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Hiram, a processo mafiosi e massoni d’Italia

Di Rino Giacalone il . Sicilia, Umbria

La mancata acquisizione di un verbale potrebbe costare alla terza sezione del tribunale di Palermo una rogatoria internazionale e una trasferta in Australia del processo Hiram, quello scaturito dalle indagini condotte dagli investigatori dei carabinieri di Trapani, sulle connessioni tra mafia e massoneria e che ha visto lo svilupparsi di collegamenti tra Mazara, l’Umbria e gli uffici romani della Cassazione per «aggiustare» dei processi. Tra gli imputati ci sono anche degli imprenditori, il mazarese Michele Accomando, già condannato in altri processi di mafia, e il marsalese Nicolò Sorrentino che durante le indagini a Roma fu visto incontrarsi con il sen. Marcello Dell’Utri.

I giudici del processo vorrebbero ascoltare padre Ferruccio Romanin (indagato di reato connesso, con l’accusa di concorso in associazione mafiosa) ma il collegio presieduto da Raimondo Loforti potrebbe essere costretto a volare all’altro capo del mondo. La Procura aveva chiesto l’acquisizione del verbale di padre Romanin, ex parroco della chiesa romana di Sant’Ignazio, ma che ora abita in Australia: il legale di uno degli imputati si è però opposto e se non c’è il consenso delle parti l’acquisizione non è possibile.

I pm considerano fondamentale la deposizione di Romanin, autore di alcune lettere con cui veniva segnalato il presunto ravvedimento di mafiosi. Uno dei soggetti dei quali Romanin si è interessato è il mazarese Epifanio Agate, figlio del conclamato «padrino» mazarese Mariano Agate. Le missive del prete venivano utilizzate dal gruppo che avrebbe fatto capo al faccendiere di Orvieto Rodolfo Grancini, che peraltro in questo processo sta rendendo dichiarazioni, per raccomandare e far ritardare i processi. Secondo l’accusa, Grancini, che in Umbria guidava uno dei circoli di Forza Italia vicini al sen. Dell’Utri, ed aveva collegamenti con ambienti della massoneria, avrebbe gestito un giro di rapporti per aggiustare o ritardare la celebrazione dei processi di fronte alla Suprema Corte.

Un impiegato di cancelleria è imputato, si tratta di Guido Perapaio, ma ci sono sospetti che si concentrano su un altro soggetto, più alto in grado dentro la Cassazione, e peraltro originario di Castelvetrano. Il tribunale sulla rogatoria internazionale per sentire padre Romanin deciderà il da farsi nella prossima udienza.

Le indagini condotte dai carabinieri comandati dal capitano Antonello Parasiliti, fecero scoprire grazie ad intercettazioni, video riprese e pedinamenti, una serie di incontri che avvenivano anche nella sacrestia della chiesa dei gesuiti a Roma quando a guidarla era padre Romanin. I mazaresi Epifanio Agate e Dario Gancitano si sarebbero rivolti a lui su consiglio di Accomando: «Loro – gli spiegò parlando dei gesuiti – “cummananu tuttu u munnu”».

 Padre Romanin sentito durante le indagini avrebbe ammesso di avere scritto quelle lettere ma per pura pietà cristiana. Ora però ha lasciato Roma «allontanato» dalla chiesa in un modo che risulta anche molto anomalo. Tanti i segreti di quella «sacrestia» da dove erano soliti passare anche politici e massoni molto influenti.

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