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Testimoni di giustizia

Di Norma Ferrara il . Atti e documenti

E’ una delle aule in cui l’aria è più tesa, non lo nasconde nessuno. Forse perché le aspettative che ruotano intorno a questo seminario di lavoro toccano un nervo scoperto della legislazione italiana e di un aspetto sempre più fondamentale nella lotta alle mafie in questo Paese: i testimoni di giustizia. Il seminario che si è tenuto presso la sala del Consiglio della provincia di Roma, per la seconda giornata di lavoro di Contromafie, è stato un luogo di incontro e di proposta in cui si sono parlati faccia a faccia, liberamente, Testimoni di giustizia, addetti ai lavori, magistrati, avvocati.

A fare da tutor al seminario l’avvocato Enza Rando, responsabile tra l’altro dell’ufficio legale di Libera che ha aperto i lavori insieme ai relatori Francesco Paolo Giordano, procuratore della Repubblica di Caltagirone, il commissario della squadra mobile di Caltanissetta Gianni Giudice e Andrea Pettini avvocato di Firenze.

Presenti in aula molti Testimoni di giustizia, come Piera Aiello e Vincenzo Conticello, che hanno voluto essere qui per confrontarsi fra loro e con le istituzioni e per chiedere che venga applicata in maniera più armonica, incisiva e meno burocratica la legge 45.

“In un Paese normale – dichiara Enza Rando – testimoniare per un cittadino dovrebbe essere una cosa del tutto normale, regolare; nel nostro Paese purtroppo non è ancora cosi. Sono i Testimoni che spesso vengono sradicati dal territorio mentre invece dovrebbero essere i mafiosi ad abbandonarlo”. I Testimoni di giustizia come più volte ricordato nel dibattito sono cittadini che stanno facendo persino qualcosa in più degli altri e finiscono molto spesso per essere trattati come cittadini con qualcosa in meno. Meno diritti talvolta in nome di maggiore sicurezza cambiano drasticamente una vita che ha scelto di stare dalla parte dello Stato e non della mafia e soprattutto del silenzio omertoso.

Non ci sono né Mantovano (o suoi funzionari del ministero dell’Interno) né Pisanu (della commissione antimafia in carica). I testimoni sottolineano in molti interventi questo vuoto, questo incontro mancato, in un misto di delusione, rabbia e stanchezza. Ma si va avanti e il dibattito è denso di spunti, di testimonianze, di casi singoli che alla fine sembrano richiedere una cosa sola: riprendere in mano la legge 45 e in particolare la sua applicazione.

“Ci sono varie tipologie di testimoni – dichiara Giordano della procura di Caltanissetta –. Ci sono coloro che sono estranei a un fatto o contesto criminale decidono di fornire testimonianza dell’episodio e poi ci sono invece coloro che sono vittime di un reato e cominciano a fornire dichiarazioni utili alle procure che indagano sulla mafia del territorio”. C’è inoltre da chiarire la differenza fra testimoni di giustizia e i collaboratori: i primi non hanno alcun contatto con l’organizzazione criminale. I secondi sono degli affiliati che decidono di pentirsi, abbandonarla e collaborare con gli investigatori: questa differenza non è ancora chiara all’opinione pubblica e anche a molti addetti ai lavori, creando un pregiudizio e delle difficoltà che rendono difficile il proseguimento della vita di un testimone.

Fa un appello importante il procuratore di Caltagirone “fare modifiche di tipo amministrativo, per salvare una legge che rischia cosi di non avere gli affetti che il legislatore ha previsto nell’emanarla”.

E’ il capo del commissariato di Caltanissetta ad introdurre un argomento chiave che riguarda la vita dei testimoni di giustizia: la sicurezza. “C’è una compresenza, una sovrapposizione di forze dell’ordine – dichiara Giudice – nel controllo del territorio che comporta spese alte. A fronte dei tagli che sono stati previsti dal Governo non sono state effettuate le dovute riforme per snellire la macchina amministrativo – burocratica. Come controlliamo i testimoni di giustizia sul territorio? Con quali uomini, mezzi, tempi?”.

Giudice ha lavorato come il collega di Caltagirone a Gela, una laboratorio straordinario della lotta alla mafia, un luogo in cui lo Stato assente per molto tempo, è tornato e sta riprendendo il controllo del territorio. Qui anche sul versante dei testimoni di giustizia c’è una crescita notevole, segnale di una voglia di trasparenza e legalità nei singoli cittadini, ma soprattutto di ripresa di coraggio. E il coraggio lo riprendi se non ti senti solo, se senti lo Stato vicino, subito.

“E’ anche il tempo un segnale di democrazia – commenta Enza Rando – in questi casi la rapidità di intervento è tutto, a Gela contiamo negli ultimi tempi circa 45 nuovi testimoni di giustizia ed è un dato che non arriva per caso”. Gela rappresenta un precedente positivo anche per i testimoni di giustizia. Il paesino dove si misurano due diverse fazioni di Cosa nostra e la Stidda, una quinta mafia in terra di Sicilia, è diventato un luogo dove lo status quo si è capovolto.

A Gela oggi si può guardare per capire come riproporre questo modello, perfettibile, altrove dalla Calabria, alla Campania al resto del Paese.

La voce è passata per quasi tutto il pomeriggio ai testimoni di giustizia, da Vincenzo Conticello a Piera Aiello, ad una esponente dell’organizzazione non governativa di Colombia.

Molte le proposte emerse nel dibattito e gran parte di queste verranno portate domani in assemblea. Si parlerà del miglioramento dell’iter e della condizione attuale, della presenza di un tutor che segua il Testimone di giustizia per tutta la durata della copertura. A grandi linee (le proposte saranno note domani in assemblea plenaria all’auditorium della conciliazione) potrebbero essere attualizzate molte delle analisi contenute in un testo prodotto dalla Commissione antimafia precedente e firmata dall’onorevole Angela Napoli, che con un team di lavoro qualificato ha prodotto uno dei pochi lavori scientifici e giuridici sull’argomento. Una su tutte sembra ormai chiaro rappresenta una necessità più di altre: un tutor, qualcuno che faccia da mediatore, da accompagnatore fra la burocrazie e la nuova vita che aspetta ai testimoni di giustizia. In questo Paese in cui testimoniare il vero, dire quello che si vede o si sa alle autorità non è ancora una cosa normale. In questo Paese in cui sono i cittadini per bene a dover cambiare la propria vita mentre mafiosi latitanti riescono a vivere a pochi passi da casa loro, senza nessuno che osi disturbarli.

Contraddizioni di un Paese che però si impegna e non dimentica. Partirà infatti all’interno di un percorso di Teatro civile e di impegno un progetto sui Testimoni di giustizia. Per raccontarli alle scuole, ai cittadini, al Paese. Lo stesso che questi Testimoni di giustizia stanno contribuendo a cambiare, a migliorare con un atto semplice e diretto come la verità.

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