NEWS

Mar Jonio, 21 settembre 1987: ultimo giorno di luce per la Rigel

Di Anna Foti (da www.strill.it) il . Calabria

La stella più luminosa della costellazione
invernale del guerriero Orione che era uomo prestante e, ironia della
sorte, figlio di Poseidone, dio del Mare, con il dono di camminare sulle
acque. Invece la nave oggi è ancora un relitto ben nascosto sotto le
acque joniche. La stella, e la costellazione che domina, sorgono ancora
molto tardi e non saranno visibili nella volta celeste notturna prima
dell’inverno, quando non rimarranno più avvolte nella luce del sole
che avanza. Avvolta nell’oscurità è invece l’imbarcazione che porta
questo nome giacente dal 21 settembre 1987, con ogni probabilità, negli
abissi del mar Ionio a poco più di mille metri di profondità, venti
miglia a largo di Capo Spartivento, in acque internazionali.

Oltre venti anni fa, infatti, sulla
costa jonica della nostra provincia una nave colava a picco mentre il
mare era piatto, come spesso accade in settembre da queste parti. Nel
mar Jonio un nave che affonda, affonda bene perchè la profondità delle
acque è peculiarità tale da essere appetibile per chi deve nascondere
qualcosa che non deve essere trovata. Appetibile per faccendieri senza
scrupoli e un affare da non perdere per Natale Iamonte che deve solo
acconsentire, consigliare il punto giusto e rendere tutto inconoscibile.
Nessun Sos venne mai lanciato. Non c’è n’era alcun bisogno perchè
era tutto organizzato. Tutto andava secondo i programmi e, dopo l’affondamento,
ad attendere l’equipaggio c’era una nave jugoslava diretta in Tunisia.
Da allora di ogni suo componente si sarebbero perse le tracce. Le coordinate
fornite alla compagnia assicurativa Lloyd’s erano errate dunque nessun
relitto venne mai individuato in fondo al mare e dunque nessun carico
passò mai al vaglio di addetti ai lavori. Solo una condanna per truffa
emessa dal tribunale di La Spezia nei confronti di caricatori e armatore,
perchè provato fu il naufragio doloso dell’imbarcazione. L’incognita,
in tutti questi anni, ha continuato ad avvolgere l’equipaggio, il relitto,
il carico. Inoltre fu insolita anche la durata del viaggio del cargo
che, partito dal porto di Massa Carrara il 9 settembre 1987, avrebbe
impiegato 12 giorni per percorrere 800 miglia e raggiungere il mar Ionio,
con presunte soste in mare aperto, non risultando un loro approdo successivo
in altri porti italiani. Nessun porto di destinazione. Nessuna sosta
intermedia. Noto solo quello di partenza, in Toscana, a Massa Carrara.
E il carico? Secondo le risultanze investigative rigorosamente diverso
da quello dichiarato al personale portuale, evidentemente non importante
per nessuna rotta commerciale lecita, visto che nessuno lo ha reclamato,
e invece destinato ad essere dimenticato e a giacere per decenni in
fondo al mare, nascosto, sconosciuto. Ma con ogni probabilità pericoloso.  

Un carico ancora oggi ignoto ma su
cui il sospetto di nocività si è radicato nell’ambito dell’inchiesta
seguita all’esposto di Legambiente e che il procuratore reggino Francesco
Neri ha condotto, con la preziosa collaborazione del capitano Natale
De Grazia, negli anni Novanta. Un’inchiesta archiviata per impossibilità
di proseguire le indagini in assenza del relitto ma che ha evidenziato
alcuni elementi di indubbia gravità. Alla data dell’affondamento corrispondeva
una nota inequivocabile – lost in ship – riportata sull’agendina di
Giorgio Comerio, industriale lombardo ideatore di un sistema di interramento
sottomarino di siluri contenenti rifiuti tossici. Una nota che già
allora orientava le indagini alla conclusione più drammatica. La nave
trasportava rifiuti pericolosi e rientrava tra le cinquanta affondate
nel Mediterraneo in cambio di profumate ricompense alle cosche dei luoghi.
Una conclusione prossima alla verità. Troppo vicina ad una verità
scomoda e quindi altamente pericolosa. Lo sa Anna Vespia, moglie di
Natale De Grazia, colpito mortalmente da un malore improvviso e inspiegabile
mentre si dirige a La Spezia, porto di importanza strategica per questi
traffici, per acquisire informazioni sulla Jolly Rosso, partita da lì
prima di arenarsi in Calabria nel dicembre del 1990, e per acquisire
i piani di carico di 180 navi sospette. L’inchiesta giudiziaria reggina,
infatti, aveva nel proprio specchio di indagine lo spiaggiamento a Formiciche
di Amantea della Jolly Rosso su cui ha indagato per anni anche il procuratore
paolano Francesco Greco.  

