Trapani e il “papello”
Nei giorni della «trattativa» tra la Mafia e lo Stato, in provincia di Trapani ci sarebbe stato un preciso scacchiere. Pedine che venivano mosse. Altre che venivano cercate per essere coinvolte. Pagine anche drammatiche. Come quelle della uccisione del capo mafia di Alcamo Vincenzo Milazzo e della sua compagna, Antonella Bonomo, strangolata sebbene in gravidanza. Un duplice delitto che di colpo subì una accelerazione nella esecuzione, perchè Milazzo e la Bonomo avrebbero potuto svelare qualcosa che stava succedendo ad un uomo dei servizi segreti. Il duplice delitto avvenne a metà luglio ’92, pochi giorni prima della strage di via D’Amelio.
In quegli stessi giorni c’è anche la storia di un cellulare «clonato» in possesso ai mafiosi, tra le utenze contattate, in quelle settimane, quella dell’Hotel Villa Igea di Palermo e quella del castellammarese Gino Calabrò, uomo coinvolto nelle indagini sulle stragi. Trapani ritornerà in primo piano anni dopo, quando durante un processo in Corte di Assise, gaurda caso a ridosso dell’anniversario della strage Borsellino, il 12 luglio 2002, il boss Leoluca Bagarella fece una dichiarazione spontanea per rimarcare la stanchezza dei detenuti rispetto al regime del 41 bis e rispetto alla «strumentalizzazione» fatta dai politici.
Passo indietro. Il malessere dei detenuti era stato usato dopo le stragi del 1992 per cercare appoggi «autorevoli» nelle canoniche delle chiese. Per ottenere un alleggerimento della pressione dello Stato e dei disagi del carcere duro, la mafia avrebbe tentato di ottenere un intervento «umanitario» della Chiesa. Ne parlano, in un colloquio dell’aprile 2003 il generale Mario Mori e il pm fiorentino Gabriele Chelazzi, poi morto d’infarto, che indagava sulla stagione delle stragi del 1993.
Era stato l’eccidio di via d’Amelio in cui erano morti Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta a provocare, nella notte tra il 19 e il 20 luglio 1992, il trasferimento a Pianosa di una cinquantina di detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Il provvedimento aveva creato un certo subbuglio tra i boss tanto che Riina aveva tenuto alcune riunioni a Mazara dove trascorreva la latitanza. Da lì aveva indotto i familiari di alcuni detenuti a chiedere un intervento al vescovo di Trapani, all’epoca Domenico Amoroso (scomparso nel 1996). Al prelato erano stati consegnati appelli e documenti. Il vescovo però non li aveva tenuti per se, nè fece modo di «appoggiare» quelle richieste, si limitò a riversarli su «canali istituzionali». A quel tempo, si ricorda nelle carte del pm Chelazzi, stava partendo la presunta «trattativa» mediata dall’ex sindaco Vito Ciancimino.
Mons. Amoroso all’epoca era impegnato a preparare la visita di Giovanni Paolo II, prevista per il maggio 1993. I boss speravano in un intervento della chiesa, Giovanni Paolo II da Agrigento rivolse invece un anatema contro i mafiosi. Nel 1993 gli attentati colpirono anche la chiesa, colpita con le bombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Subì l’uccisione, il 15 settembre 1993, di don Pino Puglisi. Identici erano gli obiettivi e anche gli organizzatori sia degli attentati che dell’uccisione del parroco di Brancaccio: gli uomini della cosca dei Graviano. Mons. Amoroso qualche tempo intervenendo ad una cerimonia alla Provincia raccontando ciò che gli accadeva, riferì di telefonate «notturne» silenziose che riceveva direttamente al telefono del suo alloggio.
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