“Non per ostilità politica, ma per difendere la dignità elementare del giornalismo”
A nove giorni dalla manifestazione indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa Italia per difendere la libertà di informazione nel Paese, Libera Informazione tratteggia con il presidente della Fnsi Roberto Natale un ritratto della situazione attuale del giornalismo in Italia, indebolito dalle pesanti ingerenze politiche ma troppo spesso rinunciatario rispetto alla sua vera vocazione, quella di controllo e di reale funzione informativa per la popolazione. Che in fondo rimane il vero motivo per cui la categoria scenderà in piazza del Popolo il 19 settembre.
Presidente Natale che cosa, in questo momento, ha determinato un attacco più pesante rendendo fragile e delicato il sistema informativo italiano rispetto ad altre situazioni denunciate negli anni dalla FNSI?
La sequenza degli attacchi si è fatta sempre più fitta: se mettiamo in fila i casi degli ultimi mesi abbiamo il quadro di un attacco quasi indiscriminato al sistema dell’informazione. Qualcuno ha provato a raffigurarlo come uno scontro tra Berlusconi e il gruppo Repubblica-L’Espresso: questa è una lettura molto riduttiva anche a un sommario esame. Vi è stato anche il caso dell’Unità che viene portata davanti ai magistrati per un risarcimento, la pesantissima vicenda delle dimissioni di Boffo dall’Avvenire indotte dal direttore de Il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, gli attacchi ripetuti a Rai3 e Tg3, le polemiche con la stampa estera. Per non parlare delle accuse di disinformare, fatte al sistema dell’informazione, considerato dal presidente del Consiglio, con sprezzo del ridicolo, in mano per il 90% dei comunisti o dei cattocomunisti, e l’appello fatto agli imprenditori perché tolgano pubblicità ai giornali che lui considera disfatti e catastrofisti, la vicenda Rai-Sky-Mediaset che sembra avviarsi verso interessi legati al gruppo del premier. E anche le battute, che sembrano scherzose, ma non lo sono rivolte ai giornalisti sportivi per dire, pensando di elogiarli, “bravi voi che non fate domande”, non come i vostri colleghi giornalisti politici.
Per il premier rappresenta davvero una “paura” quella di trovarsi davanti qualcuno che chiede qualcosa, per informare, anziché porgere solo il microfono?
C’è in tutto questo la manifestazione sempre più scoperta, sempre più incontrollata, del fastidio del presidente del Consiglio per un giornalismo che faccia domande. Il premier ha l’idea, incredibile in qualsiasi altro paese occidentale, che ci possa essere informazione senza domande. Quando in conferenza stampa qualche collega gliene rivolge, di non gradite, la risposta è del genere “o via lei, o via io”.
Lei ritiene la partecipazione alla manifestazione del 19 sarà massiccia anche da parte di non addetti ai lavori? In che modo è possibile veicolare l’idea che una informazione libera e plurale siano elementi fondamentali del vivere democratico?
Non vogliamo che sia una manifestazione solo di giornalisti perché in questa manifestazione ha un ruolo rilevantissimo l’attacco che Berlusconi fa a temi scomodi in genere. Nelle scorse settimane una delle sue polemiche più vibranti è stata col Tg3 perché si era permesso di aprire il giornale con la protesta dei lavoratori dell’Inse. Non è un problema di categoria, dunque, ma di una cospicua parte d’Italia che rischia di non vedere in onda o sui giornali temi della vita quotidiana. Già adesso riceviamo adesioni da organi non propriamente di categoria ed è questa l’ispirazione con cui abbiamo concepito la manifestazione, promossa dalla Fnsi, ma che non vuole rivolgersi solo ai giornalisti. Sono molte infatti associazioni hanno aderito, oltre agli ordini professionali di categoria.
Tra le adesioni anche quella dell’onorevole Tabacci, che in una intervista ha definito “Modello Russia” il tipo di informazione che il premier sta di fatto imponendo in Italia. Cosa pensa di questa dichiarazione e del fatto stesso che Tabacci, esponente dell’Udc, prenda parte alla manifestazione?
Penso che sia la riprova dell’impostazione larga che la manifestazione vuole avere, che sia uno dei segni importanti del fatto che la questione non può, non deve e non vogliamo che sia ridotta a uno scontro tra Berlusconi e un’area di giornalisti. L’esigenza di manifestare nasce dalla percezione che ci sia un problema che riguarda molti singoli e associati, e che il problema di questo assetto asfittico dell’informazione italiana stia penalizzando moltissimi, tranne la ristretta cerchia del presidente del Consiglio. Questo sistema bastona non solo gli avversari, ma anche gli amici quando non sono sufficientemente servili, come il direttore Boffo, negli anni di certo non annoverato tra gli estremi critici del berlusconismo. Berlusconismo che non accetta critiche e che si dipinge come il miglior governo della storia. Come inserire dubbi e domande in questa raffigurazione di soddisfazione planetaria per il governo Berlusconi?
