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Utilizziamo a fini sociali i beni confiscati ai clan

Di Luigi Ciotti il . L'analisi

Pubblichiamo l’articolo di don Luigi Ciotti del 30 giugno del 1995 sulla campagna promossa da Libera che porterà  alla promulgazione della legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. L’articolo uscì  contestualmente su una quarantina di testate nazionali e locali contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sui pericoli del grande potere economico delle organizzazioni criminali e delle collusioni che ne garantivano, e ne garantiscono tuttora, prosperità. Pubblicando questo articolo auspichiamo che ritorni quello spirito civico e di legalità che ha permesso di riconsegnare alla collettività quei beni e quelle ricchezze frutto di violenze e sopraffazioni, in un momento in cui la legge 109/96 rischia di essere svuotata del suo significato da un emendamento della legge finanziaria che permette la vendita dei beni confiscati ai mafiosi.  

Raccogliere entro l’estate un milione di firme: è l’obiettivo della prima campagna nazionale promossa dall’associazione “Libera” per chiedere l’utilizzo a scopi sociali dei beni confiscati ai mafiosi. Siamo a metà strada e occorre accelerare il passo. Hanno già firmato nomi noti, intellettuali, politici di diverso orientamento, sindacalisti, imprenditori, giornalisti, esponenti delle chiese e delle associazioni ma, sopratutto, tanti nomi di “semplici” cittadini, studenti, insegnanti, casalinghe, lavoratori e pensionati, liberi professionisti e commercianti.

Uno spaccato significativo della società civile, di ogni regione, chiede che si arrivi in tempi rapidi ad approvare la proposta di legge che ha recepito le sollecitazioni di Libera, già positivamente licenziata dal comitato ristretto dalla Commissione Giustizia della Camera.

Dal 1982 al 1993 sono stati sequestrati in base alla legge antimafia 3918 miliardi ma di questi solo 697 sono stati confiscati. Rendere più celeri ed efficaci gli accertamenti patrimoniali e le procedure di confisca, qualora evidentemente la magistratura ne ravvisa gli estremi è fondamentale, così come utilizzare adeguatamente quelle ingenti somme.

L’articolo di legge in discussione è semplice: i beni immobili confiscati sono mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia e protezione civile o, in alternativa, trasferiti al patrimonio dei Comuni che possono assegnarli in concessione a comunità, enti e associazioni di volontariato; i beni aziendali sono assegnati in affitto ad imprese pubbliche e private, ovvero gratuitamente a cooperative di lavoratori privilegiando le soluzioni che garantiscano il mantenimento dei livelli occupazionali. Le somme derivanti la vendita dei beni mobili confluiranno in un fondo presso le Prefetture, da utilizzare per progetti di interesse pubblico e, nello specifico, per attività di risanamento dei quartieri urbani degradati, di prevenzione e recupero dell’emarginazione, per strutture sportive e ricreative, per interventi scolastici di educazione alla legalità, per agevolare iniziative autoimprenditoriali rivolte a giovani disoccupati.

Si tratta dunque di una proposta concreta che intende restituire ai cittadini quel che le mafie e i narcotrafficanti hanno sottratto. Ci auguriamo che per Camera e Senato, in sede di discussione e approvazione del provvedimento, lo vogliano estendere anche ai reati di corruzione.

“Libera” segnala anche l’importanza del contenuto , assieme simbolico ed operativo, della proposta.   Il potere mafioso si esprime e riproduce non tanto per via militare quanto attraverso il controllo del territorio, il rapporto di scambio e complicità con uomini, e talvolta settori della Stato e della politica, con l’infiltrazione del tessuto economico e produttivo legale. Per questo indebolire economicamente la grande criminalità è decisivo: una mafia povera è una mafia non più capace di procurarsi consensi, complicità e impunità.

Questa proposta, e in generale l’attività di “Libera”, che raccoglie in tutta Italia oltre 500 realtà e associazioni, vanno al di là del semplice momento repressivo. Si tratta, piuttosto, di contribuire a costruire un’ “antimafia dei diritti”, cioè una capacità delle istituzioni di recuperare credibilità e garantire giustizia, servizi pubblici efficienti, istruzione, lavoro e socialità in tante zone del paese tradizionalmente abbandonate alla “supplenza” mafiosa.

Non solo le istituzioni ma ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte senza comode deleghe, educandoci alla responsabilità e alla legalità, nel quotidiano del nostro lavoro.  

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