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Informazione e lavoro, due motivi per scendere in piazza

Di Stefano Fantino il . Interviste e persone, Progetti e iniziative

In queste due settimane ritiene che ci siano stati nuovi attacchi
alla libertà di informazione, che danno ulteriore spinta alla manifestazione? 

Dopo il rinvio è palese che  ci siano stati diversi attacchi
in sede Rai; parlano da sole quelle situazioni. Ma è il caso di rilevare
che le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio definiscano
la manifestazione di sabato 3 come una “farsa” in un paese dove
invece c’è molta libertà di stampa. Io penso invece che dia fastidio
soprattutto la pluralità di adesioni che sono pervenute non da una
sola parte ma da organi di diversa provenienza. 

Pensa che siano dei punti centrali a unire l’adesioni di elementi
anche distanti su altri argomenti? 

Penso che l’adesione sia vincolata ad alcuni nodi centrali che in
molti condividono. Si parla innanzitutto di diritti, soprattutto quello
fondamentale per la democrazia di essere messi a contatto, come cittadini,
del maggior numero di posizioni, espressioni e idee possibili. Ritengo
che in tanti si accorgano di come siamo ormai lontani da questo ideale,
in un Paese dove si preverisce distorcere i fatti o addirittura occultarli. 

Cosa pensa del rapporto tra informazione e lavoro oggi? 

Questa è una tematica in cui è evidente la situazione dell’informazione,
capace di trattare in maniera distorta la reale situazione del Paese.
Faccio solo un paio di esempi. Il primo riguarda i dati sull’occupazione.
Vengono dati con falso ottimismo dicendo che la situazione è migliore
rispetto ad altri paesi. Questo senza contare la differenza tra Paese
e Paese sul numero degli occupati e altri fattori che in realtà dimostrerebbero
come la percentuale sia invece preoccupante. E in seconda battuta il
mondo della scuola, dove costantemente si parla di politiche di supporto
alla classe dei docenti e dei ricercatori quando, ad ora, sono stati
fatti solamente tagli. Senza contare che il lavoro è completamente
sparito dai Tg, fatti che occupano poco spazio, distorti, o addirittura
taciuti dalla stampa, al punto che per avere un po’ di visibilità alcuni
lavoratori sono costretti a fatti eclatanti.  

Ritiene anche la precarizzione del mondo giornalistico un fattore
su cui porre attenzione? 

Assolutamente si. Viene spesso ignorato che nel mondo dell’informazione
lavorano molti precari, mal pagati o pagati a pezzo pochi euro. La loro
situazione di precari, in lotta per mantenere un lavoro a tutti i costi
li rende anche vittime di facili pressioni affinché lascino passare
sotto silenzio alcune tematiche per mantenere il posto. 

Che ci sia un problema di informazione è poi risaputo e ribadito
da molte agenzie europee… 

La lampante esistenza di un conflitto di interessi abnorme è messo
in luce da varie agenzie europee che condannano l’Italia a una posizione
bassa nella classifica della libertà di stampa. E questo conflitto
appare lampante quando si vogliono negare le pubblicità ai quotidiani
che non diffondono ottimismo. A farlo è sempre il presidente del Consiglio
che in questo senso regola in maniera poco democratica la gestione dell’informazione. 

Quale l’obiettivo del 3 ottobre?

Reagire è necessario, la risposta arriva da molte parti, è variegata.
Penso che questo debba essere l’avvio di una realtà che poi si ripeterà
in altre 100 piazze in Italia. Occorre che tutti si prendano un impegno
per il futuro della comunicazione, partendo dal presupposto che le attuali
leggi non sono sufficienti. Bisogna lavorare tutti a una proposta, rinunciando
anche a piccole rivendicazioni personali per proporre una legge moderna. 

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