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Il valore del lavoro per un’Italia libera dalle mafie

Di Pierpaolo Romani* il . L'analisi

Il lavoro, insieme all’educazione, costituisce un caposaldo per un’azione che si propone di liberare l’Italia dalla presenza delle mafie. Sul lavoro, infatti, si fonda e si ricostruisce giorno dopo giorno la dignità delle persone, la qualità della loro vita presente e futura. Il lavoro, così come sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione, è il fondamento della nostra Repubblica.  

Credo sia importante ricordare che le mafie hanno ucciso imprenditori, sindacalisti e lavoratori e che in Italia, ancora oggi, per lavoro in tanti continuano a morire. Sono stati 1.120 le vittime nel 2008, secondo l’ultimo Rapporto Inail. Oggi, in Italia, lavorano 23.203.000 persone, la maggior parte delle quale è impiegata nel settore dei servizi, mentre 1.841.000 sono in cerca di occupazione (più 8,1% rispetto al terzo trimestre 2008, Fonte: Istat, settembre 2009).  
La distribuzione dell’occupazione non è omogenea su tutto il territorio nazionale. Infatti, la percentuale di chi si è già inserito nel mondo del lavoro diminuisce notevolmente da Nord a Sud, passando dal 62,6% di occupati nell’Italia Nord-Occidentale (2 persone su 3) al 45% del Sud e al 44,6% delle Isole (2 persone su 5). In Lombardia è occupato il 65,1% della popolazione avente un’età compresa tra i 15-64 anni, mentre in Calabria soltanto 37,4% (oltre 15 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale). Il Centro ed il Mezzogiorno presentano quote di lavoratori autonomi e parasubordinati più elevate rispetto al Nord (Fonte: Istat, agosto 2009) Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha recentemente affermato che il tasso di attività nel mercato del lavoro nel Mezzogiorno resta tra i più bassi d’Europa, soprattutto per i giovani e per le donne, e che un quinto del lavoro è ancora irregolare. Lo stesso Draghi ha ricordato come nel secondo trimestre del 2009 l’occupazione nel Mezzogiorno è calata del 4,1% rispetto all’anno precedente mentre, per lo stesso arco temporale, nel Centro-Nord è scesa dello 0,6%.  
Questi dati pongono una precisa domanda: come è possibile liberare l’Italia e il Mezzogiorno dalle mafie quando in terre dove storicamente la criminalità organizzata è sorta è molto difficile trovare un lavoro e, quando lo si trova, in diversi casi, è un lavoro precario? La speranza di riscatto e di liberazione dalle mafie passa anche attraverso la scuola. Sono amari, a tal proposito, i dati forniti dall’ultimo Rapporto Svimez in merito alla relazione esistente tra giovani, scuola e lavoro. Nel 2004, secondo l’istituto di ricerca economica sul Mezzogiorno, lasciavano il meridione il 25% dei migliori laureati (1 su 5); nel 2007 la percentuale è salita al 38% (2 su 5). A questi dati si aggiungano quelli sulla disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione tra i ragazzi di età compresa tra i 15-24 anni è del 16,5% al Nord e del 35,3% nel Mezzogiorno (Fonte: Istat, settembre 2009). Un ostacolo alla ricerca di un lavoro onesto e dignitoso è rappresentato certamente della mafie che, secondo quanto riferito dal Censis, ogni anno nel Sud Italia sottraggono 180 mila posti di lavoro regolare.  Nella recente Relazione sul fenomeno dell’evasione fiscale, svolta dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria della Camera dei deputati, è stato scritto che in Italia il valore della cosiddetta economia sommersa, dentro la quale rientra anche il ricorso a forme illegali di lavoro, oscilla annualmente tra i 230-250 miliardi di euro, con un’incidenza sul PIL nazionale del 16,1%. A questo si aggiungano il costo della corruzione che, secondo la Corte dei conti ammonta a 50 miliardi di euro l’anno e il costo del “pizzo”, la tassa delle mafie, che, secondo la Fondazione Chinnici, nella sola Sicilia costa più di 1 miliardo di euro l’anno, l’1,3% del PIL regionale. La mancanza di lavoro vero in alcune zone del Paese è uno dei costi sociali ed economici che l’Italia paga, non solo a causa della crisi economico-finanziaria, ma anche per la presenza delle mafie, di un clientelismo e di una illegalità diffuse.  
Quale imprenditore può investire seriamente nel Mezzogiorno quando è consapevole che oltre a pagare le tasse allo Stato deve pagarle anche alle mafia, dove sa che per ottenere una licenza o una autorizzazione che gli spetta di diritto dovrà pagare una tangente (siamo al 61° posto nella classifica di Transparency International per il 2009), dove sa che il costo denaro è maggiore rispetto al Centro-Nord, dove sa che in caso di controversia con un altro attore sociale, economico, istituzionale la giustizia impiegherà 8-10 anni per giungere a sentenza, dove sa che mancano strade, ferrovie ed aeroporti all’altezza della situazione? Parlando di lavoro e di illegalità diffusa, dobbiamo pensare anche al Nord Italia a quanti immigrati clandestini hanno costruito e stanno costruendo palazzi, strade, ospedali, grandi opere, lavorando in nero. A quanti prodotti di marca e contraffatti vengono realizzati da persone rese schiave. Oggi, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che una quota del mercato del lavoro italiano non è solo irregolare ma anche schiavistica. Una possibilità di riscatto concreta nel Mezzogiorno è l’uso sociale dei beni confiscati ai mafiosi e la nascita delle cooperative di Libera Terra che ha permesso a decine di giovani di poter svolgere un lavoro vero, di non emigrare dalla loro regione, di testimoniare concretamente che è possibile liberarsi dal giogo mafioso. Oggi tutto questo rischia fortemente di essere cancellato da una legge che si propone di vendere i beni confiscati, nonostante la contrarietà espressa non solo all’interno del Parlamento da esponenti di diverse forze politiche, ma anche da migliaia di cittadini che hanno firmato l’appello di Libera, nonostante tanti comuni italiani abbiano approvato all’unanimità l’ordine del giorno proposto da Avviso Pubblico, nonostante quanto scritto nella Relazione della Commissione parlamentare antimafia del 2007 sui beni confiscati, votata all’unanimità, nonostante l’autorevole parere contrario alla vendita dei beni espresso dal CNEL. 
Oggi è tempo di fare le cose insieme e di far sapere che le facciamo insieme. La Carovana antimafia sia oggi per Avviso Pubblico, Libera, Arci e Sindacati l’inizio di un lavoro congiunto, costante, fondato sul perseguimento di obiettivi comuni. Uno di questi obiettivi deve essere, a nostro giudizio, la difesa della Costituzione e l’applicazione concreta dei suoi principi fondamentali.  Le mafie non sono solo gruppi criminali, sono diventate vere e proprie imprese criminali (fatturato di 130 miliardi di euro l’anno), che danno lavoro, si infiltrano nell’economia legale, negli appalti, nella politica (153 comuni sciolti per mafia dal 1991 ad oggi).  Le mafie uccidono la democrazia il libero mercato. È questa una valida ragione per agire, insieme e subito.

*Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico 

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