi è ancora Pippo Fava nel panorama giornalistico italiano?
E’ stata la persona che avuto il coraggio di denunciare i comtati d’affari e ha pagato la propria vita le conseguenze. Da allora non è che sia cambiato granchè, sicuramente la mafia fa meno rumore, l’intreccio fra mafia, politica e imprenditoria si è consolidato, è uscito dalla sommersione, come ci dicono fatti, storie e sentenze e rappresenta in maniera più pericolosa e subdola lo strozzamento della parte buona della società civile. Condizionando economia e giustizia e la storia personale di ognuno di noi, la quotidianità. Sono ancora i comitati di affari a decidere in città. Come mi raccontava proprio ieri un investigatore molto in gamba che ho incontrato in Sicilia: nonostante per molti sia sconfitta o in ginocchio,la mafia continua controllare dalla vita alla morte delle persone e a fare affari ovunque. Sarebbe interessante capire come possano convivere questi due dati.
Tu lavori in una di quelle che viene ritenuta, a ragione, una delle trasmissioni di servizio pubblico in Rai, Report. Quanto è difficile oggi continuare a fare quel giornalismo d’inchiesta con una “missione etica”, cui si riferiva proprio Fava?
Devo dire che non mi piace molto parlare di giornalismo etico, noi cerchiamo semplicemente di fare il nostro mestiere, come penso facciano in tanti in Italia. Il problema è come si sceglie di farlo. C’è chi sceglie di farlo attraverso le opinioni e chi attraverso i fatti. Questa è la forza di Report. E’ chiaro che sarebbe anche molto più facile, mettersi a fare il salotto politico o abbandonarsi a raccogliere opinioni. Noi abbiamo scelto la via dei fatti, che è molto più faticosa, per le verifiche, la ricerca della notizia, etc, ma è la strada vincente che ci ha permesso di consolidare in questi anni il marchio di Report come quello di una trasmissione affidabile, credibile. E che non lascia spazio in alcuna direzione, tanti che abbiamo in corso 40 denunce, trasversali. A livello di procedimenti penali, solo per fare un esempio, due sono arrivata da parte del Partito democratico, uno da parte della Lega, uno da Forza Italia, uno da Alleanza nazionale. Tutto l’arco costituzionale….
Alcuni direttori dei Tg giustificano l’assenza di notizie di approfondimento o d’inchiesta con la necessità di venire incontro alle richieste dei telespettatori e dell’auditel. Da poco però il Qualitel, ha indicato proprio Report come la migliore trasmissione della Rete Rai in relazione al gradimento del pubblico. Come si conciliano questi due diversi dati?
Penso che non sia vero quello che hanno detto alcuni direttori di Tg, lo dimostra anche il dato su Report, eletta migliore trasmissione italiana per qualità e gradimento dei telespettatori. E’ vero che raccontare sempre la parte brutta del Paese, delle cose, possa risultare deprimente, ma se andiamo a vedere, al di là dell’angolo dedicato nella “buona notizia”, noi cerchiamo sempre di suggerire una via d’uscita a quelle situazioni. E’ ovvio che noi denunciamo ma risolvere i problemi non spetta a noi, nè ai telespettatori, ma agli organi competenti, molto spesso alla politica. Il problema quindi è sempre lo stesso: quello che mostriamo è quello che piace al telespettatore o mostriamo una realtà che vorremmo che fosse quella che piace al telespettatore? Ci limitiamo a raccontare una realtà che abbiamo scelto o raccontiamo i fatti comprese le questioni irrisolte del nostro Paese? La funzione del giornalismo, ricordiamolo, è quella di essere organo di controllo della democrazia. Questa dovrebbe essere la linea della gran parte degli organi di stampa. Si tratta di un problema complesso che andrebbe sviscerato, raccontando il sistema informazione e le lotte intestine che si svolgono nel back stage dell’informazione. Io sono orgoglioso di lavorare a Report e di poterlo fare in Rai, perchè penso che una trasmissione come questa abbia una doppia credibilità: da un lato acquisita dall’intenso e serio lavoro messo in piedi dalla squadra guidata da Milena Gabanelli e dall’altra anche dall’essere una trasmissione del Servizio pubblico radiotelevisivo.
Un servizio pubblico che è possibile esercitare anche nelle emittenti private?
Si, si può, ma se dovesse esistere un’idea di giornalismo puro, credo sia molto più vicina a quella che si può svolgere all’interno del Servizio pubblico radiotelevisivo.
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