Sabato scorso la Polizia di Stato ne ha combinata un’altra delle sue: Milano – Palermo biglietto di solo andata per due tra i più grossi mafiosi in circolazione. Il numero due e il numero tre di cosa nostra, nientemeno. Roba da far tremare le vene nei polsi per la gioia. O per la rabbia. Nota stonata per parecchi, quella di Sabato, anche se in questi casi è d’obbligo far buon viso a cattivo gioco e tirare a campare. Perché non a tutti è piaciuto il fatto che a mollare l’ennesima mazzata al cancro mafioso sia stata la Polizia di Stato. Non sono stati i rondisti di Crescenzago a trarli in arresto, né gli arditi incursori del quinto aviotrasportato, e neanche quei militari tanto cari al Ministro della Difesa, quello per intenderci che una settimana fa, dopo aver debellato (secondo lui) la microcriminalità nelle città grazie ai fanti, voleva fare il bis sui treni perché, a suo insindacabile giudizio, il servizio offerto dalla Polizia non era soddisfacente. Invece il servizio che Lui offre al Paese è, a nostro insindacabile giudizio, soddisfacente. Perciò rimanga dove sta e nessuno si sogni di mandarcelo all’Interno. Non sono stati i medici-spia introdotti nell’ultimo pacchetto sicurezza, né il neo-reato dello stalking a fare il miracolo. E per essere precisi neanche il tanto decantato pacchetto antimafia dell’agosto di quest’anno è servito molto nell’occasione. Aggravare il 41- bis a chi è già dentro, o anticipare la possibilità della confisca a un diverso momento del processo penale, o allargare le ipotesi di applicazione delle misure di prevenzione non c’entra nulla con l’arresto dei latitanti. C’entrano semmai le intercettazioni telefoniche e ambientali, quelle cioè che il Governo in carica intende fortemente ridurre per varie ragioni. Perché costano tanto, perché a volte i loro resoconti finiscono sui giornali, perché svelano retroscena imbarazzanti.
Ma che il Governo vuole comunque ridurre. C’entrano semmai le politiche per contrastare il patrimonio dell’organizzazione mafiosa, colpirla nei suoi affetti più cari, che non sono gli amici o la famiglia ma i soldi: e di certo un Governo che nella finanziaria in discussione per l’anno 2010 propone di vendere ai privati i beni confiscati alla mafia per “far cassa” non fa una politica convincente di lotta alla criminalità organizzata. Anche un bambino capirebbe che basta trovare il prestanome giusto per consentire alla mafia di rientrare in possesso del bene così faticosamente sequestrato. C’entrano sicuramente le energie che un Governo intende profondere nello sforzo della lotta alla mafia: uomini mezzi soldi. E qui casca l’asino.
Perché se dovessimo giudicare l’azione di questo Governo secondo questo criterio, dovremmo gridare allo scandalo. Proprio a Palermo, per effetto dei tagli dell’ultima finanziaria gli investigatori hanno subito la disastrosa decurtazione del settanta per cento (70%) del budget per le missioni, e i colleghi del Reparto Scorte, quello per intenderci che nelle guerre che la mafia conduce contro lo Stato paga sempre il più consistente tributo di sangue, invece di possedere 520 auto a disposizione per proteggere personalità davvero a rischio, ne hanno 240. Le altre sono inservibili e nessuno si sogna di sostituirle perché quando c’è da scegliere si risparmia su tutto. Anche sulla nostra pelle.
E allora francamente non capisco il tifo da stadio che si è scatenato in concomitanza con la nostra brillante operazione della Polizia di Stato. Gente che rappresentava lo Stato ai più alti livelli sbraitava ed urlava ebbra di felicità come due sedicenni al concerto di Eros Ramazzotti nel patetico tentativo di accaparrarsi il merito di un evento accaduto a prescindere dalla loro azione. Più correttamente, “nonostante”la loro azione. Quella dei colleghi che alzavano lo sguardo al cielo coperti dal mefisto, quella era la gioia vera di chi rappresenta lo Stato. Quella è la Polizia che un Paese moderno civile e legalitario merita. Quella è la lezione di efficienza di abnegazione e di eroismo che gli uomini di Stato riescono ancora oggi a dare alle nuove generazioni. E se tra i ragazzi delle medie qualcuno sta pensando di fare da grande il poliziotto, è perché ha visto l’entusiasmo e la passione di chi facendo bene il proprio mestiere contribuisce al progresso del Paese. Non certo perché ha visto una pletora di politicanti accapigliarsi per spartirsi una preda che non hanno cacciato.
Abbiamo molto apprezzato la sensibilità del nostro Ministro il quale, insieme al Capo della Polizia, ha voluto per l’ennesima volta, testimoniare la sua vicinanza ai colleghi della Mobile di Palermo e, loro tramite a tutti gli uomini e le donne della Polizia di Stato. E’ stata una bella giornata per tutti noi. Vedere il Ministro dell’interno che indossa il mefisto o suona il campanaccio della catturandi (quello che per tradizione viene suonato dai colleghi in occasione di arresti eccellenti) è un segnale di intima vicinanza, di condivisione e di sostegno alla nostra causa. E solo il Padreterno sa quanto questo sia importante per noi. Ma anche per il Ministro Roberto Maroni è venuto il momento di decidere cosa fare. In una serie di recenti incontri, qualcuno avvenuto anche a ridosso della grande manifestazione organizzata da tutti i sindacati di polizia contro i tagli della sicurezza, il Ministro sembrava aver preso atto di quanto drammatica fosse la situazione dell’intero comparto a seguito dei tagli. Ed aveva promesso che avrebbe fatto il suo mestiere. E ha mantenuto la parola prodigandosi nel Consiglio dei Ministri per contenere i tagli, ottenere finanziamenti ulteriori, cercare l’apertura sul riordino delle carriere. Poi qualcuno, del suo partito, suona la cornamusa celtica al momento giusto e il tutto rientra nelle superiori esigenze della ragion di Lega. Ecco è arrivato il momento di scegliere tra il presentarsi in pubblico col fazzolettino in tasca verde-lega anche quando si porge omaggio ai caduti di Palermo o più sobriamente rappresentare in veste istituzionale il Ministro dell’Interno quale centro d’imputazione di tutte le responsabilità in tema di sicurezza.
Il nodo va sciolto arrivati a questo punto il più presto possibile. Sennò amici come prima e ognuno per la sua strada: la lotta alla mafia e al crimine continuerà ma con la consapevolezza, ieri come oggi, che a farla siamo solo noi. Siamo solo noi, e siamo davvero sempre più da soli. Tutti erano contenti Sabato a Palermo e a Milano. Cittadini, istituzioni, politici. Tutti tranne me. Perché pensavo che se riusciamo, nonostante tutto, a realizzare risultati così brillanti con le quattro cose che abbiamo, cosa potremmo fare se ci dessero i mezzi necessari? E, soprattutto, perché non ce li danno?
*Segretario nazionale SIULP Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia