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Confische, riutilizzo e una nuova economia nei territori liberati dalle mafie

Di Alessandro Leo il . Atti e documenti

La costruzione di un’economia di libertà e solidarietà deve riguardare l’intero Paese e confrontarsi con l’attuale straordinaria potenzialità economica delle mafie. E’ sempre più assodato infatti che il problema delle mafie non e una questione esclusivamente meridionale, ma un problema che interessa la penisola – si pensi ai dati ultimi delle confische al nord che vedono la lombardia e l’Emilia Romagna salire nelle posizioni per numero di beni sequestrati e confiscati, oppure alle stime di proventi del traffico di stupefacenti nella sola città di Milano con un aumento esponenziale della redditività delle droghe importate dai paesi produttori – e che travalica gli stessi confini degli stati nazionali.  Se n’è parlato oggi ampiamente nel seminario sui beni confiscati della seconda giornata di Contromafie a Roma.

Fra i soggetti interessati al riutilizzo dei beni confiscati, fondamentale appare oggi il ruolo delle cooperative Libera Terra sui singoli territori, in quanto argini e motori di democrazia, luoghi di una rinnovata socialità e convivialità, elementi di contaminazione positiva del territorio, momenti di creazione di nuovo lavoro. Sarebbe comunque fuorviante pensare che le cooperative possano “battere” le mafie sul terreno economico.

Le confische – e la parte ancora minore dei beni assegnati e riutilizzati – sono sempre una parte risibile del giro d’affari sviluppato ogni anno dalle mafie. Un primo risultato concreto lo si ottiene invece contendendo il favore delle coscienze sul territorio, minando il consenso di cui la mafia gode.

“Bisogna portar via la roba, ma soprattutto le teste, le coscienze dei cittadini – afferma Gianluca Faraone, presidente della cooperativa Placido Rizzotto -, dimostrando in contesti mafiosi la possibilità di un’altro modo di vivere in comunità, secondi i diritti e i doveri di cittadinanza sanciti dalla carta costituzionale”. Tuttavia e sempre dietro l’angolo il rischio di chiudersi in un recinto, diventando un’isola felice che fa paradossalmente comodo alle mafie stesse nel momento in cui  passa la percezione errata di un territorio affrancato dal gioco mafioso. Altro rischio e restare semplicemente “testimonianza” che, seppur importante e nobile, alla lunga e sinonimo di sconfitta. Bisogna, al contrario, incidere nel territorio, graffiare i problemi, ponendosi in una posizione di dialogo con le imprese locali e declinando il tema della legalità secondo il criterio della convenienza economica.

La legge Italiana n.109 del 1996 che consente questo percorso di riscatto e liberazione del territorio dalle mafie, potrebbe divenire presto norma europea ed un obiettivo e l’adozione di una misura analoga anche in altri continenti segnati dalla presenza criminale, come i paesi latino-americani. A sostegno di questo tipo di approccio integrato fra misure repressive patrimoniali e misure preventive, il prof. Edgardo Buscaglia dell’università del Messico e collaboratore della Columbia University porta all’attenzione uno studio sugli effetti della prevenzione penale svolto su 107 paesi nel mondo.

Dall’esame dei dati raccolti si e giunti ad un paradosso: maggiore è la repressione militare e penale, maggiori saranno i reati commessi; di contro, maggiore saranno le misure di prevenzione sociale (politiche sociali, prossimità e soddisfazione dei bisogno in contesti difficili, etc), minore sarà l’efficacia della penetrazione criminale sul territorio. Il lavoro svolto attraverso l’uso sociale dei beni confiscati va in questo senso, integrando politiche di repressione e prevenzione e stimolando pezzi sani di società civile in tutto il Paese.

Tuttavia, sottolinea Antonio Maruccia – Commissario straordinario di governo per la gestione dei beni confiscati alle mafie –  preoccupa la situazione di totale silenzio delle mafie , il loro profilo basso, l’inabissamento. Si tratta di un dato processualmente riscontrabile: a Milano non si verifica un omicidio tipicamente mafioso ormai da 7 anni a fronte di 120mila consumatori di cocaina. Preoccupante e anche la difficoltà di indagini patrimoniali per il contrasto al riciclaggio di proventi mafiosi, questione che richiede competenze rilevanti, polizie specializzate, autorità giudiziaria qualitativamente e quantitativamente adeguata.

Passi avanti sul fronte delle misure di contrasto patrimoniale sono stati comunque fatti con l’introduzione nella legge 94/2009 di norme che permettono sequestro e confisca anche a prescindere dal giudizio di pericolosità dell’imputato di reati mafiosi. Bisogna comunque migliorare la legge Rognoni-La Torre per intercettare capitali mafiosi adeguamento l’armamentario giuridico a disposizione degli organi inquirenti nel contrasto al nuovo riciclaggio.

