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“Strage di Vittoria”, bloccata un’alleanza mafiosa

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Lunedì 21 Dicembre, al tramonto di un 2009 decisamente ostile a taluni storici latitanti appartenenti alle principali consorterie mafiose isolane, la Corte d’Assise di Siracusa ha emesso quello che, a buon ragione, può ritenersi un definitivo giudizio, non solo sul piano procedimentale ma, ancora, su quello strettamente storico, rispetto alla tristemente famosa “strage di Vittoria” del 2 Gennaio 1999.

Cinque caduti ed una città, Vittoria, più di sessantamila abitanti, porta naturale della provincia di Ragusa, condannata, si pensò, a non mutare uno stato di feudo permanente conteso da due gruppi criminali in lotta: la fazione dei Carbonaro-Dominante e quella dei D’Agosta.A nove giorni di distanza dalla mattanza, verificatasi all’interno del piccolo bar annesso al punto di distribuzione carburante, Esso, ubicato proprio all’entrata meridionale del centro ad economia prevalentemente agricola, gli inquirenti condussero a termine l’operazione “Victory”, tesa ad assicurare alla giustizia i presunti responsabili dell’azione di sangue, tutti interni alle due famiglie mafiose vittoriesi. Ad un originario filone processuale, conclusosi con le condanne di taluni vertici della locale malavita, ne seguì, però, un secondo: scaturito dalle dichiarazioni rese, per primi, dai fratelli Giovanni ed Alessandro Piscopo, tra i leader della “ribellione” interna alla famiglia Carbonaro-Dominante. 
I due esponenti della criminalità vittoriese, sostenuti da un loro cugino, Alessandro, optando per una via opposta a quella criminale, fonte di lutti e condanne penali, indicarono cosa nostra gelese quale braccio strategico ed operativo dell’operazione.L’intento era tutt’altro che difficile da comprendere: la famiglia Emmanuello di Gela, strettamente legata a quelle Madonia e Rinzivillo, progettava di “invadere” il territorio ragusano. L’occasione propizia si inverò per il tramite delle divisioni intestine al gruppo Carbonaro-Dominante, decisive ai fini della formazione di una realtà parallela, quella dei D’Agosta. Bisognava, insomma, sostenere l’insurrezione capeggiata dai fratelli Piscopo, per raggiungere l’obiettivo preventivato: prendersi Vittoria.La preda da abbattere definitivamente quella sera di dieci anni fa era Angelo Mirabella, un emergente del clan Carbonaro-Dominante, attivo soprattutto nel settore dello spaccio di stupefacenti; insieme a lui vennero assassinati Claudio Motta e Rosario Nobile, due “compari” della nuova leva. Il fuoco dei sicari, tuttavia, non si arrestò neanche innanzi ai corpi di Salvatore Ottone e Rosario Salerno, semplici avventori, trasportati, fatalmente, al centro del vortice di metallo abbattutosi all’interno del locale prescelto dagli assassini. “Dove sono andato tutto a posto”, questa la frase pronunciata, nel corso di un colloquio telefonico intrattenuto con il boss latitante, Alessandro Emmanuello, uno dei reggenti dell’omonimo gruppo malavitoso gelese, da Carmelo Massimo Billizzi, ambasciatore sul campo dello stesso, divenuta essenziale per assestare una svolta fondamentale alle indagini.Con una simile prolusione Billizzi intendeva rassicurare il capo, allora latitante in terra tedesca, a Mainz, preoccupato dell’esito di una spedizione disegnata nei minimi dettagli.
Cosa nostra, dalla vicina Gela, aveva orchestrato il blitz, apice di una violenta strategia destinata a far assaggiare ai rivali l’intensità della forza sprigionabile dalla trincea nissena.La Corte siracusana ha, così, accolto la tesi esposta dal sostituto procuratore della Direzione Investigativa Antimafia di Catania, Fabio Scavone, condannando alla pena dell’ergastolo Alessandro Emmanuello, fratello del boss Daniele, Carmelo Massimo Billizzi, tra i più in vista nell’organigramma della famiglia Emmanuello, Gianluca Gammino, indicato come lo spietato omicida in azione la sera del 2 Gennaio e Giovanni Avvento, fautore del progetto dal versante vittoriese.Cosa nostra, attraverso i servigi resi dai fratelli Emmanuello, aveva orientato l’obiettivo del personale “telescopio” proprio in direzione del centro ragusano, non solo per la vicinanza dalla base operativa, ma, soprattutto, per i profitti celati tra le maglie del tessuto economico del centro ragusano. 
Non bisogna di certo trascurare che la città è sede di uno dei principali mercati ortofrutticoli dell’intero meridione, con un fatturato annuo di circa 190 milioni di euro, assai appetito dalle locali cosche, spesso capaci di inserirsi negli appalti inerenti la gestione dei box vendita ed il trasporto delle merci, come dimostrato, peraltro, dagli esiti di svariate inchieste condotte dagli investigatori, attratti dalle commistioni esistenti tra la struttura commerciale vittoriese e quella presente entro il territorio di Gela.Il collaboratore di giustizia, Carmelo Barbieri, rappresentante degli interessi espressi dal gruppo facente capo a Giuseppe Madonia, sentito nel corso dell’istruttoria dibattimentale dai giudici della Corte d’Assise di Siracusa, ha chiaramente descritto la volontà dei fratelli Emmanuello di utilizzarlo quale moderno “cavallo di troia” da inserire all’interno dell’ortomercato di Vittoria, mediante la gestione di alcuni punti vendita, facendo leva sulla pregressa esperienza maturata da questo nell’ambito del nodo economico gelese, ove l’attuale “pentito”, anche per il tramite della moglie, figlia di Carlo Domicoli, ucciso nel 1987, e a sua volta operante nel settore della vendita all’ingrosso di frutta, ha gestito alcune delle undici postazioni esistenti. 
Le raffiche di proiettili esplose dalle armi impugnate quella sera da Gianluca Gammino e Giovanni Piscopo servirono alla nascente alleanza formata dagli Emmanuello di Gela e dai “ribelli” in rotta con i vertici del clan Carbonaro-Dominante, non alla mera affermazione di una supremazia criminale, bensì allo scopo, prevalente, di appropriarsi di un florido meccanismo economico.

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