Bari e provincia, le organizzazioni criminali e le sfere di interesse
Scorrendo attentamente le pagine
della relazione 2008 della Direzione Nazionale Antimafia, per quanto
riguarda il distretto di Bari, si nota un dato molto interessante: le
ordinanze di custodia cautelare emesse dalla distrettuale antimafia
nel periodo considerato, sono state diciotto. Diciotto in un anno.
Solo ieri, nel barese, ne sono state emesse quasi cento, e
parallelamente sono stati sequestrati 220 milioni di euro, vedendo
all’opera su ordine della Procura centinaia di finanzieri. Va da sé
che l’importanza dei numeri è chiaramente a favore di chi ha parlato
di “operazione senza precedenti”.
Anche se forse la novità più interessante, come ha rimarcato il
procuratore Laudati, è stata quella di rivelare il vero volto della
mafia barese, quello dei contatti coi professionisti e i notabili,
ora che i proventi delle azioni illegali del passato erano in
movimento per entrare nel giro, redditizio e pulito, della cosiddetta
economia “legale”. Oggi a un giorno dall’operazione, con la
pubblicazione delle intercettazioni e le dichiarazioni di estraneità
degli indagati, professionisti e politici, per la Procura rimane
certo il fatto che gli indagati «erano a conoscenza degli
inquietanti rapporti di contiguità tra l’imprenditore Michele
Labellarte con la malavita barese».
Una mafia che, a dispetto dell’azione
repressiva che ne aveva ridotto la potenza nei lustri scorsi, ha
saputo organizzarsi e mostrarsi viva. Al punto da indurre il relatore
Zuccarelli, nella relazione Dna 2008, a scrivere che «nel
distretto della Corte di Appello di Bari la realtà criminale è
tuttora dominata dall’esistenza ed attività di numerosi gruppi
strutturati».
Struttura e organizzazione dei gruppi baresi
Una realtà criminale viva ma parecchio
conflittuale, quella barese. Nella relazione della Dna si legge
infatti come la magistratura abbia da tempo individuato nella
criminalità pugliese una multiforme presenza malavitosa entro cui
«lo stimolo a progredire è sempre stato, infatti,
la causa
principale e decisiva di frizioni tra i sodali del crimine
organizzato barese per aver generato malcontenti, nocumento economico
alle casse dei clan,
sottrazione di parti di territorio sottoposto
al controllo dalla malavita, che sconfinavano in scontri armati,
innescando un continuo divenire in seno al disomogeneo panorama
criminale».
Questa situazione è sicuramente dovuta anche a una
struttura interna della mafia barese, sostanzialmente di tipo
orizzontale, con la mancanza di una unitarietà di comando se non in
casi eccezionali, con la conseguente instabilità. Da qui si può
partire per parlare di estrema conflittualità all’interno dei clan
baresi, incapaci di durature alleanze e sempre pronti a nuove guerre
intestine. Inalterata rimane, secondo la relazione, la capacità di
fare proselitismo, specie tra i giovanissimi e tra le donne e la
disponibilità di armi, facilitata da una posizione invidiabile dal
punto di vista geografico, particolarmente adatto al contrabbando di
armamenti di ogni tipo.
Le aree di influenza
Un altro importante tratto distintivo,
secondo la distrettuale antimafia, è il grande radicamento nel
territorio di competenza da parte dei gruppi criminali. Una
caratteristica che permette una sostanziale definizioni dei territori
anche all’interno del comune di Bari, con le influenze dei singoli
gruppi.
Tra le tante famiglie attive nella
città di Bari è possibile elencare anche il corrispettivo
territorio di influenza. In primis il clan Parisi, al centro della
operazione della Dda di ieri, operativo nel quartiere
Japigia. Il
gruppo « pur colpito dalla lunga detenzione del suo capo Savino Parisi, continua ad operare sul quartiere
Japigia grazie all’attività dei luogotenenti
di quest’ultimo,
esponenti delle famiglie Cardinale-Lovreglio-Abbrescia,
nell’area
di Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle e Valenzano attraverso la
frangia criminale capeggiata da Angelo Michele Stramaglia, e in
Modugno grazie al gruppo criminoso Rutigliano/Devito, capeggiato da
Francesco Devito». Parisi, raggiunto da ordinanza cautelare anche
ieri, già nella relazione dello scorso anno era indicato come
«impegnatosi nella ricostituzione del clan omonimo».
Il clan Capriati, pur colpito da gravi
inchieste negli ultimi anni, ha la sua roccaforte nella città
vecchia di Bari e mantiene grande importanza nella gestione
dell’usura e del traffico di stupefacenti, mentre il clan
Strisciuglio opera nei quartieri Libertà e Carbonara ed estende la
propria supremazia criminale anche al quartiere San Paolo e nei
comuni di Bitonto e Noicattaro. Sempre in città il clan Telegrafo
gravita nel quartiere San Paolo e ha rapporti
di alleanza con gli
Strisciuglio, laddove il clan Di Cosola opera a Ceglie del Campo
(BA),
il clan Fiore è insediato nel quartiere San Pasquale e il
clan Di Cosimo è insediato nel quartiere Madonnella.
Nonostante la
difficoltà di alleanze durature, la fluidità della criminalità barese
permette occasionali relazioni a scopi illeciti, e sicuramente un
approccio predatorio con le realtà criminali provinciali a scopo di
assimilazione.
I campi di attività
Dalle indagini passate emergono
sostanzialmente campi economici di azioni molto “classici”. Nella
relazione si evince che tra le maggiori fonti di sostentamente ci
sono il traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, per i quali
molto spesso le
consorterie mafiose si avvalgono dei già collaudati
corridoi del contrabbando.
Molti, nell’agire, i collegamenti con la
criminalità campana (soprattutto con il clan Di Lauro di Napoli per
la cocaina),
con le aree metropolitane di Milano e Torino ove
operano organizzazioni
criminali nord-africane, e con ’ndrine
calabresi.
Un’altro settore importante è quello
del racket e dell’usura: si è passati a Bari e provincia da una
serie di reati episodici a una forma parassitaria molto forte specie
dopo i gravi colpi inferti al contrabbando di tabacchi che tuttavia,
rimane un forte mezzo di sostentamento, non totalmente tramontato. Di
fronte a questa visione rimane dunque sconcertante quanto ipotizzato
dalla procura nell’operazione di ieri: un fronte molto più ampio con
coinvolgimenti economici d’avanguardia. L’associazione criminale si
sarebbe servita di insospettabili professionisti e di amministratori
pubblici del Comune di Valenzano, ad esempio, per facilitare l’iter
di un progetto di campus universitario, che avrebbe rappresentato una
punta di diamante per il reinvestimento del denaro sporco. Valenzano
già teatro, tra l’estate 2007 e l’inverno 2008 di diversi episodi
delittuosi, per il contrasto tra i clan Di Cosola e Stramaglia,
questi ultimi, secondo la procura, fortemente interessati alla
costruzione del centro universitario.
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