Il riciclaggio è infatti ormai mutato, non ci si trova più di fronte a meccanismi di riciclaggio pedestri, elementari, che riflettono una mentalità mafiosa di tipo agricolo o preindustriale, ma ad una mafia che reinveste attraverso canali finanziari. In italia sono pochissimi i processi contro il riciclaggio finanziario. La strumentazione giuridica deve insomma riflettere la complessità delle nuove modalità di riciclaggio.

A rafforzare la tesi del bisogno urgente di miglioramenti e revisioni delle norme antimafia, ed in particolare della n.109/96, la senatrice del Pd Rita Ghedini sottolinea i ritardi nell’approvazione dei disegni di legge migliorativi della 109, ancora non discussi o stralciati e proposti come emendamenti alle leggi finanziarie recenti. A febbraio, nel corso della discussione al senato sulla legge sulla sicurezza, il senato ha comunque approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna il Governo a rivedere la normativa sulla gestione dei beni confiscati e allocare risorse economiche come fondi di garanzia per le imprese che operano sui beni confiscati.

Piero Calzolari, presidente Legacoop Bologna e presidente Agenzia cooperare con libera terra, sottolinea  il compito comune di fare rete contro le mafie che non può essere affidato alla sola istituzione pubblica, ma anche a tutti quei soggetti responsabili della vita di una comunità.

 In particolare, sono importanti la collaborazione con il sistema Coop, che attraverso la commercializzazione dei prodotti promuove anche cittadinanza attivita, ed il sostegno del gruppo Unipol – fondazione Unipolis alle attività di Libera ed alle cooperative Libera Terra attraverso la campagna “1 euro a polizza”. Da ricordare infine l’intervento economico determinante senza garanzie di 700mila euro a favore del riavvio dell’azienda confiscata Calcestruzzi Ericina in provincia di Trapani.

Sostegno viene anche dal mondo economico della finanza etica. Importanti gli interventi di Banca Popolare Etica nell’accompagnare gli investimenti delle imprese cooperative impegnate sui beni confiscati. Una prospettiva europea rispetto alla finanza etica si apre con le parole di Cyrille Langendorff, Chef de projet del Credit Cooperatif francese. Il Credit Cooperatif, banca francese che associa 300mila soggetti, più della metà Onlus, presenta una piattaforma finanziaria basata su fondi pazienti che interviene in settori economicamente rischiosi ma socialmente fondamentali, come il commercio equo e la cooperazione sociale. A dispetto della crisi economica mondiale, i crediti del Credit Cooperatif sono incrementati del 15%.

Lucio Guarino, direttore del Consorzio sviluppo e legalità, racconta la nascita del consorzio nell’aprile del 2000, quando cinque comuni dell’alto belice corleonese, su sollecitazione della Prefettura e di Libera, furono chiamati a testare l’efficacia della 109 su circa 200 ettari di terra confiscata al clan dei corleonesi – oggi circa 700 -creare nuove occasioni di lavoro per giovani disoccupati e riaffermare la presenza dello Stato e della società civile in porzioni del territorio in cui se ne sentiva l’assenza.

Collega campana di Lucio Guarino, la direttrice del consorzio Sole, Lucia Rea, denuncia l’impossibilità di agire in maniera efficace su tutti i beni
confiscati alle mafie nel territorio dei 25 comuni consorziati. Su 200 beni confiscati, infatti, se ne possono riutilizzare soltanto 20. Gli altri risultano depauperati, ipotecati o con problemi di comproprietà.

Un esempio positivo di riutilizzo e il bene immobile confiscati al boss Salvatore Rea nel Comune di Giuliano, una villa bunker oggi riconvertita in un centro sportivo polivalente, con piscina e casa alloggio per disabili. Lucia Rea aggiunge che ogni ente locale che senta la responsabilità di contrastare il fenomeno mafioso dovrebbe impegnare anche risorse proprie nel recupero dei beni, facendo affidamento anche allo strumento dell’avanzo di amministrazione se non sono disponibili fondi nella spesa corrente.

Maruccia conclude i lavori annunciando la nascita di un nuovo sito che fa riferimento all’Ufficio del Commissario straordinario, www.beniconfiscati.gov.it. Sottolinea inoltre  l’importanza di una soluzione al problema delle ipoteche sui beni confiscati, ma anche  la difficoltà di gestione e recupero delle aziende confiscate, indicando nel 10% parte di aziende che sopravvivono alla fase del sequestro e dell’amministrazione giudiziaria.

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