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Trapani: una speculazione edilizia fatta dalla mafia

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Due condanne, per Francesco Pace, riconosciuto conclamato boss mafioso, e l’ing. Leonardo Barbara, una prescrizione e una assoluzione per l’on. Bartolo Pellegrino, ex vice presidente della Regione con il governatore Cuffaro. Pace, Barbara e Pellegrino sono stati protagonisti di una stessa vicenda di corruzione. L’on. Pellegrino è stato pure assolto dai giudici del Tribunale di Trapani, perché il fatto non sussiste (pronunciata dai giudici con la formula che ricalca l’insufficienza di prove) dall’altro capo di imputazione, dall’accusa del concorso esterno in associazione mafiosa. Per Pellegrino l’accusa, pm Andrea Tarondo, aveva chiesto una condanna a 8 anni, per Barbara 4 anni e 6 mesi, per Pace, 6 anni.

Un processo chesi è così concluso (non per tutti gli imputati) e che sancisce che la mafia di Trapani è stata dentro la costruzione dei 600 alloggi realizzati con i fondi destinati alle cooperative nella zona di Villa Rosina. Il relativo programma costruttivo (approvato da Consiglio comunale e Regione in deroga della destinazione urbanistica, palazzine sorte su area agricola resa nel 2001 apposta edificabile) riuscì a non trovare ostacoli perché ci fu la corruzione di un politico, l’on. Bartolo Pellegrino, ma la vicenda processuale esclude che questi aveva consapevolezza che stava favorendo Cosa Nostra. Condannati, a 5 anni, perciò riconosciuti artefici della corruzione dell’on. Pellegrino, il capo del mandamento mafioso di Trapani Francesco Pace e l’ingegnere Leonardo Barbara, espressione del mondo delle «coop» (per lui applicata una pena più alta rispetto a quella chiesta dal pm Andrea Tarondo); per Pace e Barbara la condanna c’è stata perché è scattata l’aggravante mafiosa disconosciuta invece all’on. Pellegrino, e così l’ex leader di Nuova Sicilia ha beneficiato della prescrizione del reato. Ma il passaggio di denaro ci fu.

Il grande accusatore di questa vicenda, l’imprenditore Nino Birrittella, ex patron del Trapani Calcio, arrestato per mafia nel novembre 2005 e che successivamente ha deciso di rendere dichiarazioni auto accusatorie, servite a delineare l’esistenza nel trapanese di scenari di commistione, tra mafia, politica e imprenditoria, è stato ritenuto attendibile fino a quando ha parlato delle colpe dei suoi «compari», imprenditori in primis, il suo racconto è stato fermato dai giudici sulla soglia della stanza dove la politica avrebbe incontrato la mafia. È questo quello che si coglie dal dispositivo della sentenza del processo «mafia e appalti seconda fase», per le motivazioni bisognerà attendere 90 giorni. Ma è una sentenza che certamente riconosce l’ingerenza della mafia trapanese nella speculazione edilizia del territorio cittadino, grazie, al solito, al controllo delle imprese da parte di Cosa Nostra. Una sentenza che anzi calca la mano: il disegno della corruzione per consentire al programma costruttivo di Villa Rosina secondo i giudici non si ferma ai soli imputati, due condannati e uno prescritto, Pace e Barbara, e l’on. Pellegrino, ma andrebbe oltre: il Tribunale ieri infatti ha deciso di trasmettere alla procura antimafia di Palermo gli atti relativi a due degli indagati rimasti ancora fuori da ogni dibattimento, gli imprenditori Antonino Figuccio e Giuseppe Todaro, individuando a loro carico una responsabilità penale precisa, corruzione con l’aggravante mafiosa. Insomma la presenza mafiosa in questa storia non sarebbe cosa di poco conto. Il racconto di Birrittella peraltro era stato fatto in questa direzione, a lui Barbara si era rivolto perchè quel progetto avesse una copertura tale (quella mafiosa) da arrivare a «impegnare» la politica, e Barbara ha individuato come soggetto da coinvolgere l’on. Bartolo Pellegrino, ben conoscendolo per una frequentazione di antica data. Birrittella ha confermato di essersi mosso in questa direzione (raccontando di un incontro al bar per «saggiare» l’esponente politico, mostrando una busta col denaro) e fino a qui si compie il reato di corruzione, ma non si va oltre perchè i giudici avrebbero deciso di non tenere conto del fatto che il boss mafioso Pace a Birrittella aveva confermato il contatto diretto con Pellegrino. «Nessun contatto» aveva sostenuto la difesa con gli avvocati Galluffo e Mormino, che avevano anche escluso l’ipotesi di corruzione. «Un milione per Bartolo (Pellegrino ndr), un milione per Peppe (Todaro ndr), un milione per Ciccio (Pace ndr)» gli investigatori avevano sentito durante una intercettazione, ma la difesa aveva ribattuto: «Neppure Birrittella ha saputo dire cosa avrebbe dovuto fare Pellegrino; se non lo sà il protagonista della corruzione….».

