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Non si costruisce la democrazia senza la ricerca della verità

Di Alessandra Del Giudice il . Campania

Se è 
vero che il dolore non passa mai per chi ha perso un familiare assassinato
dalla mafia, la vita, dopo quella morte, può assumere un valore aggiunto
nel senso dell’impegno.

E’ questo
il caso di Paolo Siani che per ricordare il fratello e continuare il
suo impegno, cinque anni fa, ha indetto il Premio Siani destinato agli
autori di opere che abbiano come oggetto prevalente l’analisi e il contrasto
di fenomeni criminali. Il premio,
realizzato dal “Comitato Giancarlo Siani”, è promosso da
Ordine dei giornalisti della Campania, Associazione napoletana della Stampa, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Associazione
G. Siani ed il quotidiano il Mattino.

La quinta edizione del Premio Siani si è svolta questa mattina a partire
dalle 12 nella Sala riunioni de “Il Mattino” il giornale per il quale Giancarlo era stato corrispondente da Torre
Annunziata e dal quale aspettava l’assunzione definitiva. A presiedere
il premio i giurati: Ottavio Lucarelli, Gianfranco Coppola, Presidente
e Segretario di Ordine giornalisti della Campania; Vincenzo Colimoro,
Gianni Colucci, Presidente e Segretario di Assostampa; Lucio D’Alessandro,
Arturo Lando, rappresentanti di Suor Orsola Benincasa; Paolo Siani,
Enzo Calise, Geppino Fiorenza dell’ Associazione G. Siani e Virman
Cusenza, Pietro Gargano del Mattino.

“Libertà di stampa e verità” sono i temi maggiormente toccati
dai relatori e dai premiati proprio perché Giancarlo Siani rappresenta
il simbolo più silenzioso ed assordante della lotta “nero su bianco”
contro la mafia. “Questa è
per la stampa la giornata più significativa dell’anno- sottolinea
Ottavio Lucarelli, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Napoli.
Giancarlo è un esempio per tutti e non solo a livello locale. Mi sono
recato con Paolo al Festival di Perugia e ho notato l’attenzione
dei giovani che visitavano la sezione dedicata a Giancarlo e il loro
entusiasmo nell’avvicinarsi al giornalismo”.

L’omicidio
di Giancarlo fu una ferita inferta a una generazione. Oggi noi dovremmo
essere in grado di raccogliere questa eredità. “Italo Calvino
in uno dei suoi saggi  sull’esperienza del partigiano parla di
una generazione con il midollo del leone, del coraggio di denunciare
e ricostruire- racconta Virman Cusenza, neo direttore del Mattino.
A questo dobbiamo rifarci. Oggi viviamo una realtà molto più normale
ma in effetti molto più complicata”.

Gli autori
premiati oggi posseggono quel midollo da leone. Lo dimostra la forza
espressiva delle loro opere e l’approfondimento e la ricerca grazie
alle quali sono state realizzate. “Mi sono
ispirato a Don Peppe Diana ed all’eredità che ha lasciato sul suo
territorio – racconta Francesco
Matteuzzi coautore del libro a fumetti

DON PEPPE DIANA PER AMORE DEL MIO
POPOLO (premio ex aequo della sezione fumetto). La potenza della memoria è fondamentale, se si pensa che neanche
un mese fa hanno tentato di infangare il ricordo di Don Peppe. Per questo
non bisogna stancarsi di raccontare la verità e diffonderla. Usare
altri linguaggi fa si che un libro come questo possa essere diffuso
nelle scuole”.

Si può 
trasmettere la memoria ma anche fare inchiesta ricercando le cause della
presenza mafiosa sul territorio che troppo spesso rischia di diventare
“normalità”. E’ ciò 
che ha fatto Vittorio Mete con il suo FUORI DAL COMUNE
(terzo premio). “Non si può comprendere la mafia, se non compie
un’analisi delle connivenze mafiose- spiega Mete-. Ad esempio nel
’94 cala incredibilmente il numero di comuni sciolti per mafia. Ad
uno sguardo superficiale si potrebbe pensare che lo Stato abbia migliorato
la sua opposizione alla mafia mentre è esattamente il contrario: lo
Stato ha abbassato la guardia. Nelle statistiche la Campania è al primo
posto per lo scioglimento dei Comuni. Quattro cittadini su dieci sono
stati amministrati almeno una volta da una Commissione Straordinaria.
Eppure quello dello scioglimento appare come un funzionamento normale”.

Normale dovrebbe
essere invece fare il giornalista. Semplicemente, raccontare la realtà.
Ma non è stato così per Giancarlo Siani e non lo è stato per altri
giornalisti come lui. Ci sono storie
simili a quelle di Giancarlo ma che non hanno bucato il velo dell’informazione.
E’ il caso di Giovanni Spampinato, cronista di Ragusa ucciso dalla
mafia nel 1972.

Alberto Spampinato,
anche egli giornalista, ha ricostruito la vicenda del fratello realizzando
un’inchiesta sulla sua morte: C’ERANO BEI CANI MA MOLTO SERI” 
Storia di mio fratello Giovanni, ucciso per aver scritto troppo (primo
premio ex aequo).“Nella differenza
ci sono grandi analogie con la storia di Giancarlo – racconta Alberto-.
Mio fratello è stato ucciso che non aveva compiuto ventisei anni, l’età
di Giancarlo quando è morto. Come lui, Giovanni si ostinava a dare
notizie che non si voleva fossero conosciute. Nonostante i “chi
te lo fa fare”. Come Giancarlo, Giovanni attendeva di essere assunto,
nel suo caso dall’ “Ora” di Palermo. Sono riuscito a raccontare
la sua storia dopo 30 anni. All’inizio le vittime si vergognano del
proprio dolore, poi grazie a Libera e a Don Luigi ho superato il blocco.
Raccontare è un impegno sia personale che professionale. Ho inoltre
fondato l’Osservatorio Ossigeno che vuole indagare sulle morti dei
giornalisti per capire perché sono stati uccisi. Cosa che si fa ancora
poco nel nostro paese”.

