Provocazione dell’associazione Libera. All’asta i beni confiscati alla mafia
“Lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia. Si vendono immobili ancora occupati o gravati da ipoteche”. Così il “banditore” Enrico Fontana, consigliere della Regione Lazio, ha dato inizio all’asta simbolica organizzata dall’associazione “Libera” nella “Bottega della legalità Pio La Torre”, a Roma. Un’iniziativa provocatoria per chiedere al Governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l’emendamento della Finanziaria, approvato in Senato il 13 novembre, che autorizza la vendita dei beni confiscati. Entro 90 giorni, massimo sei mesi, se non si riesce a trovare una destinazione sociale, gli immobili saranno soggetti alla vendita e il ricavato andrà per metà al Ministero dell’Interno e per metà a quello della Giustizia. Quindici i beni messi all’asta, selezionati tra gli oltre 3000 che rischiano la vendita. Cinque di questi si trovano nella provincia di Palermo. Appartenevano a Leoluca Bagarella, Vito Ciancimino, Salvatore Lo Piccolo, Giovanni Brusca e Angelino Siino. Attualmente sono occupati e gravati da ipoteca. Per tale ragione non possono essere destinati al riutilizzo sociale, secondo quanto previsto della legge 109 del ’96 promossa dall’associazione “Libera”. Risuonano di rabbia le parole pronunciate oggi da Don Luigi Ciotti, il prete che con centinaia di giovani lavora sui terreni confiscati: “Il vero provvedimento utile sarebbe trovare il modo per restituire quei beni ai cittadini. In caso contrario – continua il sacerdote antimafia – attraverso stratagemmi e opere di ingegneria contabile tornerebbero agli stessi boss che da tempo chiedono di vendere i beni, perché loro hanno i soldi per ricomprarli”.
* Gabriella Cerami
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