Il processo però non si ferma e prosegue per un quarto imputato, l’ex funzionario del Demanio Francesco Nasca, accusato di avere favorito Cosa Nostra nel tentativo condotto dai boss mafiosi di riprendersi il possesso della Calcestruzzi Ericina, l’azienda confiscata alla mafia (il pm per lui ha chiesto una condanna a 7 anni): il Tribunale ha deciso di ascoltare altri due testi, il responsabile dell’impianto ed il capo area meccanica della Calcestruzzi Ericina, citati per l’udienza fissata per il 20 gennaio, solo dopo sarà pronunciata la sentenza riguardante Nasca.

La sentenza – presidente Camassa, a latere Cersosimo e Calvisi – è stata pronunciata ieri verso le 13. La lettura è avvenuta nell’aula bunker del carcere di San Giuliano dove i giudici sono stati al lavoro in questi quattro giorni, da mercoledì, da quando si sono ritirati in camera di consiglio, fino a ieri. Il dibattimento è quello scaturito dal blitz «mafia e appalti seconda fase» eseguito nell’aprile 2007 dalla Squadra Mobile. Il processo ha preso il via nel luglio dell’anno scorso e la scorsa estate si era concluso per due dei sei imputati originari. Furono condannati per mafia ed estorsione l’imprenditore Michele Martines e Francesco Virga. Ieri mattina la sentenza per tre dei quattro altri imputati. Rinvio per Francesco Nasca.

La sentenza letta ieri dal presidente Alessandra Camassa ha «colpito» anche le parti civili. In aula ad ascoltare la lettura del dispositivo c’era anche il sindaco di Paceco, Gino Martorana, il Comune nel processo è stato rappresentato dall’avv. Giambrone, ma è andato via «a mani vuote». I giudici hanno infatti rigettato le domande risarcitorie presentate dal Comuni di Paceco, Erice (avv. Rando), e Valderice (avv. Giovanna Massimo D’Azeglio). Risarcimento del danno riconosciuto invece alle parti civili Comuni di Trapani (avv. Santangelo), Provincia regionale (avv. Maggio), e Confindustria (avv. Novara), per ognuna di loro una provvisionale di 20 mila euro, il resto del danno sarà quantificato in sede civile.

Poche parole quelle dell’ex assessore Bartolo Pellegrino dopo la sentenza: «Prendo atto dell’assoluzione. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia». Pellegrino ha incassato una solidarietà «ministeriale»: «Esprimo soddisfazione per l’on. Bartolo Pellegrino, questa sentenza restituisce tutto l’onore che merita a un dirigente politico di grande onestà, trasparenza e linearità che si è sottoposto con serenità al giudizio e agli approfondimenti della magistratura» ha affermato il ministro per l’Attuazione del Programma di governo e leader democristiano del Pdl, Gianfranco Rotondi.

Toni «accesi» dal sindaco Vittorio Sgarbi e dal deputato dell’Udc Pio Lo Giudice. Reazioni che arrivano dal mondo politico di Salemi, città della quale Sgarbi è sindaco e dove Lo Giudice ha il suo centro nevralgico, non foss’altro perchè tutti e due a salemi nei loro impegni elettorali hanno trovato il giusto sostegno dell’ex onorevole Pino Giammarinaro, uno di quei soggetti che con la mafia ci avrebbe avuto a che fare, come dice la sentenza con la quale è stato per diversi anni soggetto alla sorveglianza speciale. Per Sgarbi e Lo Giudice la sentenza nei confronti di Pellegrino secondo loro smentisce operato di inquirenti, investigatori e della stampa che ha avuto solo il compito di raccontare indagine e processo. L’occasione torna ad essere buona per sparlare dell’antimafia e non dire nulla sulla mafia. Rispetto a questo nel trapanese ci sono sempre orecchie bene attenti e contente di ascoltare simili cose.

«Non si può restituire l’onore a Pellegrino senza sanzionare chi lo ha inquisito senza riscontri certi» ha detto Sgarbi, «ora che è stato assolto non posso tacere interrogativi altrettanto inquietanti: chi lo ha diffamato nel nome del popolo italiano, chi lo ha fatto arrestare e lo ha incriminato, in che modo pagherà e in che modo lo risarcirà». Per mesi e mesi l’accusa e una certa stampa supina ai pm, ci hanno raccontato un altro Pellegrino. Oggi un Tribunale ci dice che il fatto non sussiste. Se da un lato vi è il conforto per la verifica di un giudice davvero “terzo” capace di distinguere i fatti dalle suggestioni, dall’altro – aggiunge Lo Giudice – non possiamo non dimenticare la canea giustizialista contro Pellegrino nel nome di un’antimafia extragiudiziaria. La vicenda Pellegrino ci insegna come sia sempre utile coltivare l’esercizio del dubbio».

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