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Il generale dalla Chiesa: “potere è un verbo”

Di Lorenzo Frigerio il . Senza categoria

“Potere;
l’ho sentito questo verbo. Ebbene, io l’ho colto e lo voglio sottolineare
in tutte le sue espressioni o almeno quelle che così
estemporaneamente mi vengono in mente: poter convivere, poter essere
sereni, poter guardare in faccia l’interlocutore senza abbassare gli
occhi, poter ridere, poter parlare, poter sentire, poter guardare in
viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione
di doverci rimproverare qualcosa, poter guardare ai giovani per trasmettere
loro una vita fatta di sacrifici, di rinunzie, ma di pulizia, poter
sentirci tutti uniti in una convivenza, in una società
che e’ fatta, e’ fatta di tante belle cose”.

Questa lunga
citazione è un estratto dal primo discorso che il generale Carlo
Alberto dalla Chiesa tiene nella sua nuova veste di Prefetto di Palermo.
Sono passati ormai ventisette anni dal 3 settembre 1982, quando i killer
della mafia lo uccisero in compagnia della moglie Emanuela Setti Carraro
e dell’agente di polizia Domenico Russo in via Isidoro Carini a Palermo.
Crediamo che rileggere e analizzare quelle parole serva a cogliere il
senso di una vita che si è fatto sacrificio estremo, fino a perdere
la vita stessa.

Il momento
in cui questo discorso viene pronunciato è altamente drammatico: è
il primo maggio 1982, la tradizionale festa dei lavoratori, ma Palermo
e la Sicilia finiscono ancora una volta sotto i riflettori a causa di
un omicidio eccellente. Proprio il giorno prima, venerdì 30 aprile,
in un imboscata a cadere sotto il piombo dei killer mafiosi sono il
segretario del partito comunista regionale Pio La Torre e il suo fidato
collaboratore Rosario Di Salvo. La mafia dimostra ancora una volta di
saper colpire chirurgicamente i suoi obiettivi: La Torre è il primo
firmatario di una proposta di legge che contiene, tra l’altro, l’articolato
relativo all’introduzione nel codice penale del reato di associazione
di tipo mafioso e la previsione delle misure di prevenzione patrimoniale.
Due strumenti che, nelle intenzioni del politico siciliano, devono servire
a colpire Cosa Nostra con un doppio effetto: svelarne finalmente l’esistenza
– fino a quel momento manca uno strumento legislativo che colpisca
la mafia in quanto organizzazione – e intaccarne il processo di accumulazione
dei capitali, a fronte degli ingenti proventi derivanti dai tanti business
illeciti.

Per uno dei
paradossi, non tanto paradossi, della storia del nostro paese, le norme
pensate e volute da La Torre saranno approvate dal Parlamento solo dopo
la strage di via Carini.

Dalla Chiesa,
di fronte all’ennesimo delitto efferato, si vede costretto ad anticipare
i tempi e a precipitarsi a Palermo prima del previsto. L’opinione
pubblica disorientata chiede allo Stato un forte e non equivoco segnale
di riscossa e allora viene gettato nella mischia l’uomo che ha vinto
la guerra contro il terrorismo, accelerando i tempi di un incarico che
doveva, nelle intenzioni della prima ora, costituire un vero cambio
di passo nella lotta alle mafie. Così, senza strumenti operativi e
strategia di lungo respiro, l’invio di dalla Chiesa finisce per apparire
invece per una mossa disperata da parte del Governo, retto allora dal
repubblicano Giovanni Spadolini. A smorzare la portata della nomina
a Prefetto di Palermo sono soprattutto le polemiche che si accendono
in merito ai poteri richiesti inutilmente dal nuovo Prefetto di Palermo,
nelle settimane immediatamente precedenti. Il generale è conscio di
essere spedito in trincea e per questo chiede che vengano messe nero
su bianco le condizioni del nuovo incarico, un incarico che per lui
significa anche l’addio all’Arma dei Carabinieri. Una scelta non
facile per un uomo che diceva di avere “gli alamari cuciti sulla
pelle”
.

