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A Ragusa un nuovo spazio sociale

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

La nascita di spazi sociali entro sistemi urbani sottoposti, oramai, alla costante azione di una coattiva cementificazione, assume tutte le sembianze di un “vulnus” destinato a scompaginare programmi di pianificazione pluriennali. Il disagio prodotto dalle occupazioni è, dunque, palese, perlomeno stando alle più recenti reazioni indotte dalle “offese” arrecate da entità sociali quali il Collettivo “La Fabbrica” di Ragusa ed il Centro Popolare Occupato “Experia” di Catania, solo per citare episodi di cronaca regionale.

Le istituzioni del capoluogo ibleo si trovano innanzi ad una novità assoluta, priva di qualsiasi precedente: l’occupazione, condotta dai componenti del Collettivo “La Fabbrica”, dei locali dell’ex hotel San Giovanni, ubicato nel centro storico della città.

L’immobile, reduce da quasi un decennio di oppressivo abbandono, rientra nella lunga lista delle proprietà facenti capo all’Inpdap, ovvero l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica; da quasi un mese gli occupanti hanno avviato una totale rimodulazione di luoghi strappati all’incuria, instaurandovi la prassi di una quotidianità fatta di doposcuola sociale, proiezioni cinematografiche, destinate anche alle fasce più giovani, dibattiti: perseguendo la prioritaria finalità di condividere insieme alla  cittadinanza eventi ed attività spesso estranee a coloro che giornalmente si battono per mantenere una personale dignità esistenziale.

L’Inpdap, però, quasi a voler “festeggiare” il primo mese di occupazione ha, improvvisamente, arrestato il profondo sonno nel quale era sprofondato: attraverso una missiva indirizzata al sindaco di Ragusa, l’esponente del Pdl Nello Dipasquale, ha esposto la volontà di riprendersi ciò che gli spetta; la motivazione appare semplice e disarmante, operare in favore dei dipendenti pubblici in pensione, riconvertendo la struttura dell’ex hotel San Giovanni in un centro destinato proprio a quest’ultimi.

Lo Stato, l’Inpdap, infatti, ha natura di ente pubblico non economico in base al decreto legislativo n. 479 del 1994, ha deciso di opporsi alla “sottrazione” di un bene rientrante nella sua capiente borsa. Ma l’annuncio diramato dalla proprietà dell’immobile occupato può dirsi veramente sincero?Taluni particolari, purtroppo, sembrano contraddire la versione ufficiale sostenuta dai vertici regionale dell’istituto previdenziale.

Allo stato attuale, infatti, l’Inpdap non può che osservare il disposto contenuto in due decreti legislativi, il n. 104 del 1996 ed il n. 351 del 2001, convertito a sua volta nella legge n. 410 del 2001, concernente la disciplina della cosiddetta cartolarizzazione, tecnica finanziaria destinata ad agevolare la cessione di attività patrimoniali in grado di produrre flussi di cassa,  tra le quali si collocano gli immobili, in favore di “società veicolo”, dietro il versamento di un prezzo di cessione.

La procedura di dismissione avviata dall’istituto riguarda immobili ad uso abitativo e non: più del 70% delle strutture appartenenti alla prima categoria ha cambiato proprietà a fronte del 20% di quelle ricomprese nella seconda. L’eventuale sgombero forzato dei locali dell’ex hotel San Giovanni potrebbe, così, prestarsi ad una doppia interpretazione: la prima attinente alle motivazioni illustrate dai vertici regionali dell’istituto nella comunicazione inviata al primo cittadino ragusano; la seconda, al contrario, difforme rispetto alla precedente, preludendo ad una mera operazione di speculazione finanziaria.

Un centro sociale ed i suoi animatori nuovamente destinatari di molteplici sollecitazioni, questa volta, però, in quella città che diede i natali a Giovanni Spampinato, giornalista ucciso il 27 ottobre del 1972, poiché riuscito a far emergere oscure connivenze tra gruppi di neo-fascisti, capitanati da Stefano Delle Chiaie, e componenti dei servizi segreti, entrambi sostenuti da entità malavitose.

Siamo certi che difronte alle novità democratiche apportate dagli occupanti dell’ex hotel San Giovanni le pretese brandite da chi per decenni si è assentato dalla gestione della cosa pubblica possano prevalere?

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