Trapani: a giudizio la mafia che parlava con i politici
Ad un anno dagli arresti (10 dicembre 2008) il giudice delle udienze preliminari del Tribunale di Palermo ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura antimafia di Palermo per sette dei 10 indagati dell’operazione antimafia «Cosa Nostra resort». Tra questi c’è il sindaco di Valderice, Camillo Iovino (Pdl): il 24 gennaio dovrà comparire dinanzi al Tribunale di Trapani imputato di favoreggiamento e con lui anche l’imprenditore valdericino Tommaso Coppola (intestazione fittizia di beni).
Sotto processo pure l’ex vice sindaco di Valderice Francesco Maggio, Vito Virgilio, Giovanni La Sala, Francesco Mineo, accusati di essere stati prestanome di «don» Masino Coppola che dal carcere, dove si trova dal novembre 2005, riusciva a controllare ancora le sue società, pilotare gli appalti, fare false fatture per ottenere consistenti finanziamenti pubblici. Mandare a «chiamare» anche politici, come il sindaco Iovino secondo l’atto di accusa.
Suo intermediario il nipote, Salvatore Fiordimondo che assieme alla sorella, Caterina ha chiesto il patteggiamento, e per loro il gup ha rinviato l’udienza al 29 gennaio. Nella stessa data patteggerà anche Nicola Coppola, che non è altro che la sorella di «don» Masino. Resta in sospeso la decisione per un altro indagato, Salvatore Pirrone, per lui il gup ha deciso lo stralcio a causa del fatto che ieri non c’era il suo difensore.
All’udienza preliminare sono state ammesse come parti civili il Comune di Valderice, che ha deliberato la sua costituzione con l’avv. Giovanna Massimo D’Azeglio, una seduta di Giunta presieduta dal vice sindaco Navetta ma una nota stampa del Comune ha tenuto a far sapere che Iovino era assente solo per ragioni di opportunità, considerato che lui è indagato nell’inchiesta, ma che a spingere per l’adozione della delibera è stato lo stesso primo cittadino che insiste nel dirsi estraneo ad ogni accusa. Parte civile anche l’associazione antiracket di Trapani con l’avv. Giuseppe Novara.
Il blitz scaturì da una indagine condotta da Polizia (Squadra Mobile) e Guardia di Finanza, fu messo in luce un crocevia di affari tra le cosche mafiose trapanesi, la politica e l’imprenditoria. Le intercettazioni, compiute anche in carcere, dove è detenuto il principale degli imputati, Tommaso Coppola, rivelarono come lo stesso riusciva a violare la cella per inviare all’esterno ordini e direttive, anche per mettere le mani sui finanziamenti pubblici per la costruzione di impianti come il resort «Residence Xiare».
Secondo l’atto di accusa formulato nei confronti del sindaco Iovino, Coppola a lui, attraverso il nipote Salvatore Fiordimondo, si sarebbe rivolto perchè questi a sua volta contattasse l’allora sottosegretario all’Interno, sen. D’Alì, per avere favorita una delle sue società sequestrate. Fiordimondo interrogato dopo l’arresto ha confermato la circostanza, ma ha parlato solo di avere discusso di questo con Iovino che a sua volta gli portò una risposta che gli fece dire allo zio in carcere che «tutto era a posto ma bisognava aspettare che le acque si calmassero». Iovino nega ogni cosa, di avere parlato con Fiordimondo e col sen. D’Alì. D’Alì ai tempi dell’esplodere dell’indagine negò pure lui ogni intervento e ogni chiacchera.
A tutti i costi Tommaso Coppola desiderava che la Siciliana inerti e bituminosi, una delle sue imprese, non uscisse fuori dalle commesse per il cantiere del nuovo porto di Castellammare del Golfo e per la Calcestruzzi Ericina, proprio quell’impresa che lui o il valdericino Vincenzo Mannina avrebbero dovuto comprare per «ordine» del padrino Ciccio Pace. Il tentativo a Cosa nostra trapanese andò male e allora Coppola voleva restare «fornitore» di quell’impresa. Le indagini hanno trovato conferme su quest’ultimo caso. Perchè qualcuno al prefetto Finazzo riuscì a parlare di queste commesse, lo stesso prefetto risulta avere convocato l’amministratore giudiziario della Ericina, Luigi Miserendino (sentito nell’inchiesta) prospettandogli la situazione e invitandolo a valutare cosa fare, se servirsi presso quella società. A parlare con Finazzo sarebbero satti soci di «don» Masino che gli erano andati ad assicurare che Coppola con quella società non c’entrava più nulla.
Sui lavori per il porto di Castellammare (Coppola è stato intercettato mentre parlava di questo argomento col nipote e per questa ragione gli diceva di parlare con i politici quasi per ricordare l’esistenza di pregressi accordi) l’immprenditore valdericino ha negato in maniera assoluta, quasic he quelle sue parole fossero tutto uno scherzo, una maniera per ammazzare il tempo durante i colloqui in carcere col nipote.
Dalle intercettazioni è emerso anche altro. I «nuovi» ordini di Cosa Nostra rispetto ai percorsi processuali da seguire. Dalla voce di Coppola si è ascoltato il «divieto» a fare i patteggiamenti, ieri davanti al gup i suoi familiari invece hanno deciso di patteggiare con l’accusa la condanna per i reati loro contestati. Coppola almeno
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