Memoria è impegno
“Potrei raccontarvi cosa significa alzarsi la mattina dopo che hanno ucciso tuo padre, potrei raccontarvi cosa significa crescere senza un genitore che è stato ucciso perché si è rifiutato di pagare il pizzo”. Potrei ma non lo farò – dice Stefania Grasso, figlia di un commerciante della locride vittima della ndrangheta nel 1989. “Quello che invece farò è raccontarvi del positivo che da quel vuoto e quel dolore è nato in tutti noi familiari di vittime delle mafie: che scegliamo di non andare in vacanza per dedicarci anima e corpo al progetto di associazioni locali sui nostri territori, che prendiamo giorni di ferie da lavoro per incontrare i ragazzi, nelle scuole, negli incontri pubblici”.
Fiori nati sulle macerie, sentinelle di memoria: sono i familiari di vittime delle mafie che aprono con la voce di Stefania Grasso, referente per il settore memoria di Libera, questa seconda edizione degli stati generali dell’antimafia. Accompagnati dalle parole di don Tonino Palmese, dopo i saluti delle istituzioni (dal sindaco di Roma, al sottosegretario del ministro dell’interno, Mantovano, sino all’inaspettato intervento del capo dello Stato Girgio Napolitano) si sono alternati sul palco dell’audiorium testimoni di memoria e protagonisti di cambiamenti che oggi sempre piu rendono possibile “un cambiamento semantico nelle due parole fondamentali di Libera – dichiara Tonino Palmese – Memoria e Impegno. Oggi è sempre piu vero che memoria è impegno”.
Noi siamo quello che facciamo – ha detto in un passaggio del suo discorso di apertura il presidente di Libera don Luigi Ciotti . “Noi piu di altri – continua Stefania Grasso – sappiamo in prima persona cosa significa andare contro le mafie. La nostra testimonianza commenta Grasso è viva esperienza ma anche nuova consapevolezza.
Noi siamo quello che facciamo. Lo sanno bene i soci della prima cooperativa nata sui beni confiscati alle mafie in Sicilia, la Placido Rizzotto. “Abbiamo cominciato questa avventura in 14 – dichiara Gianluca Faraone di Libera Terra – e oggi siamo in molti di piu, ma le difficoltà ieri come oggi non sono cessate. Per troppo tempo i corleonesi per tutti sono stati i vari Riina, i Provenzano, noi da quel momento abbiamo scelto di sfidare questo luogo comune ingiusto, e fare in modo che corleonesi, per tutti, fossero i Rizzotto e il resto della società civile onesta.
Noi siamo quello che facciamo. A pochi metri da Corleone, nei quartieri dimenticati di una Palermo difficile da vivere, ancora oggi, parte molti anni fa una storia intensa; un atleta arrivato in Italia sposa la Sicilia e la porta a correre a Sidney con il cuore e con le gambe alle olimpiadi del 2000. E’ Rachid Berradi, campione olimpionico oggi impegnato con Libera Palermo a togliere i ragazzini dalle strade avvicinandoli allo sport, alla legalità. “Quest’anno siamo riusciti a compiere un piccolo miracolo a Cinisi, i centro metri della legalità, che per la prima volta hanno fatto scendere in strada per l’anniversario di Peppino Impastato, i cittadini di Cinisi. Sono piccoli segnali che dimostrano che se uniti è possibile farcela, anche nel palermitano, dove ancora sono tanti i quartieri in cui si vive sotto la soglia di povertà”. Rachid sottolinea due parole chiave della lotta alle mafie: prevenzione e partecipazione, poi l’atleta si commuove sul palco dell’auditorium e lancia un appello: “da venti giorni ho dovuto lasciare Palermo perché sono stato trasferito per lavoro ma mi manca già, tantissimo. Oggi chiedo qui a chi è nelle condizioni di farlo di farmi tornare a Palermo; ho dato una speranza a questi ragazzini e non posso interromperla adesso. Non posso e non voglio”.
Noi siamo quello che facciamo. Per imprese che nascono sui beni confiscati in Sicilia ci sono imprese che resistono in terra di Calabria Antonio De Masi è un imprenditore simbolo nella sua regione. Nel 1990 gli fecero trovare una bomba sotto il negozio, lui chiuse l’attività per mafia, come recitava il cartello appeso fuori dal suo negozio. Ma il suo rifiuto di pagare il pizzo era diventato per tutti un esempio e il giorno stesso dalle autorità gli fecero sapere che non poteva permettersi il lusso di chiudere, era diventato in poche ore un simbolo e non poteva arredersi. Cosi fecero i De Masi titolari di una ditta di edilizia, e con il sostegno di Don Ciotti e di Libera rimasero su quel territorio. Applicando oggi politiche di economia e legalità hanno portato sviluppo e posti di lavoro su un territorio depresso come quello calabrese, oggi la De Masi fattura regolarmente, sta in piedi da sola e ha circa duecento dipendenti. Sulla questione del pizzo De Masi, esponente di Confindustria in Calabria, ha le idee chiare: prima vadano fuori quelli che lo incassano e poi quelli che lo pagano.
Noi siamo quello che facciamo. E proprio attraverso la lotta al pizzo è maturata invece la storia di un gruppo di ragazzi di Palermo che una notte tappezzarono il capoluogo siciliano con i cartelloni: un popolo che paga il pizzo è senza dignità. Da allora consumo critico e negozi pizzo free sono diventati una realtà a Palermo. “La politica – dichiara Daniele Marannoni di Addiopizzo Palermo – non è stata al passo con i cambiamenti della società civile. Le nuove norme introdotte dal Governo che impediscono di fatto l’accesso al fondo delle vittime di mafia per i risarcimenti delle associazioni antiracket costituitesi parti civili nei processi per racket sono – continua Marannoni – un altro esempio in questa direzione.”
Noi siamo quello che facciamo. In Italia come all’estero. “Vi chiedo qui – dichiara Alyona Obezdchikova di Flare – di non dimenticarvi di adottare una prospettiva più ampia di quella su cui solitamente lavorate, portare la vostra esperienza all’estero, dove ancora tutto è fermo nella lotta alle mafie”. Un importante risultato quest’anno proprio a partire dall’impegno dei tanti giovani della rete di libera Internazionale con Flare, hanno portato all’avanzare della legge sui beni confiscati anche nel parlamento europeo, molti paesi hanno fatto notevoli passi avanti nel percorso di consapevolezza e conoscenza di questo rivoluzionario strumento.
Alyona è Russa e lancia dal palco dell’auditorium un invito a non dimenticarci del suo Paese, della mancanza di libertà, delle condizioni in cui vivono i giornalisti nel suo Paese. O delle condizioni in cui muoiono i giornalisti nel suo Paese, verrebbe da dire, di fronte all’impressionate elenco dei cronisti morti o scomparsi negli ultimi anni nel paese di “Putin e del petrolio”.
Noi siamo quello che facciamo. (Luigi Ciotti – 23 ottobre 2009 Auditorium della Conciliazione – Roma)
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