Si può 
combattere la mafia scrivendo ma anche attraverso un prodotto maggiormente
divulgativo come un film, soprattutto se è delicato ed intenso come
Fortapasc
In gran parte la bellezza del film si deve all’interpretazione
di Libero De Rienzo di Giancarlo Siani oltre che alla regia di Marco
Risi. “Faccio l’attore
da ragazzino – racconta Libero, secondo al Premio Siani, ma questo
per me è un film unico. La parola che ha accompagnato tutti noi durante
le riprese è stata “etica”. Quando abbiamo
girato nel quadrilatero delle carceri c’era un’auto che dava fastidio
alle riprese, così un carrozziere lì vicino, senza che glielo chiedessimo,
senza clamore, ha preso un cric e l’ha spostata. Cinque giorni dopo.
Il 3 luglio. Lui e il suo cane sono stati uccisi da una scarica di proiettili.
E’ così che abbiamo dedicato il film a quell’uomo, una vittima
che per noi aveva un volto, una voce.

Un giorno parlavamo
in diretta da una radio e ha telefonato il figlio di quell’uomo ucciso.
Ci ha raccontato che il 3 luglio era morto anche lui insieme al padre
e al cane. Così si era chiuso in casa sprangando le finestre. Solo
vedendo il film e sentendo della dedica al padre ha preso la forza per
andare a denunciare i killer che aveva riconosciuto dal primo momento.
Sono felice se siamo stati utili a qual ragazzo e a tutti quelli che
hanno visto il film. Anche se film
non ha avuto grande pubblico ma non è difficile capirlo in un paese
dove i clown fanno i politici”.  E in questo
mondo dove i clown fanno i politici non bastano le parole ci vogliono
i fatti. Fatti che tardano ad avvenire se neanche un docu-film coraggioso
e pluripremiato come Biutiful Cauntri (primo premio ex aequo) riesce
a cambiare le cose. Se terre raccontate dal film i rifiuti tossici continuano
a bruciare.

“Ferrandelle,
S. Tammaro stanno bruciando da questa mattina. Ma è un fenomeno che
si ripete tutte le sere dalle 19.00. Non è cambiato nulla dopo il film.
Bonifica pari a zero. Non si è realizzata nessuna linea per smaltire
i rifiuti industriali”. Questo racconta con rammarico Raffaele Del
Giudice, Direttore di Legambiente Campania e prima di tutto educatore,
che nel film ripercorre le strade dissestate della sua amata e odiata
terra tra allevatori che vedono morire le proprie pecore per la diossina,
contadini che coltivano le terre inquinate per la vicinanza di discariche
e i roghi di rifiuti tossici.

“La lezione
di Giancarlo è che il silenzio è connivenza- dice con decisione Andrea
D’Ambrosio uno degli autori del film- Bisogna urlare come è scritto
in una poesia di Mimmo Beneventano, medico , poeta e consigliere comunale
ucciso dalla mafia, anche se non si sente l’eco delle nostre urla.
Ma non bastano le parole. Lo dico a quella sedia vuota dove prima era
seduto Antonio Bassolino, Presidente della Regione Campania. Alle parole
devono seguire i fatti. Nelle delibere comunali contro l’abusivismo
edilizio e la camorra”. “Non è cambiato
molto da quando è uscito il film- continua Esmeralda Calabria, sceneggiatrice
del film- La cosa positiva è che se ne è iniziato a parlare. Noi ci
siamo chiesti cosa potevamo fare. Bisogna mettere in campo tutte le
forze che si hanno a disposizione per raccontare dove viviamo e fare
pressione”.

 “Giancarlo
faceva informazione. Punto.- prosegue Peppe Ruggero-. O è libera o
non è informazione. Anche nel settore
dei rifiuti bisognerebbe avere un po’ di ossigeno per riacquistare
la normalità e il coraggio della parola”. Normalità 
e semplicità si respiravano alla fine della mattinata nella sala
del Mattino. Come se Giancarlo rivivesse, rassicurando tutti, nell’impegno
e nella passione dei giovani che da lui hanno preso il testimone. Come
se la verità non sia solo una possibilità ma la normalità.

“Le mafie
assassinano la speranza e noi la dobbiamo far rivivere concretamente-
raccomanda Luigi Ciotti-. Penso al riutilizzo dei beni confiscati, a
voi che vi siete inventati di tutto per informare. Scrivere di
cose positive da forza e coraggio. Il coraggio della denuncia attraverso
la parola. Non si costruisce la democrazia senza la ricerca della verità.  Oggi il grande
peccato del sapere è la mancanza di profondità. Ma c’è una
cosa cui tengo particolarmente: da quando è nato il Premio Siani che
chiedo al Mattino che scriva nel tamburino il nome “Giancarlo Siani”.
Giancarlo vive  e rappresenta tutti i giornalisti che hanno perso
la vita. Rappresenta tutti coloro si spendono in modo giusto, credibile,
onesto. Dovete scrivere il suo nome”.

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