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Lo stato della giustizia in Italia e le ipotesi di riforma

Di Federico Alagna il . Atti e documenti

I problemi
della giustizia e le risposte della politica, la situazione attuale e
gli scenari futuri, prevedibili e desiderabili: è questo il focus dell’analisi sullo stato della giustizia in Italia. Il tutor Anna Canepa,
membro dell’Associazione Nazionale Magistrati, entra subito nel vivo
della questione, riprendendo la rivendicazione, fatta dal
Sottosegretario agli Interni Mantovano, del “successo della politica
antimafia posta in essere dal Governo, fase iniziale di un circolo
virtuoso” e invitando a cominciare
l’analisi proprio dalle condizioni attuali della giustizia e dal
“modello di società che si prefigura in base alle riforme proposte”.

Invito raccolto da  Alberto
Cisterna, della Direzione Nazionale Antimafia, che mette subito sul
tavolo tre argomenti-chiave: legge sulle intercettazioni, legge sullo
“scudo fiscale” e l’affaire
Fondi. Soffermandosi in particolare proprio sulle intercettazioni,
viene rilevato come “siano rimaste l’unica vera risorsa nelle indagini
di antimafia” e come costituiscano uno strumento “sì, delicato, ma
davvero insostituibile”. Una loro forte limitazione, quindi, in accordo
con il testo approvato alla Camera, sarebbe “disastrosa ai fini della
lotta alla mafia”. Il “caso Fondi” viene approfondito, invece, dal
giornalista Alberto Custodero che, raccontando la sua inchiesta
sull’argomento, rileva le contraddizioni fra le misure di rafforzamento
della legge sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni
mafiose e la “mancata applicazione di quelle esistenti” che si è
concretizzata a riguardo del Comune di Fondi, dove “ci si è
accontentati dell’autoscioglimento del Consiglio” senza che il Governo
intervenisse per sanzionare la situazione, creando, così, “un
precedente pericoloso”.

E’, poi, Stefano Fassina, direttore scientifico
del NENS, a raccogliere gli spunti che il dottor Cisterna aveva
lanciato sulla questione dello “scudo fiscale”. E la sua è una condanna
molto dura, verso un’operazione basata sulla logica che “in tempi di
crisi non possiamo permetterci di mantenere una soglia di legalità
sufficientemente elevata”. E lo dimostrerebbero le differenze che lo
scudo italiano presenta rispetto a quello di altri paesi OCSE, come la
garanzia dell’anonimato per le persone coinvolte, l’ampiezza del
perimetro dei reati “condonati” o la sospensione nell’applicazione
della normativa antiriciclaggio da parte delle banche. E questa
manovra, secondo il professor Antonio Scaglione, si inserisce
perfettamente in una stagione politica che, a differenza delle
precedenti, che hanno visto l’alternarsi di fasi “di emergenza” e fasi
“di garantismo”,  è
caratterizzata dalla congiunzione “degli elementi peggiori di entrambe,
con la previsione di reati come quello di immigrazione clandestina e,
al tempo stesso, un garantismo esasperato e a senso unico”.

Ma nel
dibattito c’è spazio anche per l’autocritica. Sono gli stessi
magistrati, a cominciare da Piergiorgio Morosini, a raccomandar(si) di
evitare le cadute di stile e gli “andamenti schizofrenici” dei
processi, di utilizzare in modo uniforme e coerente l’istituto del concorso esterno
e di migliorare le proprie capacità di “saper leggere gli indicatori di
reati contro la pubblica amministrazione e nel circuito
economico-finanziario”. C’è, però, al tempo stesso la richiesta di una
legislazione “intelligente”, consistente in interventi mirati e non in
mega-riforme della Costituzione. Si chiede di “salvare il ruolo del
Pubblico Ministero”, di ridisegnare la geografia delle giurisdizioni
(vecchia di 150 anni), di destinare alla giustizia maggiori risorse
economiche, di evitare eccessive burocratizzazioni del ruolo del
magistrato. Ancora, si richiama l’attenzione sul tema della
giurisdizione civile, non meno importante di quella penale,
considerato, come dice il GIP Valerio Savio, che “costituisce il primo
impatto del cittadino con la legge” e che, quando risulta negativo,
“porta le persone, in alcuni territori, a chiedere alle mafie la tutela
che lo Stato non ha saputo dare loro”.

Il problema che si pone è, in
ultima analisi, di cambiare il reale oggetto della discussione. Si
rivendica, cioè, la necessità, che emerge nelle parole di Nino Amadore,
di “cominciare davvero a considerare la Giustizia come un valore, prima
ancora che come un servizio”.

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