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Lotta alla mafia:
dati e incongruenze

Di Stefano Fantino il . L'analisi

«Credo che sarebbe utile la creazione di una vera e propria agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Questa dichiarazione del ministro dell’Interno Maroni, vale molto più di tante analisi sull’operato antimafia del governo. Da rimanere spiazzati a leggerla, in un periodo in cui in tanti, gente comune e anche politici di ambo gli schieramenti, hanno fermamente contestato un emendamento alla Finanziaria che prevede la possibilità di vendere i beni confiscati. Eppure siamo calati in questa dimensione antitetica: da un lato il Governo prevede la vendita dei beni non assegnati nel giro di pochi mesi, dall’altro invoca una agenzia che coordini i passaggi per arrivare al riuso sociale. Iniziativa lodevole, quest’ultima, e largamente invocata da molte parti, ma in controtendenza rispetto a quello che che la Camera dei Deputati si appresta a votare in blocco: una Finanziaria blindata, dopo che nella Commissione Bilancio sono stati bocciati tutti gli emendamenti dell’opposizione per bloccare la decisione, già presa dalla maggioranza al Senato, di vendere all’asta e a trattativa privata i beni sequestrati alle mafie e non assegnati entro pochi mesi a fini sociali. 

Gli arresti e le confische 
La creazione della struttura rientrerà nel piano nazionale antimafia in dieci punti che verrà presentato dal Governo già a gennaio. Per ora, come già accaduto in una conferenza stampa esattamente due mesi fa, il Governo annota sul taccuino gli sforzi operati nel contrasto alle mafie. Numeri importanti, per l’esecutivo, e inqualche caso, dato che si parla di dati di fatto e non di opinioni è davvero così. 377 le operazioni di polizia giudiziaria (con un incremento del 53%), 3.630 gli arresti (+ 22%); 282 i latitanti tratti in arresto (+87%); sequestrati beni per un valore totale di 5.629 milioni di euro (+56%); confiscati beni per un valore complessivo di 1.753 milioni di euro (+ 364%). Numeri importanti che sottolineano il grande impegno delle forze di polizia, ma che mostrano anche quanto in realtà l’esecutivo si muova spesso in direzione contraria. Come spiegare dunque il sottolineare il merito del recupero ai criminali di enormi quantità di beni, quando si rischia, con un emendamento di riconsegnarli agli stessi criminali? Per non parlare delle forze dell’ordine, smagrite dall’accetta economica del Governo e costantemente spuntate in una lotta spesso impari. Come le Procure e i magistrati, fortemente attivi nelle inchieste ma disarmate per organico e materie prime e, conseguentemente, spesso impotenti nel dare un seguito giudiziario alle opere di mera polizia. 
Le misure antimafia: norme incisive e contraddizioni palesi 
Il campo di azione antimafia del Governo sul fronte legislativo ha prodotto nel d.l 92/08 (poi convertito nella legge 125/08) misure più incisive per aggredire la criminalità straniera, rafforzando le competenze delle distrettuali antimafia, e attaccando i patrimoni dei mafiosi, come si legge nella presentazione Power Point rilasciata sul sito del Ministero degli Interni. Una disposizione che aggredisce i patrimoni che non potranno essere più restituiti agli eredi. Ma basta fare un giro presso qualsiasi sportello finanziario per notare la pubblicità che molte banche fanno alla possibilità di far rientrare in Italia del denaro: infatti questo stesso esecutivo ha approvato il cosiddetto “scudo fiscale”, che permette, a modiche penali, di far rientrare grossi capitali dall’estero. Capitali, spesso frutto di evasioni e illeciti, che potranno tranquillamente circolare. L’esecutivo ha sicuramente agito bene nel momento in cui ha dato maggiori competenze alle Prefetture per la gestione dei controlli sugli appalti e nella scelta di inasprire il 41 bis e punire chi, in tali condizioni, favorisce i contatti tra i boss e l’esterno. E nella interessante iniziativa di punire l’imprenditore che non denuncia estorsioni ricevute, escludendolo da futuri appalti. Parallelamente alcune decisioni prese hanno di nuovo motivato dubbi sull’operato. Strana ad esempio la gestione del Consigli comunali infiltrati dalle mafie. La legge 94/09 prevede inasprimento del trattamento degli amministratori collusi, non candidabili temporaneamente, ma all’atto pratico il Governo ha ratificato alcuni scioglimenti proposti dimenticandosi di altri. Recentemente sciolti Furnari (Messina) e San Giuseppe Vesuviano (Napoli), per mesi è rimasto sospeso il caso Fondi, fino a che l’amministrazione comunale si è dimessa senza arrivare allo scioglimento, come proposto dalla Commissione prefettizia di accesso al comune Pontino. Due pesi e due misure? Forse sono state ritenute poco convincenti le motivazioni del prefetto Frattasi, in un comune, in provincia di Latina, che avrebbe mostrato l’ennesimo caso di radicamento extra-meridionale delle mafie, a danno di una amministrazione comunale? 
Cosa Nostra e il modello Caserta 
Nessuna contraddizione, nessun dubbio appare invece in queste ore, con un Presidente del consiglio tirato sul banco degli imputati da un pentito siciliano e un sottosegretario su cui è pendente un’ordinanza di custodia cautelare, respinta dalla giunta per le autorizzazioni, e domani al voto in Parlamento. La grande sequenza di arresti di boss di spicco di Cosa Nostra siciliana nei giorni scorsi ha permesso all’esecutivo di rinvigorire la sua posizione di “governo antimafia”, capace di mettere in cella i mafiosi e di risolvere, il cosiddetto modello Caserta, le situazioni difficili in Campania. Contro il clan dei Casalesi però, la forte militarizzazione del territorio e la cattura di killer spietati (Setola, in primis) ha un contraltare nella perenne latitanza di esponenti di spicco (il duo Iovine-Zagaria) e nella quasi totale impotenza nel colpire le connivenze con il mondo politico e finanziario. Aldilà della veridicità delle motivazioni del gip napoletano che ne ha chiesto l’arresto, il caso Cosentino e la volontà di blindare la possibilità di trascinarlo in giudizio sono già di per sé l’epitome dell’intoccabilità di un mondo, quello della politica, che non deve essere scalfita nemmeno ipoteticamente. Così è avvenuta nella giornata di ieri quando il voto alla Camera ha raccolto ben 51 voti in più, rispetto alla maggioranza presente in aula, per negare l’autorizzazione a procedere contro il sottosegretario all’Economia. Ma c’è di più. Gli arresti di mafiosi siciliani sembrano essere il culmine investigativo di cui l’Italia ha bisogno per dirsi antimafiosa. Nessuna parola spesa per le altre compagini criminali come la ‘Ndrangheta, solo due anni fa sui giornali di tutto il mondo e ora paradossalmente ritornata nei meandri che per decenni ne hanno garantito impunità e prosperità. Se la mafia economicamente più influente viene dimenticata, se le Procure non hanno mezzi fisici e tecnici per indagare (il caso delle intercettazioni), molti aspetti di compenetrazioni tra legale e illegale, rimarrano purtroppo sulla carta. E di fronte a questi aspetti irrisolti, il gioco di immagine e la girandola di numeri delle conferenze stampa, rimarranno l’ennesima maschera indossata per nascondere la verità.

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