Focolai notturni a Gela
Pochi giorni fa, proprio al tramonto del 2009, come da tradizione, il locale commissariato della Polizia di Stato ha reso noti i dati più significativi prodotti dall’azione svolta sul territorio gelese: gli esiti, certamente, possono definirsi preoccupanti, considerando il netto aumento, pari al 30%, della percentuale di arresti eseguiti a confronto del precedente anno solare, ovvero il 2008.
Al cospetto di un simile incremento, però, è stata individuata un’attenuazione del fenomeno degli attentati incendiari: ridottisi sul piano numerico ma rafforzatisi, al contempo, su quello dell’efficacia simbolica, poiché in grado di colpire obiettivi strategici e conseguentemente lanciare un palese avvertimento anche a bersagli non ancora interessati dal lancio di metaforiche frecce infuocate.
L’estate oramai alle spalle fu tratteggiata da lunghe notti di fuoco e da svariate ronde criminali conclusesi con l’esplosione di proiettili verso le saracinesche abbassate di diversi esercizi commerciali presi di mira.
Il periodo successivo, quasi a sorpresa, non riservò ulteriori attacchi, contribuendo all’abbattimento della statistica redatta dagli organi di polizia, e coincidendo, peraltro, con talune significative operazioni condotte sul territorio gelese dalle medesime forze dell’ordine: “Scorpione”, posta in essere al fine di attenuare la pericolosità del gruppo, con caratteristiche tipicamente “borderline”, capeggiato da Giuseppe Alfieri; “Obtorto Collo”, portatrice di uno schiaffo non indifferente in direzione degli estorsori facenti capo al clan Emmanuello; “Compendium”, vera e propria summa dell’opposizione ai molteplici interessi della famiglia dominata, in passato, dal defunto Daniele Emmanuello.
La inaspettatamente calda, soprattutto dal punto di vista meteorologico, mattinata del 23 dicembre, per la prima volta in città, aveva visto sfilare tra le strette vie del centro storico un folto drappello di commercianti, esponenti istituzionali e delle forze dell’ordine, nell’intento di far percepire, a tutti coloro che non avessero ancora colto la proverbiale antifona, il radicale mutamento in atto nella ex “capitale della mafia”: la regalia, l’offerta in favore delle famiglie dei detenuti, o ulteriori declinazioni del medesimo assioma linguistico, devono ritenersi totalmente bandite.
Le incursioni dei sodali delle cosche, però, non si sono fatte attendere; bisognava concepire una risposta, efficace e clamorosa, di modo da trasmettere una comunicazione totalmente opposta a quella diffusa dalle “forze avverse”: il racket a Gela è stato, continua ad esserlo e verrà, anche in futuro, imposto ad ogni categoria legata, in un modo o nell’altro, ad una, seppur minima, capacità di profitto.
Le lingue di fuoco hanno iniziato ad imperversare nella notte di lunedì 28 dicembre, attanagliando l’ingresso degli uffici di pertinenza dell’azienda “Campo Marmi”, gestita da Giovanni Campo; le successive tenebre hanno, invece, fatto da privilegiato scenario per gli autori della “lettera” di piombo recapitata all’indirizzo della pasticceria, “Vecchia Stazione”, e conseguentemente del suo proprietario, Vito Fraglica, ed infrantasi, sotto forma di un intero caricatore di pistola, contro il furgone utilizzato dalla ditta per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Il nuovo anno era da poco scoccato quando, nel corso delle prime ore della sera del 3 gennaio, uno dei furgoni appartenenti all’azienda floro-vivaistica di Angelo Agati veniva reso inutilizzabile da un incendio provocato dallo spargimento di liquido infiammabile; modalità praticamente speculari venivano attuate, a distanza di sole tre ore, al fine di arrecare gravi conseguenze all’attività svolta da Maurizio Monte, titolare di un magazzino atto alla conservazione di materie prime alimentari: nel caso di specie la combustione indotta dalla benzina versata sull’intero perimetro della struttura avrebbe potuto cagionare effetti assai più preoccupanti, oltre, ovviamente, a quelli economici patiti dal titolare, calcolati, in base ad una prima stima, intorno ai ventimila euro.
Un fattore appare onnipresente in tutte queste vicende: nessuno degli operatori commerciali colpiti avrebbe subito pressioni o ricevuto, in qualsiasi modo, richieste estorsive. Se l’inconsapevolezza mostrata dai colpiti dovesse rivelarsi fondata ci si troverebbe innanzi ad una strategia della tensione, molto simile a quella praticata dalle cosche imperanti nei quartieri di Palermo, imperniata su di una sorta di preventiva messa in guardia: ovvero il colpo viene scagliato prima di attivare l’iter dell’avvicinamento finalizzato alla richiesta di un contributo fisso; si cerca, così, di far conoscere, in anticipo, le conseguenze derivanti da un eventuale diniego.
Le cosche gelesi hanno necessità impellente di attingere al settore commerciale, unico in grado di poter assicurare introiti fissi, anche se assai risicati: le defezioni subite giungono, oramai, a cifre inimmaginabili solo a metà degli anni novanta; le famiglie dei detenuti necessitano di un qualche supporto; la perdita di quella che in passato poteva, a buon titolo, definirsi un’inestricabile morsa rappresenterebbe un drammatico de profundis criminale, ma, al contempo, una totale liberazione per la società civile.
Intanto Gela attende il prossimo “focolare notturno”.
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