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Cascina Caccia, la storia di un bene liberato

Di Davide Pecorelli il . Piemonte

San Sebastiano da Po conta 1800 abitanti. E’ uno dei micro Comuni collinari che circondano Torino. A girare per quel paesino ti puoi imbattere in un panettiere, un bar, tanti campi coltivati e piccole botteghe artigianali. Un paese come tanti se ne incrociano in provincia di Torino, con un poco edificante primato. Per anni infatti nell’elenco telefonico, tra i piemontesissimi cognomi del luogo, campeggiava placido il numero telefonico della famiglia Belfiore. Originari di Gioiosa Ionica, hanno vissuto per 30 anni in un cascinale di 1000 metri quadrati in via Serra Alta 6. Decenni nei quali la provincia Torinese, grazie al contributo di alcuni elementi di questo ceppo famigliare, ha conosciuto l’espansione del potere ‘ndranghetistico. Domenico e Salvatore Belfiore sono stati protagonisti indiscussi nella gestione del malaffare all’ombra della Mole. Bische, narcotraffico, riciclaggio le attività preferite. “Mimmo”, così chiamavano gli ‘ndranghetisti Domenico Belfiore, è il mandante dell’omicidio del Procuratore della Repubblica Bruno Caccia. Il primo e l’unico magistrato ucciso dalla mafia al Nord. 14 colpi di pistola lo raggiunsero in via Somma Campagna, il 26 giugno del 1983. E’ lo stesso “Mimmo” a spiegare a Miano, esponete pentito dei catanesi, il motivo di quell’illustre omicidio: “Peggio di lui non c’era nessuno perchè non si poteva corrompere”. Ora Mimmo sconta l’ergastolo per essere il mandante dell’assassinio, mentre gli esecutori materiali non sono mai stati assicurati alla giustizia. Sempre in quella casa, ora luogo restituito alla collettività, ha vissuto per anni Salvatore. Sasà per gli amici. Secondogenito, ha preso in mano le redini degli affari di famiglia dopo l’arresto del fratello. La sua specialità è stato il narcotraffico. Nel ’94, a seguito dell’operazione Cartagine, viene trovato a Borgaro un container pieno di cocaina. A capo dell’organizzazione Sasà, in grado di far girare in soli 5 anni 11 quintali di cocaina, dal Sudamerica all’Italia. A seguito di questo fatto criminale, per il quale Salvatore Belfiore è dietro le sbarre con l’aggravante del 416 bis, la Procura fa partire, nel 1996, il decreto di confisca della struttura. Solo dopo un decennio il bene viene però abbandonato dagli ultimi occupanti e destinato al Gruppo Abele. Il 14 luglio del 2007 l’avventura di Cascina Bruno e Carla Caccia ha avuto finalmente inizio grazie ai ragazzi dell’associazione Acmos, che si occupano della rinascita del bene. Da quel giorno in quel casolare si respira un’aria nuova. Un’aria Libera.

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