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I sindaci in piazza contro la vendita dei beni confiscati

Di Gaetano Liardo il . Progetti e iniziative

Contro l’emendamento alla finanziaria approvato al Senato e dal prossimo 9 dicembre al vaglio della Camera, i sindaci aderenti alla rete di Avviso Pubblico scendono in piazza. Con la fascia tricolore per invitare i propri concittadini a firmare l’appello lanciato da Libera. Per dire no alla vendita dei beni confiscati, e per proporre miglioramenti alla legge 109/96. Una legge che prevede la confisca e l’assegnazione per uso sociale delle proprietà dei mafiosi. Gli oltre 5000 beni confiscati e destinati in Italia rappresentano un simbolo di riscatto, la vittoria dello Stato contro la prevaricazione e l’arroganza delle mafie. «La ratio della norma – dichiara Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico- sancisce che lo Stato e le istituzioni locali sono più forti dei mafiosi», ma la vendita dei beni tradisce lo spirito della legge e segna un passo indietro nella lotta contro la criminalità organizzata. «Il valore sociale, culturale ed educativo dei beni confiscati è di gran lunga superiore al valore economico intrinseco dei beni stessi», sottolinea Davide Pati che con Libera ha seguito il faticoso percorso che ha visto la nascita di numerose cooperative della rete di Libera Terra nei terreni confiscati ai boss. «Vendere i beni – aggiunge Pati – è un errore perchè vengono meno quelle opportunità che hanno consentito a tanti giovani e a tante comunità possibilità di sviluppo e di riscatto».

All’emendamento sulla vendita dei beni è preferibile un miglioramento della legge esistente, adottando misure che snelliscano i procedimenti di destinazione per uso sociale.

Di tutt’altra opinione governo e maggioranza. La vendita riguarda esclusivamente beni di scarso valore, inutilizzabili, oltre, naturalmente, a rappresentare un’ipotesi residuale. Non la pensa allo stesso modo Davide Pati: «altro che ipotesi residuale, il comma 47 dell’art. 2 dell’emendamento approvato parla chiaro: possono essere venduti tutti quei beni che non sono destinati nei tempi prefissati». Sulla stessa linea Pierpaolo Romani: «Gli amministratori locali che gestiscono i beni confiscati sanno quali problematiche si devono affrontare e quale straordinaria risorsa essi rappresentino per la collettività». Nella maggior parte dei casi le difficoltà relative alla destinazione ad uso sociale di un bene sono di natura burocratica e facilmente superabili quando se ne ha la volontà politica.

Spesso i beni, nonostante la confisca, sono ancora occupati dai vecchi proprietari o dai loro familiari. Su numerosi di questi gravano ipoteche, e i comuni non hanno la capacità finanziaria di recuperarli. Inoltre, numerosi beni sono inseriti in parti indivise. Tutte problematiche che sussisterebbero anche nel caso in cui venissero messi in vendita. La cooperazione tra Prefetture, Comuni, Consorzi è stata funzionale nel superare gli ostacoli per la destinazione sociale, tuttavia il nuovo orientamento della maggioranza, nonostante le rassicurazioni, non solo metterà in discussione la forza simbolica dei beni confiscati, ma lascerà inalterate tutte quelle le lungaggini burocratiche che rendono lenta e difficile la destinazione sociale degli stessi.

Da non dimenticare, naturalmente, la possibilità, certa, che a riacquistare i beni messi all’asta siano le mafie stesse. Sono le uniche, infatti, ad avere mezzi e capacità di persuasione per rimettere le mani su quanto lo Stato ha loro confiscato.

Intervistato dal Corriere della Sera, il Ministro degli Esteri Franco Frattini cerca di buttare l’acqua sul fuoco: «la via maestra è la destinazione diretta a finalità sociali, non rimettendoli sul mercato c’è garanzia che un emissario delle cosche non li possa ricomprare», per aggiungere successivamente che «sulla confisca dei beni esportiamo la legislazione ad altri paesi europei che la prendono a modello». Peccato che in Europa si stia seguendo una via diversa rispetto a quella che l’emendamento alla finanziaria imporrebbe al nostro paese. Se è vero che il Parlamento Europeo ha  approvato, già nel 2007, una direttiva che prende a modello la legislazione italiana, è anche vero che chiede, e alcuni paesi se ne sono già dotati, la creazione di una Agenzia Nazionale sui beni confiscati, che in Italia non esiste e che Libera, Avviso Pubblico richiedono, senza successo da molti anni. Nell’attesa della discussione alla Camera si spera in una marcia indietro della maggioranza, si moltiplicano le iniziative e le prese di posizione.

E intanto i sindaci scendono in piazza, per manifestare il proprio sdegno ed invitare la cittadinanza ad esercitare la legalità dal basso.

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