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Beni confiscati, gli effetti della riforma alla legge 109

Di Davide Pati il . Atti e documenti

Al 30 giugno 2009 i
beni immobili
confiscati alla criminalità organizzata (dal 1982
quando entra in vigore la legge Rognoni – La Torre) sono 8933. Di
questi 5407 sono stati destinati allo Stato o ai Comuni per finalità
istituzionali e/o sociali, 313 sono usciti dalla gestione del Demanio
per vari motivi (tra cui revoca della confisca, esecuzione
immobiliare, espropriazione….), mentre 3213 sono ancora quelli da
destinare.

Questi 3213 beni immobili
per i quali deve ancora intervenire il decreto di destinazione
potranno essere venduti con la riforma alla legge 109/96 approvata
venerdì 13 al Senato.

Nell’articolo della
Finanziaria è previsto che i beni immobili di cui non sia possibile
effettuare la destinazione da parte del Prefetto (è il Prefetto che
destina ora i beni dopo la modifica introdotta dalla legge n. 94 ad
agosto scorso) entro i termini di 90 giorni (che possono diventare
180 in caso di operazioni particolarmente complesse), sono destinati
alla vendita. Praticamente tutti quei 3213 che rappresentano
lo stock di arretrato finora accumulato dall’Agenzia del Demanio.

Naturalmente la norma
riguarderà tutte le nuove confische che arriveranno.

Alla vendita dei beni
provvede il dirigente del competente ufficio del territorio
dell’Agenzia del Demanio e le somme ricavate, al netto delle spese
per la gestione e la vendita degli stessi, affluiscono all’entrata
del bilancio dello Stato per essere riassegnati, nella misura del 50%
al Ministero dell’interno
e nella misura del restante 50% al
Ministero della Giustizia.

Con
la vendita dei beni le mafie ritorneranno in possesso dei patrimoni a
loro sottratti con grandi sforzi da parte della magistratura e delle
forze di polizia e investigative.

Ricordiamo
che in Italia
alcuni Comuni sono stati sciolti per mafia
e tra le motivazioni inserite nel decreto di scioglimento ci sono
proprio quelle di aver assegnato i beni a prestanome dei prevenuti.

In
Calabria, in provincia di
Crotone
– in Sicilia, in provincia di
Palermo sono
gli stessi mafiosi che tramite propri legali e commercialisti
propongono – anche alle stesse istituzioni ed enti locali – di
poter riacquistare i beni, grazie all’enorme disponibilità di denaro
liquido. Mentre in Campania, in provincia di
Caserta
– nel corso di quest’anno – sono state scoperte due realtà che
gestivano i beni per conto dei vecchi proprietari.

La
vendita consentirebbe alle organizzazioni criminali di poter
riciclare con mezzi leciti le ricchezze accumulate illecitamente.

Se
davvero si vogliono trovare più fondi per la sicurezza e la
giustizia, queste risorse devono essere recuperate dalle liquidità
confiscate che vanno ad alimentare il
Fondo unico giustizia
(che raccoglie ad oggi circa 700 milioni di euro) da cui si deve
attingere per poter assicurare i finanziamenti alle vittime della
mafia e ai testimoni di giustizia.

E
poi aspettiamo ancora l’applicazione di quella
finanziaria
del 2006
che aveva previsto
l’uso sociale dei beni confiscati ai corrotti.

Le aziende confiscate
al 30 giugno 2009 sono 1185.
Di queste circa 350 sono andate in
liquidazione, 40 vendute o affittate, 580 chiuse o fallite, mentre
216 sono ancora in gestione al Demanio, ma molte di esse già
inattive. Quindi sul totale di 1185 aziende confiscate solo poche
decine (circa 70 – 80) sono ancora in attività.

I dati dei beni confiscati sono presenti sul sito
www.beniconfiscati.gov.it


L’intervista a Davide Pati (ufficio beni confiscati di Libera)
Di Nello Trocchia (Econews)

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