«Un silenzio che fa male più del piombo»
Circa centocinquanta cittadini ieri hanno ricordato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, il giornalista Beppe Alfano ucciso dalla mafia 17 anni fa. Un momento di incontro davanti alla lapide di in via Marconi, il marciapiede davanti al quale fu freddato dai killer il corrispondente de “La Sicilia”, e una tavola rotonda nei locali dell’ex stazione ferroviaria, con la partecipazione di molti familiari di vittime della mafia, e alcuni esponenti politici, fra i quali Beppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia e Antonio Di Pietro, leader dell’Idv. “Il dato che più stupisce – spiega la figlia Sonia Alfano – è che le persone intervenute oggi arrivano da diverse parti d’Italia, mentre sono pochi i barcellonesi. Ma sono certa che alla fine avrà ragione mio padre, quello che ha fatto lui vale la pena anche per una realtà che continua a tacere e a non vedere. A volte il silenzio e l’indifferenza fanno molto più male del piombo”.
Una storia di coraggio dell’informazione, quella di Beppe Alfano, in un paesino che in molti non esitano a definire “la Corleone della provincia di Messina”: Barcellona Pozzo di Gotto. Sull’omicidio del cronista ancora molti i punti interrogativi aperti, soprattutto in relazione ai mandanti esterni che in quel gennaio del ’93 pianificarono la morte di un cronista precario che da Barcellona Pozzo di Gotto inviava corrispondenze al quotidiano catanese, su fatti e misfatti della città del Longano, senza remore, nè omissioni
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