Dalla Chiesa
si trova quindi a giocare una partita senza armi e decide, da uomo intelligente
e attento conoscitore della mafia qual è, di spostare il confronto
su piano inedito per un esponente delle Istituzioni e per certi versi
davvero dirompente. Se non potrà gestire le forze dell’ordine in
un contrasto da attivare tutto sul piano repressivo, vorrà dire che
andrà a colpire la mafia nella fase di costruzione del consenso, muovendosi
in una logica di carattere preventivo. Ecco perché nei cento giorni
che vivrà da prefetto in quel di Palermo, il valoroso carabiniere,
ormai ex, incontrerà uomini e donne, studenti e commercianti, semplici
cittadini e rappresentanti di associazioni e categorie produttive, fermamente
convinto che solo una rivoluzione dei costumi e del pensiero potrà
togliere agli uomini d’onore il favore della pubblica opinione palermitana
e siciliana.

Se non potrà 
contare sull’apporto delle Istituzioni, cercherà l’appoggio dei
cittadini in una battaglia che vuole combattere e vincere in nome dello
Stato, quello stesso Stato che aveva difeso dall’attacco dei terrroristi.

In questa chiave
di lettura, il discorso che rivolge ai maestri del lavoro, in occasione
del primo maggio, è fondamentale perché è riferito
in sintesi il suo programma d’azione.

Potere non
è più il sostantivo che esprime la forza di chi comanda,
ma viceversa diventa un verbo che ne affianca e valorizza altri, che
esprimono le condizioni di una vita veramente libera dall’oppressione
mafiosa: convivere, essere sereni, ridere, parlare, sentire, guardare
in viso i propri figli e i giovani, sentirsi uniti in una società fatta
di tante belle cose.

Potere non
è più un sostantivo, ma un verbo carico di speranza, di
futuro; quella speranza e quel futuro – sembra sottintendere dalla
Chiesa – che non posso essere garantiti da una organizzazione dedita
ai traffici illeciti, alla sopraffazione, al potere – nella sua accezione
negativa di sostantivo – che produce violenza, che diventa sopruso
dell’uomo sull’uomo.

Il passaggio
di questo discorso del generale che, sicuramente, all’epoca avrà
sorpreso e non poco i suoi ascoltatori – a motivo del contesto ufficiale
e dell’oratore previsto, forse, anzi sicuramente ci si aspettava ben
altro tipo di ragionamento – è poi ulteriormente ribadito nell’ultima
intervista rilasciata a Giorgio Bocca, dove è ormai chiaro come per
dalla Chiesa la battaglia contro la mafia sia una battaglia per l’affermazione
dei diritti sanciti dalla Carta Costituzionale.

Sono
convinto –
dichiara infatti dalla Chiesa al giornalista de
“La Repubblica
” – che con un abile, paziente lavoro psicologico
si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto
semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei
privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che
i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere
alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Non deve allora
stupire se la mafia decide di ricorrere nuovamente alla violenza per
eliminare chi ha capito che nell’azione di contrasto alle cosche serve
soprattutto un approccio culturale e etico che tolga le basi del consenso
di cui sempre si nutrono. Che lo dicano un prete come Don Puglisi, un
giornalista come Fava, un imprenditore come Grassi può essere perfino
scontato, ma che a dire lo stesso sia un prefetto, già generale dei
carabinieri è davvero rivoluzionario.

Stupisce e
indigna quindi che, ancora oggi, a distanza di ventisette anni, non
sia chiaro a tutti l’importanza di questa figura nella storia della
lotta alla mafia.

Stupisce e
indigna che, ancora oggi, a distanza di ventisette anni, non sia stata
fatta ancora piena luce sul delitto. Mandanti ed esecutori sono stati
raggiunti dalla giustizia italiana, ma non è chiaro ancora l’eventuale
ma quasi certo ruolo di eventuali mandanti esterni al milieu mafioso
che avrebbero spinto per una soluzione drastica della pratica.

Fino a quando
dovranno aspettare i familiari e tutti noi per avere verità e
giustizia su questa come su altre pagine buie della storia repubblicana?

Bibliografia
essenziale:

AA. VV., MORTE
DI UN GENERALE (CASI D’ITALIA, 3 Voll.), Mondadori, Milano 1982

dalla Chiesa
Carlo Alberto, MICHELE NAVARRA E LA MAFIA DEL CORLEONESE, La Zisa, Palermo
1990

dalla Chiesa
Carlo Alberto, IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Autobiografia a cura di
Nando dalla Chiesa, Rizzoli, Milano 1997

dalla Chiesa
Nando, DELITTO IMPERFETTO, Melampo Editore, Milano 2007 (1984)

Setti Carraro
Antonia, RICORDI, EMANUELA, Rizzoli, Milano 1983

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