Un capitolo particolare riguarda la Rai. Dove va l’informazione del servizio pubblico e come giudica la paventata possibilità di Report di rimanere senza copertura legale?
Ciò che si sta verificando è il tentativo di replicare l’editto bulgaro in forme soffici per via burocratica, per evitare di presentarla come una espressa cacciata politicamente motivata. La Rai tranne rare aree dimostra di venire incontro a quell’avversione del presidente del Consiglio per le domande: è una informazione che tenta di evitare spesso i temi scomodi e ci riserva, con abbondanza, le non-notizie che in questi anni hanno dilagato. Importante dunque che su Rai3 e Tg3, uniche isole ancora capaci di informare sul paese reale, vengano adottate scelte rispettose del lavoro fatto da chi in questi anni ha retto la rete e la testata.
Il Ddl sulle intercettazioni è sempre incombente, come si pone ora la FNSI verso questo tema?
Per noi il tema delle intercettazioni è a pieno titolo nella manifestazione del 19 perché anche per quella via passa l’attacco al nostro diritto/dovere di informare e al diritto dei cittadini di essere informati. Nelle prossime settimane il testo del Ddl Alfano dovrebbe riprendere il suo cammino al Senato. La nostra posizione è sempre questa: non si cerchi di farci passare per coloro che non vogliono rispettare il diritto alla riservatezza. Non ci stiamo a farci rappresentare come dei guardoni che frugano nella vita privata delle persone; qui è in questione il diritto di continuare a fare cronaca giudiziaria.
Il nostro portale si occupa anche di tematiche legate al giornalismo di frontiera, spesso minacciato e non messo in grado di lavorare, magari in territori difficili. Anche questo aspetto è tra i motivi importanti alla base della manifestazione?
Certamente sì. L’adesione di Ossigeno, l’osservatorio Fnsi per i cronisti minacciati, è arrivata con rapidità e il responsabile, Alberto Spampinato, ha sottolineato i motivi per cui la manifestazione del
19 riguarda anche coloro che in questi anni in Italia in una situazione di quasi totale silenzio continuano a tenere alta l’importanza di fare domande anche quando far domande espone, e già non sarebbe poco, alle reazioni rabbiose del premier, ma in quei casi anche a rischi molto maggiori.
Senza contare rapporti internazionali che vedono l’Italia sempre in basso nelle graduatorie sulla libertà di stampa. Come pensare che non ci sia una situazione anomale davanti a questi dati di fatto, come dichiarato anche da alcuni giornalisti?
Nella migliore delle ipotesi si tratta di colleghi e cittadini un po’ distratti. Non metto in dubbio che ci sia chi vive comodamente, anche nelle redazioni. Assieme a chi si ritrova a non poter lavorare c’è chi invece lavora e sulla sua scelta di non porre domande ha costruito dei percorsi di carriera eccellenti. Però quando c’è qualche giornalista che fa domande le reazioni sono quelle descritte sopra: questo non è normale. Ci può stare che un politico racconti in modo enfatico il suo operato, ma il giornalismo deve fare domande, verifiche e mettere alla prova dei fatti le parole del premier, di questo, come dei precedenti e dei successivi. Se viene tolta la possibilità di verificare, di dar conto, allora si scenderebbe in un pericoloso degrado perché la comunicazione politica non ha contrappeso e si vivrebbe nello spot politico perfetto. Questo vuole il premier, questo non possiamo accettare noi. Non per ostilità politica, ma per difendere la dignità elementare del ruolo del giornalista.
In queste difficoltà che parte spetta ai giornalisti? Pensa sia anche compito della categoria tentare di sollevarsi e reagire in nome del ruolo che ricopre?
Non possiamo prendercela solo con la situazione, il conflitto di interessi, le leggi, il clima. Tutto questo è vero, pesa ed influisce. All’ennesima conferenza stampa vedendo che una domanda scatena una polemica politico-editoriale, il giornalista riceverà raccomandazioni di non entrare nell’occhio del ciclone. Ma l’appello a colleghi e colleghe, ce ne sono tanti, è di continuare a fare la prima e anche la seconda domanda per verificare la bontà della risposta dell’interlocutore. Dobbiamo uscire dalla logica delle dichiarazioni raccolte, perché il collage ha poco a che fare con il ruolo del giornalismo, ma è autopromozione di ciascun politico. Contiamo che la manifestazione sia un segno anche in questa direzione. Un rilancio dell’orgoglio professionale, senza nessuna connotazione di parte. Chi dice che è per mandare a Berlusconi, dice una fesseria colossale. Non è compito nostro decidere l’assetto dei governi del Paese, ma degli elettori. Noi diciamo solo che l’informazione deve vedersi riconosciuto il suo spazio e il suo ruolo. Sta a cuore a noi ma anche a tanti italiani che anche singolarmente aderiscono alla manifestazione, in una cornice impegnativa come piazza del Popolo, a testimoniare la possibilità che arrivi un segnale molto importante dal Paese.
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