L’Italia abusiva dai piedi di argilla
Una pioggia intensa, violenta e l’Italia ricade nella paura. Con conseguenze drammatiche. Un bilancio che registra, ancora una volta, delle vittime. Innocenti. Oggi quelle dell’alluvione che ha colpito Messina, che si aggiungono a quelle di quest’estate a Borca di Cadore, in Veneto.
Ieri quelle di di Sarno. Tante, troppe che allungano quell’ interminabile elenco che, diciamola tutta, non è frutto di calamità naturali, di tragedie attribuibili al “destino cinico e baro” ma di disastri provocati da decenni nei quali il nostro Belpaese gli equilibri ambientali, la sicurezza dei cittadini sono stati sacrificati in modo sistematico al saccheggio del territorio, a soldi spesi male, a realizzazione di opere pubbliche spesso inutili, vere cattedrali nel deserto che in molti casi hanno solo arricchito le organizzazioni criminali, tralasciando quelle opere necessarie di ma nutenzione del territorio.
In una parola Malgoverno. Ed ecco che la responsabilità di questi eventi luttuosi, dei danni, della melma e del fango che mettono a repentaglio vite umane e mettono a rischio case e strade e quant’altro va ricercato anche in altro: nel dissesto idrogeologico, nella devastazione selvaggia del territorio, nella cementificazione degli argini, nelle escavazioni selvagge che modificano il disegno dell’alveo, nell’abusivismo dilagante. E non è un caso se nel paese dei condoni, dal 1993 al 2004, secondo le stime di Legambiente, sono state realizzate 402.676 costruzioni abusive.
Cemento e sangue nelle mani della criminalità organizzata. E non solo. Colpa anche dell’incapacità, ignoranza di chi, a livello nazionale, regionale e locale ha amministrato e amministra il nostro paese. Non servono passerelle e lacrime di coccodrillo se nel passato si è autorizzato a costruire laddove non era possibile, si è permesso di cementificare i corsi d’acqua, si è chiuso un ‘occhio, anzi due sulla escavazione abusiva di ghiaia e sabbia dai fiumi.
Con una dissipazione di risorse economiche che ha privilegiato interessi economici e criminali, sacrificando l’ambiente e la sicurezza idrogeologica. In questi anni, la politica bipartisan, i governi che si sono succeduti, non hanno mai considerato il risanamento idrogeologico e la manutenzione ordinaria del territorio le prime e prioritarie grandi opere pubbliche di cui ha bisogno il nostro Paese.
Un piano del territorio da cui possono venire qualità ambientale e lavoro. Segnali concreti di resistenza civile, di un Belpaese che non si arrende. E che chiede normalità, buona politica,manutenzione quotidiana della le- galità. In prima fila per vincere una sfida che è culturale, economica e sociale. E che richiede il contributo di tutti. E che aspetta segnali. A partire dall’evitare quello che per tutti rappresenta l’affare più grosso: il Ponte sullo Stretto di Messina.
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