San Cataldo, epicentro di scontri mafiosi
La provincia di Caltanissetta, per decenni percorsa da vere e proprie “guerre civili” di marca mafiosa, si era contraddistinta, anche a seguito dell’ampia copertura mediatica ottenuta, per un’evidente instabilità, sociale e civile: frutto avvelenato generato da quasi un ventennio di omicidi, attentati incendiari, imposizione di illeciti balzelli. Gela, Niscemi, Riesi, Caltanissetta, sono state, nel corso di differenti periodi storici, basi, strategiche ed operative, di talune tra le più pericolose congregazioni criminali partorite dall’originaria “mater”: Cosa Nostra.
Quella agente in tali contesti urbani, però, deve necessariamente descriversi utilizzando l’espressione “mafia d’importazione”, per il semplice motivo che i gruppi radicatisi nella zona meridionale del territorio nisseno assurgono al ruolo di dirette emanazioni di taluni padri putativi, originari del tanto famigerato e chiaccherato Vallone.
Proprio tale area, solo in apparenza normalizzatasi all’indomani della partenza di molte delle storiche famiglie della locale cosa nostra, spostatesi verso il sud della provincia, in questi ultimi anni si trova innanzi ad un ennesimo bivio: perseguendo un processo teso alla sostituzione dell’esistente, nuovi aspiranti al regno criminale cercano di detronizzare storici sovrani. San Cataldo, affiancata da alcuni centri limitrofi, Sommatino, Villalba, Marianopoli, si pone, allo stato attuale, quale terra di conquista agognata da molti.
Tre sono le date più significative per una completa descrizione delle dinamiche in atto entro i confini di questo territorio: 27 dicembre 2008, il corpo di Salvatore Calì, titolare dell’agenzia mortuaria, “Calì Salvatore Onoranze Funebri”, e attore primo dell’opera criminale sancataldese, crollava, inerme, tra le vie del centro storico, dopo aver ricevuto alcuni colpi esplosi dalle armi impugnate da due killers; 9 novembre 2009, le forze dell’ordine pervenivano alla scoperta di quattro fucili da guerra nella piena disponibilità di Maurizio Di Vita, Antonio Cordaro e Alfonso Lipari; 28 novembre 2009, tre individui, a volto coperto, irrompevano all’interno dei locali dell’ “Agenzia Onoranze Funebri Fratelli Mosca”, trasformandoli in una sorta di campo di battaglia dal quale fuoriusciva, gravemente ferito, uno dei titolari, Stefano Mosca, sopravvissuto, secondo gli inquirenti, a causa di una distrazione dei componenti del commando, convinti di aver posto fine alla sua vita.
A conclusione di un intenso ciclo di accadimenti, caratterizzato, inoltre, da molteplici attentati incendiari ed avvertimenti, più o meno espliciti: lunedì 28 Dicembre, il reparto operativo dei Carabinieri è giunto all’obiettivo della disarticolazione di una vasta soggettività criminale, operativa all’interno del perimetro urbano che collega San Cataldo e Sommatino, nel corso di un’azione denominata, significativamente, “Nuovo Mandamento”.
Undici arresti, fondamentali secondo gli inquirenti, accompagnati dall’ottenimento di informazioni e confessioni, destinate inevitabilmente a mutare l’attuale stato delle indagini scaturite dall’omicidio di Salvatore Calì. Cosimo Di Forte insieme a Gioacchino e Salvatore Mastrosimone, rispettivamente padre e figlio, avrebbero capeggiato un’organizzazione disposta a tutto pur di primeggiare e far proprio un vasto territorio.
L’analisi strutturata dai magistrati incaricati della conduzione delle indagini, Nicolò Marino e Giovanni Di Leo, sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, appare, del resto, assai lineare: la volontà espressa da Di Forte e dai Mastrosimone sarebbe stata quella di azzerare ogni tipo di resistenza, soprattutto se capeggiata da forze del passato, anche qualora questa si fosse manifestata tra i componenti del medesimo sodalizio; Giuseppe Taverna, pienamente inserito nell’organigramma, ad esempio, nonostante il rapporto di parentela che lo legava direttamente alle due “spalle” di Cosimo Di Forte, doveva essere ucciso, poiché sospettato di volersi dissociare da ogni successiva azione di fuoco, e sarebbe andato incontro ad un simile destino qualora le forze dell’ordine non avessero deciso di intervenire: la medesima soluzione, del resto, era stata escogitata nei riguardi di Calogero Licata, ex esponente della cosca di Sommatino, già collaboratore di giustizia, Giuseppino Panzarella, vicino al nuovo mandamento, e Alfredo Tardanico, la cui unica colpa sarebbe stata quella di essere il padre di Giuseppe, mente e braccio del gruppo “scissionista” di Riesi entrato in conflitto con quello capeggiato dalla famiglia Cammarata, dissociatosi dal suo personale passato.
Secondo gli inquirenti quello scoperto al tramonto del 2009 è un complesso criminale profondamente organizzato, come dimostrato, peraltro, dalla notevole mole di armi a disposizione, una parte delle quali, compresa una bomba a mano, veniva custodita all’interno di quello che può a pieno titolo ritenersi un centro operativo, ovvero l’ovile di proprietà della famiglia Mastrosimone, ubicato in contrada Mintina, proprio a cavallo tra i comuni di San Cataldo e Riesi.
Se Cosimo Di Forte, assoluto motivatore dei suoi “compagni”, formatosi nel mito dei boss gelesi, tanto da citarli anche nel corso di talune intercettazioni telefoniche, può ritenersi a tutti gli effetti un prodotto della “nouvelle vague” mafiosa, Gioacchino Mastrosimone, viceversa, garantiva l’aderenza verso esperienze risalenti nel tempo: parliamo, infatti, di un volto assai noto agli inquirenti, arrestato nel 1994, a seguito dell’operazione “Santa Barbara”, e fratello di uno degli ex sovrani di cosa nostra agente a Sommatino, Pasquale, aderente alla fazione presieduta da Giuseppe Madonia, ucciso nel 1990.
L’aspetto che più di ogni altro, però, attrae i responsabili dell’inchiesta è quello imperniato su un inestricabile dubbio, tale almeno fino al momento del blitz, “Nuovo Mandamento”: l’omicidio di Salvatore Calì e l’infruttuoso agguato teso ai danni di Salvatore Mosca, nipote dell’ucciso, si legano all’infaticabile opera avviata dalla nuova fazione, di conseguenza destinati ad imporre un diverso governo al regno mafioso, oppure devono ritenersi mero risultato di una commissione ricevuta da terzi, magari nel contesto di una lotta interna al locale mercato delle pompe funebri?
L’immediata collaborazione concessa agli investigatori da Giocchino e Salvatore Mastrosimone, decisi ad invertire la rotta fino ad oggi percorsa, favorirà il lavoro di analisi rivolto al perseguimento di un nitido ritratto della sommersa San Cataldo e non solo. La città, intanto, rischia di sovrastare la tradizionale egemonia conseguita nel corso del tempo da altri comuni della medesima provincia: un primato, quello nella classifica dell’instabilità criminale, sicuramente poco agognato.
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