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La «nuova» Cosa nostra

Di Rino Giacalone il . Sicilia

 Due soggetti che discutono all’aperto in mezzo ai dei camion fermi all’interno dell’area di deposito di un centro commerciale Despar. Stanno parlando rispettando un chiaro ordine («vietato» parlare dentro le auto o in ambienti chiusi, se bisogna parlarsi va fatto all’aperto) impartito loro dal loro «capo» il latitante Matteo Messina Denaro, 47 anni, nativo di Castelvetrano, Valle del Belice, erede del «padrino» don Ciccio Messina Denaro, «campiere» dei terreni belicini dei D’Alì, e morto nel 1998. Matteo è cresciuto nella «culla» di potenti famiglie della borghesia trapanese ed è al vertice delle 17 «famiglie» mafiose trapanesi suddivisi nei 4 mandamenti di sempre, Alcamo, Trapani, Mazara e Castelvetrano.

Le immagini di quell’incontro, tra il cognato del super boss, il palermitano Filippo Guttadauro (marito di una figlia di don Ciccio, ora arrestato, era il numero 121 nei «pizzini» trovati a Binnu Provenzano) e il «re» dei supermercati Despar Giuseppe Grigoli, sotto processo per mafia a Marsala, sono tra le tanti «catturate» dagli investigatori che danno la «caccia» a Messina Denaro e che hanno visto più sospettati comportarsi in questa maniera. L’«ordine» ad essere cauti è antico, in un «pizzino» che risale a 10 anni addietro, oltre che raccomandarne la distruzione dello scritto, Messina Denaro si preoccupava di dare istruzioni, «togliere le batterie degli orologi, dei cellulari» per esempio.

Un escamotage che funziona, per ora, ma la «forza» della mafia trapanese è desumibile anche da un’altra vicenda. Una storia che racconta come a Trapani senza il consenso della mafia è difficile riuscire a fare qualcosa. In uno dei «pizzini» trovati Messina Denaro pianificava come realizzare una stazione di servizio sull’A29, sulla Palermo-Mazara, un moderno autogrill all’altezza dell’area di Costa Gaia di Alcamo. Il «pizzino» scoperto ha fatto saltare l’«affare», e dell’autogrill che pare fosse davvero nei progetti Anas non si parla più.

Matteo Messina Denaro si nasconde dietro queste realtà, comanda la «supercosa», la «nuova» Cosa Nostra, una organizzazione mafiosa «segreta» dentro l’organizzazione principale, dove ci sono gli imprenditori, l’«area grigia», e affianco a questa quella della «manovalanza», quella dei delitti e delle stragi.

I «pizzini» di Matteo sono quelli che fanno gelare il sangue, scrive di essere un perseguitato, citando un libro di Pennac: «… Io non andrò mai via di mia volontà, ho un codice d’onore da rispettare. Lo devo a papà e lo devo ai miei principi, lo devo a tanti amici che sono rinchiusi e che hanno ancora bisogno, lo devo a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello che sono stato. Ad onore del vero se avessi voluto già me ne sarei andato da tempo, ne avevo la possibilità, solo che non ho mai tenuto in considerazione quest’ipotesi perché non fa parte di me ciò; io starò nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà e sarò sempre disponibile per i miei amici, è il mio modo tacito di dire a loro che non hanno sbagliato a credere in me. …».

Ad una certa Sonia scriveva: «Devo andare via, non posso spiegarti le ragioni della mia scelta. In questo momento le cose depongono contro di me, sto combattendo per una causa che non può essere capita. Ma un giorno si saprà chi stava dalla parte della ragione».

Parla quasi da politico: «Quando uno stato ricorre alle torture per vendetta, quando porta alla delazione gli esseri più deboli, mi dica che stato è, uno stato che fonda la sua giustizia sulla delazione che stato è, di certo le delazioni hanno fatto fare carriera a certi singoli ma come istituzione lo stato ha fallito. Hanno istituito il 41 bis (carcere duro ndr), che mettano anche l’82 quater, tanto ci saranno sempre uomini che non svenderanno la propria dignità».

Scrittore quasi filosofo Messina Denaro: «Non ha nulla di civile questo paese fino a quando certe verità non verranno a galla, la storia la scrive che vince e loro hanno vinto, c’è solo  da prendere atto della sconfitta restando nella propria dignità, la sconfitta semmai ci forgia come veri uomini».

Cos’è oggi la mafia trapanese? Qui Cosa nostra ha chiuso il cerchio e completato la fase di intromissione nel tessuto sociale ed imprenditoriale. A Trapani ha preso piede il predominio di quel livello mafioso «dove non ci sono per forza “punciuti”, ma soggetti comunque in grado di gestire grandi risorse».

L’arresto del boss mafioso emergente Giovanni Nicchi, «renderà adesso più cauto» Matteo Messina Denaro, ne è convinto il questore di Trapani, Giuseppe Gualtieri, che l’11 aprile del 2006 era a capo della Squadra mobile di Palermo, quando fu arrestato Provenzano nelle campagne di Corleone. È lui, insieme con il capo della Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares, a guidare gli uomini che sono sulle tracce del boss di Castelvetrano, nel trapanese.

«Messina Denaro – ha spiegato Gualtieri – sa perfettamente che, dopo l’arresto di ieri, è l’ultimo bersaglio da cercare. Quindi starà ancora più attento. Noi stiamo lavorando molto seriamente, come abbiamo sempre fatto – ha detto il questore Gualtieri – Abbiamo molta fiducia in un esito positivo di questa indagine».

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