La Monferrato del Sud
“Ci dicevano che su quei sacchi di juta contenenti amianto e cemento potevamo persino mangiare. Ci dicevano che era sicuro, non avevamo nulla da temere”. Ricorda così quegli anni trascorsi ad impastare cemento e amianto nella fabbrica dell’ex Sacelit a San Filippo del Mela (Me) Domenico Nania, presidente del comitato ex esposti, animatore di una battaglia silenziosa e meno conosciuta di quella della tristemente nota: l’ Eternit di Casale Monferrato (i titolari saranno a processo il prossimo 10 dicembre a Torino).
La Sacelit fu in attività per 34 anni producendo materiali per edilizia, in calcestruzzo e amianto, in Sicilia nella provincia di Messina, a San Filippo del Mela, una striscia di terra che divide Milazzo da Barcellona Pozzo di Gotto (Me). La fabbrica sorgeva in contrada Archi, stretta fra una raffineria di petrolio (ancora funzionante – La Raffineria Mediterranea) impianti dell’ Enel (Oggi Edipower) e un’acciaieria. 17 anni dopo la chiusura di quella che da queste parti venne chiamata “la fabbrica della morte”; metà degli operai (e mogli di operai) che lavorarono in quel distretto industriale sono morti e altri sono stati recentemente nuovamente esposti.
L’ultimo decesso è della scorsa settimana. Si chiamava Andrea Salvatore Benedetto, aveva lavorato per 25 anni nella Sacelit addetto alla produzione dei tubi, allo scarico dei sacchi di amianto. “Con Andrea sono 101 su 220 gli ex dipendenti deceduti nella “Fabbrica della Morte” di San Filippo del Mela – si legge in una nota del comitato ex esposti amianto – mentre la ASP di Messina, pur spesse volte sollecitata […] ritarda di sottoporre ai controlli gli ex dipendenti che hanno lavorato all’interno, dell’azienda Killer e i loro familiari, che solo da pochi mesi siamo riusciti ad individuare”.
Anche il presidente del comitato, Domenico Nania, ex operaio Sacelit è affetto da una malattia causata dalle fibre killer. Ci convive, continuando le sue battaglie intraprese negli anni ’90 con il prezioso sostegno dell’avvocato Martelli, che ha seguito da vicino tutte le fasi del processo contro la Sacelit. Nel giugno del 2008 si è ottenuto il riconoscimento in sede processuale delle responsabilità penali per la Nuova Sacelit condannata a pagare circa 10 milioni di euro ai familiari delle vittime.
Quella della “Monferrato del Sud “è una storia meno raccontata, dimenticata in un paesino che fa a pugni con le questioni ambientali da decenni, senza trovare una soluzione.Quell’area industriale rappresenta per i comuni limitrofi una preziosa risorsa di posti di lavoro: lo è stata ai tempi della Sacelit, lo è ancora oggi grazie alle aziende rimaste su un territorio ritenuto però “area critica ad elevata concentrazione di attività industriali”, ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 334/99 e in cui i morti per tumore e malattie causate dall’ inquinamento ambientale sono in continua crescita, tanto che la valle del Mela è ormai stata rinominata “la valle della morte”.
La storia non insegna, verrebbe da dire. Non sono bastati i 101 morti di amianto di questi anni per fermare speculazioni e far maturare una coscienza e un’etica del lavoro. Si trova infatti in corso presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) un nuovo processo che ha ad oggetto sempre lo stesso terreno sul quale sorgeva la Sacelit. Qui è accaduto l’impensabile. Nel 2002 a fronte di una certificazione di una bonifica mai avvenuta del terreno della ex Sacelit , rilasciata dalla Asl 5 di Messina, l’imprenditore Rosario Runza, presidente della società commerciale “Punto industria srl” decide di comprare quel terreno per farvi sorgere un deposito di derrate alimentari che attraverso il Consorzio “Europa distribuzione” commercializza in tutti i punti vendita di supermercati siciliani. Cibo all’amianto, in breve.
Una commissione di esperti del Ministero dell’ambiente nel gennaio 2007 ha accertato la presenza di rilevanti quantità di amianto sugli alimenti e sui macchinari utilizzati per il trasporto. Com’è stato possibile che accadesse di nuovo che quelle fibre d’amianto contaminassero lavoratori e cittadini?
Lo accerteranno in dibattimento i magistrati del tribunale barcellonese (pm il discusso Olindo Canali) dove il prossimo 25 novembre proseguirà il processo a carico dell’imprenditore e dei tre funzionari medici dell’Asl 5 di Messina che nel tempo hanno certificato l’idoneità del sito, Massimo Bruno, Guido Tripodi e il chimico Francesco Faranda.
Ai quattro imputati è contestato, in concorso, l’aggravante, l’art. 444 del codice penale che punisce il commercio di sostanze alimentari nocive e pericolose alla salute pubblica. Al presidente della “Punto industria srl”, Rosario Runza, è inoltre contestata la violazione delle norme di cui al Dpr 303 del 1956 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e altre norme connesse a quelle legate all’amianto e alla sicurezza dei lavoratori.
Intanto quel che emerge dalla prima udienza è che tre dipendenti che avevano lavorato nel deposito hanno dichiarato di “non essere stati informati sui rischi e nemmeno sulle precauzioni da adottare sul lavoro, in quanto era stato assicurato loro che il deposito aveva subito i processi di bonifica”. A 17 anni dalla messa al bando dell’amianto in Italia, le storie delle “fabbriche della morte” non insegnano e soprattutto sembrano non avere fine.
Maggiori informazioni:
Comitato permanente ex esposti amianto
II conferenza nazionale sull’amianto “AMIANTO E GIUSTIZIA” TORINO, 6/7/8 NOVEMBRE 2009
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