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Reggio Emilia e il muro di Catania

Di Desirée Miranda* il . Sicilia

Nella presentazione del libro di Antonio Roccuzzo la denuncia dei mali della nostra città e un ragionamento su ciò che la divide e ciò che la unisce ad altre realtà italiane. Ma anche la testimonianza che qualche piccola battaglia per migliorare l’informazione può essere combattuta e vinta.


«Ho deciso di scrivere questo libro per spingere la gente a ragionare, non a deprimersi. Anche se parlo di alcuni dei tanti problemi di Catania. L’ho fatto per dovere di coerenza nei confronti di questa città, perché chi mi ha insegnato a raccontare i fatti e le persone, Giuseppe Fava, è morto per questo».

 Così Antonio Roccuzzo, giornalista, ex redattore dei Siciliani e oggi caporedattore del Tg La7, ha parlato del suo libro “L’Italia a pezzi. Cosa unisce Catania e Reggio Emilia”, che è stato presentato martedì 10 novembre nell’Auditorium del Monastero dei Benedettini. All’incontro sono intervenuti il giornalista Claudio Fava, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il direttore di “Libera Informazione” Roberto Morrione e Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana.
 
Il libro parla di una Catania indifferente ai suoi problemi, tanto pesanti quanto vecchi: una sorta di Sodoma e Gomorra in mano alla mafia e al pensiero unico, dove perfino l’assassinio di un giornalista indipendente come Giuseppe Fava scivola via senza scosse e non riesce a produrre memoria collettiva. Un libro di cui tutti gli intervenuti hanno elogiato la capacità di raccontare le cose come sono, nella loro crudeltà. E che ha costituito un’occasione per discutere delle difficoltà del nostro territorio. 
 
«Viviamo in una città in cui c’è un muro nell’informazione: è poca e fatta male, c’è una situazione di monopolio che non informa come dovrebbe e che anzi pubblica la lettera di un mafioso in regime di 41bis senza un rigo di commento e mentendo sul fatto che avesse avuto l’autorizzazione a farlo– ha affermato Fava –, una città in cui tutto è in degrado e dove anche lo spirito civile sembra annientato».
 
Ma Catania, nel titolo del libro, è presente come termine di un confronto, il cui secondo termine è Reggio Emilia. Metafora della diversità che attraversa l’intero Paese e che per Ivan Lo Bello rappresenta «il campanello d’allarme di un fenomeno che può essere disgregante. Se Reggio Emilia è metafora di uno sviluppo possibile, Catania e la Sicilia in generale sono invece metafora di una borghesia parassitaria con legami con la mafia che si è sviluppata soprattutto nel secondo dopoguerra e che ha legittimato una egemonia economica diversa dal resto del Paese». Eppure Catania e il resto del Paese in fondo un legame ce l’hanno: la criminalità organizzata non ha confini spaziali. 

«Uno dei meriti del libro di Roccuzzo – secondo Lo Bello – è proprio quello di avere ben scritto sul trasferimento di risorse criminali dal sud al nord e viceversa, che non sempre vengono raccontati. Occorre pensare a categorie nuove per superare schemi vecchi».
 
Della stessa opinione anche Roberto Morrione, il quale ha parlato però della possibilità di aprire delle finestre in questo muro così solido e così difficile da abbattere che non esiste solo per l’informazione. Tra queste fineste, Morrione ha citato il caso di Repubblica Palermo che adesso è distribuito anche a Catania: «frutto di una battaglia collettiva», come ha detto il direttore di Libera informazione.
 
Ma il conflitto d’interessi continua a condizionare pesantemente l’informazione. Di questo ha parlato Roberto Natale, citando anche lui la vicenda di Repubblica Palermo e ricordando anche il ruolo di Step1 nel mantenere viva l’attenzione sul problema. «Quella di Repubblica mon è una storia nuova – ha detto Natale – nasce negli anni ’80 e per lungo tempo è stata come una ferita sempre aperta. La questione si è risolta, in parte perché Caracciolo (allora Presidente del gruppo editoriale L’Espresso e firmatario dell’accordo con il gruppo Ciancio Sanfilippo che prevedeva che la cronaca locale di Repubblica non fosse distribuita a Catania) è morto e in parte perché la società civile si è mossa. Ne hanno dato una dimostrazione i ragazzi di Step1, che Roccuzzo cita nel suo libro. Hanno incalzato Mauro e hanno fatto da pungolo anche a noi del sindacato» – ha sostenuto Roberto Natale.
 
Sono tanti, tantissimi i problemi di Catania, ma Roccuzzo vuole scuotere le coscienze: «l’Italia è a pezzi ma si riunifica e la bella storia di Correggio, dei suoi abitanti che si sono autotassati per aiutare i ragazzi che dovevano lavorare sui campi in Sicilia confiscati dalla mafia, ma che non avevano i soldi per comprare gli attrezzi necessari, non a caso conclude il mio libro»,ha affermato. Anche Roccuzzo ha voluto citarci: ha parlato di Step1 come di Davide che prende a spallate il muro nella città issato da Ciancio Sanfilippo: «Un esempio di buon giornalismo che guarda fino in fondo alla notizia», ha detto.
 
A moderare l’incontro è stato il preside di Lingue, Nunzio Famoso, che ha voluto dedicare l’appuntamento a Giuseppe Fava e Enrico Escher. Nel nome della buona informazione.

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