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Dalla mafia invisibile al silenzio sulle mafie

Di Luigi Colombo il . Atti e documenti

«L’informazione deve diventare un cardine dell’azione di Libera». Prende il via con questo punto fermo, dalle parole del direttore di LiberaInformazione Roberto Morrione, il gruppo di lavoro «Dalla mafia invisibile al silenzio sulle mafie: l’informazione tra servizio pubblico e nuovi media». Snocciolando numeri, storie, testimonianze, partendo dall’analisi della situazione italiana, «non certo rosea e per molti versi da stato sudamericano», i lavori si sono chiusi con dieci concrete proposte operative. Il primo, appunto, come ribadito da Morrione è l’assunzione da parte di Libera dell’informazione come base delle proprie azioni,  aumentando la forza della rete già esistente, collegando sempre più blog, siti, carta stampata e radio.

 E per nuovi strumenti editoriali, accordi con case editrici, associazioni e fondazioni che già condividono il percorso dell’antimafia. Un maggiore coordinamento che potrebbe essere possibile anche grazie alla creazione di «agenzie periferiche di Liberainformazione», nonché lo slancio dell’azione internazionale dell’associazione per far meglio comprendere la realtà italiane nelle nazioni straniere, dove la mafia è spesso relegata a una manifestazione folckoristica.
Una «cultura del contrattacco» che deve necessariamente prendere il via da un attento esame di coscienza da parte degli stessi giornalisti. «Non tutto nasce con Berlusconi, certo aumenta, diventa più forte, distruttivo e violento, ma in Italia c’è una storica insofferenza verso la libertà d’informazione – analizza Enrico Fierro, del Fatto Quotidiano. I giornali non vogliono più inchieste: non c’è più spazio, tempo. A questo si deve, però, aggiungere una buona dose di auto-aggressione. In questo mestiere, molto fa riferimento alla nostra coscienza. Occorre fare delle scelte e, spesso, non abbiamo il coraggio civile di farle». Non usa mezze parole anche l’inviato del Tg3 Fabrizio Feo quando dice che «i giornalisti stanno suicidando questo lavoro». Come si è potuto arrivare a tanto? «Innanzitutto perché sui giornalisti pesa un randello giudiziario di proporzioni inaudite – accusa l’avvocato Domenico D’Amati. Sempre più spesso sono intentate cause milionarie per mettere a tacere la stampa. C’è un uso abnorme dell’azione giudiziaria. Occorre, quindi, rivedere la normativa in materia, affinché chi propone una lite temeraria sia poi condannato a risarcire il danno. E’ l’unico modo per contenere il temerario». Insieme a una maggiore assistenza legale e azioni anti-censura, sulla base della giurisprudenza già adottata dal Parlamento Europeo che ha ribadito come «il valore della libertà d’informazione è prevalente su quello della reputazione di un pubblico amministratore». Alle richieste di risarcimento ci sono da aggiungere le continue minacce e intimidazioni nei confronti dei giornalisti. «Per vincere questa battaglia è importante non lasciare solo il giornalista, soprattutto quello che lavora nei territori locali, quasi sempre costretto a difendersi da solo contro il potente di turno» dice Alberto Spampinato, dell’Osservatorio Ossigeno, per i giornalisti minacciati e le notizie oscurate. Ed è lui stesso a far presente come in Italia, dal 2006 al 2008, sono stati accertati 46 casi di minacce e intimidazioni a giornalisti o intere redazioni, per una stima minimale di circa 200 persone; senza contare che negli ultimi cinquant’anni sono stati uccisi 13 giornalisti che non facevano altro che il loro mestiere. «La realtà è inconfutabile: un attacco inaudito all’informazione – dice ancora Spampinato. C’è un altro fattore, però, da tenere in considerazione: negli ultimi anni si è assistito a una trasformazione genetica dei media. La maggior parte di essi non ha più come fine ultimo quello di dare notizie. Quindi, anche i giornalisti devono fare la loro parte: in altre parole più di quello che stanno facendo». Con una richiesta esplicita all’Ordine dei Giornalisti, arrivato dalla giornalista di Radio Popolare Antonella Mascari, per un’azione più incisiva nei confronti di chi scambia il proprio ruolo e responsabilità con quello di un killer contro chi esprime voci di dissenso al regime. «E’ deontologico spacciare per veri dei falsi documenti? Lo è minacciare finanche il presidente della Camera se non si adegua al registro? – si chiede Mascari. L’ordine è chiamato ad intervenire, altrimenti che senso ha la sua attività?».
Si mettano, infine, in campo azioni concrete per fermare il disegno di legge sulle intercettazioni, fino ad arrivare a forme di obiezione di coscienza se dovesse essere approvato quello che da più parti è stato definito «un vero e proprio bavaglio per i giornalisti».  

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