A Calatafimi la cattura del boss di Altofonte, Mimmo Raccuglia
L’ultima volta era riuscito a fuggire via ai poliziotti camuffato da prete, domenica sera ha solo potuto tentare di scappare per i tetti delle case di Calatafimi, ma infine si è dovuto arrendere ai poliziotti della “catturandi” della Squadra Mobile di Palermo. Il boss di Altofonte Mimmo Raccuglia, capelli radi e barba incolta, diverso dalla foto segnaletica di tanti anni fa, inserita nel sito internet del Ministero dell’Interno riservato ai ricercati, è stato “offerto” domenica sera a telecamere e fotografi che assiedevano via Cabbassino nel centro storico di Calatafimi, dove c’è la casa dei coniugi Calamusa che era diventata il nascondiglio di Raccuglia da almeno un mese e mezzo.
Il portone di ingresso è a pochi metri dal Municipio del paesino del Belice, la verandina della stanza occupata in una sorta di mansarda si apre sul bosco di Angimbè, una località che Raccuglia ben conosce perchè lì andava a caccia con uno dei capi mafia della zona, il castellammarese Michele Mercadante, in carcere oramai da molti anni. A Calatafimi Mimmo Raccuglia non ci stava quindi da ospite, ma da uomo d’onore anche di questa zona. Nel tempo i “picciotti” di Alcamo e Castellammare erano diventati anche i “suoi”, ci sono recentissime operazioni antimafia che fanno proprio riferimento a lui; nelle intercettazioni si sentono mafiosi parlare molto spesso di Mimmo e di Altofonte. Grazie agli appoggi della cosca di Castellammare del Golfo, Raccuglia ha fatto carriera nella mafia e dunque agli investigatori non è apparso del tutto innaturale che il suo nascondiglio fosse proprio a Calatafimi, in una palazzina di 4 piani in piento centro storico a pochi metri dalla sede del Comune.
Un latitante trovato ad occuparsi di “affari”, estorsioni, come dimostrano i 138 mila euro in contanti che lui assieme alle armi, anche una mitraglietta, ha cercato domenica sera di gettare via al momento del blitz della catturandi della Mobile di Palermo. Soldi proventi del racket del pizzo e si sospetta a grossi lavori pubblici in corso nel trapanese. A pochi chilometri da Calatafimi ci sono quelli in corso per il nuovo porto. Contava e comandava ancora molto, Mimmo Raccuglia, lo dicono anche i “pizzini” trovati in suo possesso, seguendo quella pista fatta di messaggi mirati, i poliziotti sono infatti arrivati da Palermo a Calatafimi.
Il nome di Raccuglia e la sua foto sbiadita, scattata parecchi anni fa, sono inseriti nell’elenco dei 25 latitanti di «massima pericolosità» che fanno parte del programma speciale di ricerca« del Ministero dell’ interno. In meno di 20 anni il mafioso è riuscito a salire i gradini della scala gerarchica di Cosa nostra allargando il suo potere da Altofonte fino a Partinico passando per San Giuseppe Jato e finendo anche spesso ad Alcamo e Castellammare del Golfo col bene placet del boss dei boss, colui oggi ritenuto il numero uno della mafia siciliana, Matteo Messina Denaro.
Matteo e Mimmo sono quasi coetanei, 47 anni il boss belicino, 45 Raccuglia, Messina Denaro latitante dal 1993, il capo mafia di Altofonte lo era dal 1996. Anche Matteo Messina Denaro fu latitante a Calatafimi, assieme al padre, Francesco, morto nel 1998. Padre e figlio avrebbero addirittura trovato rifugio nella canonica di un sacerdote, ora defunto. Vicenda accennata dal pentito di Mazara Vincenzo Sinacori.
Oggi Matteo e Mimmo non si sa se fossero in contatto, ma Raccuglia per stare a Calatafimi significa che poteva giovare dell’appoggio di Messina Denaro. Soprannominato il “veterinario”, per la sua passione per gli animali, Raccuglia potrebbe avere rappresentato la cerniera di collegamento per Cosa nostra tra Palermo e Trapani.