Oggi Legambiente chiede con forza
che si torni ad indagare sull’affondamento della motonave maltese Rigel,
affondata 22 anni fa. Oggi, in ragione del tasso del Cesio 137 registrato
nel torrente Oliva, in corrispondenza del quale si sospetta siano stati
interrati i fusti contenuti nella Jolly rosso arenatasi a largo di Amantea
nel 1990, per non essere riuscita ad affondare come previsto o forse
diretta con i fusti pericolosi in Libano, il sospetto di presenze tossiche
radioattive in Calabria permane. Oggi quello stesso sospetto si ingigantisce
in ragione dell’alto tasso di mortalità per patologie oncologiche accertato
nell’area radioattiva lungo la strada provinciale 53 tra i comuni cosentini
di Aiello Calabro e Serra d’Aiello, in ragione del ritrovamento a 483
metri di profondità del relitto Cunsky a largo di Cetraro, in provincia
di Cosenza, nell’ambito del nuovo corposo filone di indagine del procuratore
capo di Paola Bruno Giordano. Si spera non sia troppo tardi per arginare
il danno che quei fusti in fondo al mare dal 1992 potrebbero aver causato
alla salute del mare, dell’ambiente e delle persone. Se fosse radioattivo
il contenuto dei fusti, come parrebbe dal tipo di blindatura, solo il
tasso di nocività e la capacità di contaminazione delle sostanze conservate
in fondo la mare per decenni potrebbero fornire la risposta sulle conseguenze.
Si cercano ancora gli altri due relitti: Yvonne A e Voriais Sporadais
indicati dallo stesso pentito Fonti già nel 2006 e affondati rispettivamente
a largo di Maratea e di Genzano. Oltre trecento bidoni contenenti scorie
radioattive viaggiavano, secondo le dichiarazioni del pentito, su quelle
tre imbarcazioni.  

I racconti e le testimonianze si
incrociano e si sovrappongono. Parla Francesco Fonti, ex narcotrafficante
di Locri e collaboratore chiave delle diverse indagini; ne parla nel
2002 al cospetto degli inquirenti di Catanzaro e Potenza e nel 2006
al pm antimafia di Catanzaro Vincenzo Luberto. Parla Gianpietro Sebri,
portaborse del socialista Luciano Spada, davanti alla Commissione parlamentare
sull’omicidio Alpi-Hrovatin nel 2004. Ma ancora prima, nel 1995 al pubblico
ministero reggino Francesco Neri, di navi dei veleni parlano già Renato
Pent, industriale lombardo, Aldo Anghessa, spesso coinvolto in operazioni
di intelligence internazionale, e Marino Ganzerla, imprenditore mantovano,
raccontando di discariche marine come fulcro di interesse di una attiva
lobby affaristico criminale italiana e di truffe alle compagnie assicurative.
Le indicazioni rese erano e sono sovrapponibili, dunque attendibili.
In particolare sarebbe stato lo stesso Fonti a riferire circa le trattative
tra Giorgio Comerio e Natale Iamonte per l’affondamento della Rigel.  

Nonostante ciò nessun sostegno venne
prestato alle indagini, come di recente dichiarato dal sostituto procuratore
generale Francesco Neri, allora pubblico ministero, mentre a Reggio
Calabria torna l’incubo del carico mai rinvenuto della Rigel e del relitto
mai individuato. Nessuna sonda venne inviata negli abissi dello Ionio,
ha continuato il procuratore Neri, per la ricerca di un relitto che
non poteva non esserci. L’affondamento era avvenuto, come certificato
dall’Imo, Istituto dell’Onu competente per la Sicurezza nella Navigazione.
Nessuna fiducia venne riposta nelle ricerche in mare della Rigel e delle
altre imbarcazioni. Forse perchè Fonti, adesso in attesa che gli sia
rinnovato il programma di protezione, ha parlato delle navi a perdere
solo nel 2002. E sull’utilizzo di strumentazioni oggi più moderne si
è espresso anche Alberto Cisterna, sostituto procuratore nazionale
antimafia, che dopo il 1996 si occupò dell’inchiesta sugli affondamento
sospetti tra cui rientra a pieno titolo anche quello della Rigel. Con
essa anche la Mikigan, affondata il 31 ottobre 1986 a largo di Capo
Vaticano, la Four Star affondata il 9 dicembre 1988, la Yvonne A e la
Voriais Sporadais affondate nel 1992 rispettivamente a largo di Maratea
e Genzano, nel cosentino, la motonave Aso affondata al largo di Locri
il 6 maggio 1979.  Poi ancora la Monika e la Aouxum. Ma la lista
è lunga in Calabria e non solo. Interessate sono anche gli abissi in
corrispondenza delle coste siciliane, pugliesi e greche. Lunga come
la lista delle procure che hanno indagato. Dalla Toscana alla Liguria.
Dalla Basilicata di Nicola Maria Pace alla Calabria di Francesco Neri
e Natale De Grazia. 

Particolarmente forte sarebbe l’asse
Calabria – Somalia dove, occorre ricordarlo senza
sosta, esiste una strada di 350 chilometri, costruita da ottanta imprese
italiane, che collega Boosaaso e Garoowe. Una strada deserta, che non
serve. Anzì forse serviva e serve per nascondere i fusti che fanno
ammalare la gente, quelli che per essere interrati hanno bisogno che
si indossi una tuta bianca. Quelli che hanno un teschio marchiato sopra.
Quelli che Ilaria Alpi e MIran Hrovatin, giornalista del Tg 3 e cineoperatore,
avevano denunciato prima di quel crudele giorno – 20 marzo 1994 a Mogadiscio
– in cui i loro corpi vennero crivellati da colpi di arma da fuoco.
Forse occorre anche ricordare che il certificato di morte di Ilaria
Alpi era in possesso di Giorgio Comerio. E non ve ne sarebbe ragione
se non fossimo in presenza di un intreccio aggrovigliato che non tollera
intrusi e cercatori di verità.

Forse occorre ricordare che il tempo
è prezioso. Prezioso come le verità che non ne hanno più, come le
vite ormai spezzate che non chiedono più nulla all’attesa se non quella
stessa verità. Prezioso come le vite il cui futuro è legato a quelle
stesse verità.

Anche quest’anno Rigel sorgerà in
cielo. Speriamo non sia l’unica Rigel a mostrarsi e ad essere mostrata.  

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link