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Niscemi, volevano uccidere familiari di collaboratori di giustizia

Di Norma Ferrara il . Sicilia

La mafia voleva mettere un freno a quello che accade sempre più spesso a Niscemi (Cl): uomini della “famiglia” che scelgono di collaborare con la giustizia. Per farlo aveva deciso di colpirli nei loro affetti più cari, senza risparmiare né donne né bambini. Una strategia, quella sventata ieri dall’operazione “Crazy Horse”, che sembra far ripiombare indietro di anni, invece nasce in risposta ad una lenta ma costante “avanzata”. Sul fronte del contrasto alle mafie da queste parti infatti qualcosa sta cambiando: dalla lotta al racket, all’associazionismo, dalla pressione dello Stato, ai primi risultati concreti.

E anche ieri un altro obiettivo importante – l’arresto di quattro pericolosi affiliati alla cosca di Cosa nostra di Niscemi e Vittoria. Si tratta di Rosario Lombardo, detto ‘Saru cavaddu’, nato a Niscemi nel 1961, pluripregiudicato anche per associazione mafiosa ed armi, già sottoposto al regime della detenzione domiciliare; Giuseppe Lodato, soprannominato «Peppi vureddu»,  pregiudicato di Niscemi classe 1955, Alessandro Ficicchia, anch’egli pregiudicato nato a Niscemi nel marzo del1967  e infine Alessandro Aparo, 27 anni di Vittoria. I quattro uomini del clan Madonia progettavano di dissuadere due importanti pentiti dal collaborare con la giustizia con intimidazioni, minacce ed infine l’uccisione dei loro familiari. A sventare questo piano di sangue oltre alle intercettazioni ambientali e telefoniche predisposte dagli investigatori anche il coraggio della denuncia dei parenti dei pentiti che hanno scelto di “parlare” con le forse dell’ordine.

Piani di morte che si decidevano in un casolare di campagna dove si svolgevano summit e incontri con i quali Lombardo impartiva ordini ai suoi fedelissimi che erano indirizzati soprattutto contro figli di collaboratori di giustizia (dell’età di 7 e 11 anni) e di un ragazzo appena maggiorenne. La squadra mobile della questura di Caltanissetta e gli uomini del commissariato di Niscemi e di Vittoria li hanno intercettati, pedinati e fermati su ordine del pm Fabio Scavone, della Dda di Catania. Questa decisione di Cosa nostra – confermano infatti gli inquirenti – è stata presa per cercare di mettere un freno alle collaborazioni che negli ultimi tempi stanno creando crepe nel muro di omertà che reggeva il clan  del territorio di Niscemi”.  “Il piano era già studiato nei minimi dettagli – ha aggiunto il vice questore Giovanni Giudice – doveva entrare in azione un commando composto da un killer di professione”. Fondamentali – ha proseguito Giudice – l’uso delle intercettazioni.

Proprio dell’area compresa fra Gela e Niscemi scrive anche la Direzione nazionale antimafia nella sua relazione annuale, mettendo in evidenza un dato nuovo che s’incrocia con l’operazione “Crazy Horse”.Il numero di nuovi collaboratori di giustizia  emersi nel periodo in considerazione è cospicuo e certamente in controtendenza rispetto alla media nazionale di 139 – si legge nella Relazione  –  il che dimostra non solo l’impegno profuso dalle Forze dell’ordine e dalla D.D.A. nissena nell’azione di contrasto, ma soprattutto il livello di fiducia e di prestigio conquistato dalle istituzioni nissene nella lotta contro la mafia ormai da oltre un quindicennio, e a far data dalle drammatiche stragi del 1992, che costituirono il punto di inizio di un’azione incessante e mai prima di allora intrapresa”.  

Un’analisi che chiama in causa, con merito, le istituzioni locali che hanno cambiato marcia nella lotta alle mafie. E’ il caso del Comune di Niscemi, più volte sciolto per mafia in passato, oggi in prima linea su tutte le battaglie per la legalità. Non si sono fatte attendere nemmeno questa volta le parole del primo cittadino Giovanni Di Martino (ufficio di presidenza di Avviso pubblico) che ieri in una nota ha subito ricordato “da che parte stare”.  

” La denuncia, insieme alla collaborazione dei parenti delle vittime con le forze di polizia, rappresenta la via per sconfiggere i fenomeni mafiosi” – ha commentato Di Martino. Le denunce dei parenti  che hanno subito periodicamente minacce – continua il primo cittadino –  rappresentano la chiave per sconfiggere il velo di omertà, sul quale la mafia cresce. Solo la collaborazione tra le vittime, gli organi di polizia e l’amministrazione rappresentano la soluzione alle mafie”.

”A Niscemi bisogna tenere alta l’attenzione sulla capacità delle cosche locali di indebolire la lotta alla mafia nel territorio – commenta il senatore del Pd Giuseppe Lumia. Adesso – ricorda Lumia – non bisogna abbassare la guardia. Accanto al lavoro prezioso fatto dagli inquirenti e dalle forze dell’ordine e’ necessario dare loro più risorse e strumenti e sviluppare una legislazione più rigorosa, a cominciare dall’inasprimento delle pene per i reati di associazione mafiosa e in particolare del regime di carcere duro per i boss”. Proprio quel 41 bis che come dimostrato dall’operazione  “Atlantide-Mercurio” consente inspiegabilmente al boss “Piddu” Madonia di “indirizzare” ancora da dietro le sbarre le cosche a Niscemi e dintorni.

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