L’ultimo atto di accusa nei suoi confronti è per la uccisione di Pietro Romeo esponente della mafia di Altofonte, inghiottito dalla lupara bianca nel 1997. Nel frattempo ha tre ergastoli da scontare assieme a condanne per estorsioni. Omicidi efferati quelli per i quali è stato condannato, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, fatto uccidere da Brusca, quando ancora era boss, latitante e ancora non collaboratore di giustizia, per vendetta contro il papà del ragazzo, Santino, pentito di mafia. Proprio investigando sulla mafia trapanese e sul ruolo avuto nel sequestro del giovane Di Matteo, che era venuto fuori il nome di Raccuglia che con i boss trapanesi aveva gestito il periodo della segregazione nel trapanese di Giuseppe; contro Raccuglia anche l’accusa di un’altra vendetta trasversale, l’assassinio di Giuseppe La Barbera, padre del pentito Gioacchino.
Una carriera tra morti ammazzati ma anche in mezzo alla bella vita, non erano che passava inosservato dicono di lui ad Altofonte, a proposito di abbigliamento e orologi da sfoggiare. Dal 13 settembre 1999 le sue ricerche erano state diramate anche all’estero, ma lui si nascondeva a pochi chilometri dal suo territorio, a Calatafimi, ospite di due congiugi che gli hanno lasciato la casa per andare ad abitare in una masseria fuori città: si tratta di Benedetto Calamusa, di 44 anni, e Antonia Soresi, di 38 anni, incensurati, Benedetto è uno che ha un “cognome” importante nel contesto del gotha mafioso trapanese, adesso arrestati per favoreggiamento.
Il filo della cattura di Domenico Raccuglia è lo stesso di quello che sta scompaginando la mafia nella Sicilia Occidentale. E’ quello che dalla cattura (aprile 2006) di Bernardo Provenzano in poi ha visto finire sotto scacco le alleanze mafiose oltreoceano, la schiera dei favoreggiatori di Messina Denaro che si nascondevano dentro un oleificio di Campobello di Mazara, nel cuore del Belice trapanese, per arrivare adesso alla cattura di Mimmo Raccuglia e puntare adesso verso il boss dei boss Matteo Messina Denaro super ricercato assieme al palermitano Gianni Nicchi.
Gli investigatori sono quelli di un pool organizzato “ad hoc” composto dagli agenti che appartengono alle Squadre Mobili di Palermo e Trapani e dello Sco (servizio centrale operativo) di Roma, che fanno capo ai dirigenti delle Mobili Calvino e Linares, al dirigente dello Sco Nicolì; all’attivo di questi e dei loro uomini: pedinamenti, intercettazioni, analisi sofisticate, nel loro lavoro la disamina di centinaia di rapporti, contatti.
“Una strategia investigativa – spiega il questore Giuseppe Gualtieri, artefice della cattura di Provenzano quando era capo della Mobile palermitana – impossibile ottenere risultati se non si agisce in questo modo, con la circolarità delle notizie tra gli uffici investigativi, le sinergie, un sistema realzizato per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro ma che serve anche in occasioni come quella odierna, l’arresto ad opera dei bravi ragazzi della Catturandi di Palermo del latitante Raccuglia.
Ad applaudire a questo successo fra i primi i giovani di Libera di Calatafimi Segesta e altri giovani che hanno gridato “scemo” a Raccuglia mentre in manette usciva dal covo e urlato che “la Sicilia non merita mafia e mafiosi”. Una scena che è piaciuta a tanti poliziotti e investigatori, anche al questore Giuseppe Gualtieri che non nasconde di augurarsi che presto la lotta alla mafia in provincia di Trapani possa avere una marcia in più: quella del sostegno sociale.
Non ha precedenti nel trapanese infatti quello che domenica sera è successo a Calatafimi con i tanti ragazzi che hanno dimostrato di non essere dalla parte della mafia, e lo hanno dimostrando applaudendo i poliziotti e gridando contro il boss in manette.
Trackback dal tuo sito.