Mafia, nein danke!
Censurato dall’autorità giudiziaria tedesca, messo all’indice da condannati in primo grado per mafia, criticato da più parti, il libro della giornalista Petra Reski ha sicuramente il merito di aver fatto parlare di sé e di non essere un mero prodotto di un’industria culturale interessata spremere fino all’ultima goccia l’ultimo trend editoriale. D’altronde non ci si improvvisa giornalisti e l’autrice teutonica, di stanza a Venezia, è da vent’anni sul terreno privilegiato di chi i fatti di mafia che racconta li ha vissuti in diretta, senza mediazioni di sorta ma, anzi, con voglia di conoscere e approfondire.
Mi permetterà, dunque, l’autrice, di fare una recensione molto franca del suo testo, ponendo di fianco ai grandi meriti anche alcune sfumature e punti di criticità stilistici che, comunque, non levano un grammo del valore del testo. Perchè, e sia chiaro, “Santa Mafia” è un libro interessante, ben scritto, un volume che coglie alcuni punti salienti in maniera discorsiva e ficcante. Si potrebbe iniziare da questa frase della giornalista tedesca: «La mafia non è un problema esclusivamente italiano né un affare di coppole e di realtà arretrate del sud Italia, ma un problema europeo». Cosa bella sentita da una persona che viene dalla Germania, che per anni probabilmente non si sarebbe mai posta il problema, ma che vivendo la realtà italiana ha compreso quella evoluzione verso la quale le mafie sono andate incontro.
Non sottovalutando, anzi cogliendo a pieno quell’inequivocabile segnale che due anni fa, nell’agosto, ha inviato la cosiddetta “Strage di Duisburg”. Un momento che ha fatto conoscere alla Germania l’efferatezza della ‘ndrangheta calabrese, ma che, almeno non fino in fondo, ne ha fatto comprendere la potenza e l’espansione. Sì perchè se era divenuto ormai visibile quel mondo, quella realtà, purtroppo parlare di tessuto tedesco infiltrato, di Germania come paese corroso dal cancro mafioso pareva ancora troppo. Per questo il libro della Reski, ora pubblicato anche in Italia, penso sia un’importante veicolo di diffusione di consapevolezza proprio sul suolo tedesco. Uno strumento che parte da lontano e che collega posti, luoghi, fatti, molto variegati con la Germania attuale, per permettere di comprendere la portata ormai internazionale di un fenomeno. Ma come succedeva in Italia e succede ancora, il pubblico tedesco ha di rado apprezzato questo “essere messi in mezzo”; ne è testimone la stessa autrice che nella introduzione ricorda diverse presentazioni dove non pochi furono le voci di dissenso durante le presentazioni del volume in Germania.
Senza contare che alcune parti del libro sono andate incontro alla censura dell’autorità giudiziaria tedesca: interesse righe completamente oscurate sia in Germania che nell’edizione italiana. Parti che possiamo solo immaginare, nomi e dati sulle infiltrazioni delle ‘ndrine sul suolo teutonico che sono state preventivamente bloccate, listando indelebilmente a lutto diverse pagine del volume. Volume che scorre in maniera molto fluida anche per la scelta stilistica che la Reski ha effettuato. Quella cioè di utilizzare uno stile molto narrativo, con discorsi indiretti anche in presenza di testimonianze, e sono molte, di personaggi, magistrati, mafiosi, gente comune, ascoltati in anni di lavoro, in Italia e in Germania.
Partendo da Palermo, base ideale per altri spostamenti nel Mezzogiorno, la Reski non rinuncia ad ampie digressioni narrative che permettono di raccontare la realtà sociale che vede con i suoi occhi. Per poi entrare direttamente nell’argomento: pentiti, preti in territori di mafia, familiari di vittime, giudici, poliziotti. Senza seguire una ideale linea narrativa o geografica, ci troviamo catapultati in Germania, Campania, Calabria, Sicilia. Questa scelta molto discorsivo, dal sapore di romanzo, potrebbe dare corda ad alcuni detrattori. Che rivedrebbero nell’autrice una versione del ventunesimo secolo di chi, tedeschi e inglesi, centinaia di anni fa viaggiava nel Mezzogiorno d’Italia e documentava la realtà degradata, sottosviluppata che vedeva.
Sarebbe un errore ridurre tutto a mero costume: parlano i fatti come nella migliore tradizione giornalistica, sentenze, ordinanze, dati incontrovertibili. Al punto che qualche giorno dopo la stampa del libro in Italia, l’ex senatore Dell’Utri, condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, ha condannato il testo e chi lo sostiene, nella fattispecie il magistrato Macrì, autore di una prefazione al libro. In cui ribadisce il bisogno che Italia e Germania hanno di parlare di questi temi, per non ridurre Duisburg a un caso, a un piccolo puntino nella storia, da ricacciare con prontezza sotto il tappeto degli incidenti di percorso.
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