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Librino, vetri infranti da grida di sopravvivenza

Di Massimiliano Nicosia il . Sicilia

 Per i bambini dell’oratorio Giovanni Paolo II di Librino, quartiere difficile della periferia catanese, il 6 gennaio era un giorno di festa da passare tra giocolieri, maghi e befane cariche di calze con i dolci. Una giornata di festa “ordinaria” per molti bambini ma non per alcuni di quelli che frequentano l’oratorio di Librino.
 
Suor Lucia, suor Enza e suor Renata sono le anima dell’oratorio, conoscono bene Librino e il quartiere negli anni ha imparato a conoscerle da quando nel ’95 hanno iniziato a fare doposcuola e a vedere in loro uno dei pochi punti di riferimento. Per i bambini dell’oratorio, se non ci fossero state le suore, quella sarebbe stata una giornata come le altre in un quartiere che spesso non offre grandi opportunità.
 
Una giornata di festa guastata però da una triste sorpresa: al loro ritorno i finestrini di un pulmino rimasto in oratorio e di una delle macchine degli animatori erano stati infranti a sassate, sul portone della sede frasi pesanti scritte con vernice rossa.
 
Suor Lucia ci spiega che non ci sono episodi specifici che fanno pensare ad una ritorsione mafiosa all’impegno delle salesiane nel quartiere: “qui i momenti di crisi, le situazioni difficili da gestire, sono tante; non sai mai cosa può scatenare reazioni di quel tipo; a volte basta una sciocchezza, un semplice richiamo, a volte si assiste ad episodi di violenza senza alcuna motivazione apparente. Ma nell’ultimo anno episodi come questo sono diventati frequenti, abbiamo iniziato ad avere paura per i nostri ragazzi e stavolta abbiamo deciso di parlarne apertamente”.
 
Le suore hanno sempre denunciato alla polizia gli atti vandalici pur mantenendo su questi il massimo riserbo. “Il fatto è che non vogliamo si assegnino facili etichette all’intero quartiere, qui c’è tanta brava gente onesta che risponde alle nostre iniziative in modo meraviglioso però ci sono anche ragazzi che sbagliano spesso senza neanche rendersi conto di sbagliare”.
 
Da 15 anni la sfida delle salesiane è quella di provare a fornire a questi ragazzi e alle loro famiglie nuovi parametri per affrontare la vita rispetto a quelli offerti da un quartiere carente di servizi in cui spesso lo spaccio controllato dalla mafia rappresenta il modo più semplice e immediato per guadagnarsi la prima “paga” e in cui i figli di detenuti e latitanti vengono tirati su solo dalle madri.
 
“Ricordo uno dei nuovi arrivati in oratorio che raccontava di potersi comprare un motorino per 100 euro; Si riferiva chiaramente al mercato dei motorini rubati. Noi abbiamo cercato di fargli capire che lavorando poteva comprarsi un motorino con i suoi risparmi in modo del tutto legale. Non è stato semplice trasmettere che poteva ottenere onestamente con fatica quello che riusciva ad avere subito in modo illegale. Ma alla fine sono queste le soddisfazioni che ti fanno dimenticare tante difficoltà”.
 
Come interpretare allora quei finestrini infranti, quelle scritte cariche di odio, quei tentativi di interrompere l’impegno nel quartiere?
 
“Spesso sono ragazzi che vogliono essere ascoltati ma non riescono a comunicare diversamente il loro disagio. – ci rispondono le suore – Un giorno un ragazzo cominciò ad urlare in oratorio, uno dei nostri animatori lo prese in disparte e gli chiese perchè gridava così tanto, il ragazzo rispose che loro gridavano per sopravvivere. Un altro ancora un giorno ci confidò di non sapersi spiegare il suo comportamente violento “Mi sveglio la mattina già arrabbiato perfino con mia madre”.
 
Dietro quelle grida, dietro quegli assurdi episodi di vandalismo spesso si cela una generazione di adolescenti spettatori e spesso vittime fin dalla nascita di violenza e degrado, arrabbiati con un mondo tanto diverso dal loro con il quale si relazionano a fatica e dal quale si sentono inconsapevolmente rifiutati. Sono l’ultimo anello, il più debole, di un territorio dominato negli anni da speculazione edilizia e sfruttamento mafioso che urla la propria rabbia per una realtà che non ha scelto.
 
“Noi da qui non ci muoviamo – conclude suor Lucia – con la nostra denuncia abbiamo voluto lanciare un messaggio anche a loro. Insieme, se vogliono, possiamo cambiare le cose e costruire un futuro migliore”.
 
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