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Se la confisca libera dalle grinfie mafiosi, dove sono allora i beni socialmente riutilizzati?

Di Anna Foti (da strill.it) il . Calabria

Cresce il numero
dei beni sequestrati e confiscati (ormai vicino ai 9000 su scala nazionale)
ma non nella stessa misura il numero di quelli effettivamente assegnati
e socialmente riutilizzati. Solo quattrocento confiscati in Italia dalla
Guardia di Finanza nei primi sei mesi del 2009. Un dato che riguarda
anche la nostra regione e la nostra città e che conferma per la Calabria
la terza posizione per numero di beni insistenti sul proprio territorio
(oltre 1100 unità), dopo la Sicilia e la Campania e prima della Lombardia.
Un dato che conferma, altresì, Reggio Calabria nel suo ruolo di capofila
tra le province calabresi per maggiore numero di unità presenti nel
territorio di competenza (circa 300 in territorio provinciale e circa
200 in quello comunale) e a cui Milano tiene testa con circa 170 unità
solo nel suo hinterland. Cresce anche il dato nel cosentino, nel vibonese
e persino a Roma con la recente confisca del noto Cafè De Paris di
via Veneto, che secondo gli inquirenti sarebbe stato acquistato con
i proventi di traffici di droga e armi. Nel corso dell’operazione,
allo stesso Cafè intitolata, sono stati sequestrati beni per un valore
di duecento milioni di euro.

Una legge,
quella italiana che pone al centro di un contrasto serio ed efficace
al crimine organizzato, non solo l’operato di Magistratura e Forze
dell’Ordine che aggrediscono il patrimonio illecitamente accumulato,
indebolendolo, ma anche la società civile che dovrebbe convivere con
i segni tangibili di questa risposta ferma dello Stato. Presa a modello
in occasione del recente G8, l’aggressione ai patrimoni mafiosi è
stata di recente adottata anche dal parlamento tedesco. I fatti di Duisburg
avevano messo drammaticamente in evidenza, infatti, non solo la transnazionalità
del crimine organizzato calabrese ma anche l’impossibilità di contrastarlo
seriamente senza una internazionalizzazione degli strumenti legislativi,
tra cui la confisca dei beni mafiosi situati ormai anche al di là dei
confini nazionali.

Nel dettaglio
ecco i risultati del corrente 2009. Inferto un colpo da sei milioni
di euro dalla Polizia di Stato che, su disposizione della Direzione
Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha sequestrato beni al clan
dei Piromalli di Gioia Tauro lo scorso giugno. Nell’ambito dell’inchiesta
giudiziaria Arca lo scorso aprile, imprenditori vicini allo stesso clan,
Domenico Giacobbe e la figlia Giuseppina e il genero Pacifico Morogallo,
avevano già visto apporre i sigilli del sequestro a case e terreni,
per un valore di quattro milioni di euro, con l’imputazione di avere
ottenuto nell’interesse dei Piromalli l’appalto a fornire calcestruzzi
per la costruzione dell’autostrada A3. Inoltre un altro imprenditore
della Piana, Giuseppe Mazzaferro di Rizziconi, era già stato colpito
da un’ordinanza di confisca questa volta di quote societarie e patrimonio
aziendale della società Siderflero con sede in provincia di Brescia,
e di quote di partecipazione al consorzio autotrasportatori della Piana
con sede a Gioia Tauro. Due fabbricati nel comune di San Ferdinando
sono stati confiscati al clan Bellocco, mentre lo scorso giugno un maxi
sequestro ha riguardato aziende, terreni e vasti appezzamenti, ville,
automezzi, numerosi conti correnti, quote di società calcistiche minori
e delle società Princi e Primar, quest’ultima con uno spazio all’interno
del centro commerciale “Il porto degli Ulivi” di Gioia Tauro. La
vasta operazione, il cui valore si aggira sui 40 milioni di euro, ha
colpito il presunto capocosca Domenico Rugolo, di Castellace di Oppido
Mamertina, e i fratelli Antonino e Natale Princi. Anche sulla Jonica
– Locri, Bovalino, Marina di Gioiosa, Bova, Palizzi, Stilo – la questura
di Reggio Calabria ha confiscato decine di beni nell’ambito di un’operazione
che ha riguardato 45 unità tra appartamenti, ville e terreni spalmati
su tutto il territorio provinciale reggino, tra questi anche l’immobile
a quattro piani del defunto capoclan di Locri, Antonio Cordì, ancora
abitato dai familiari del boss. Stesse presenze, nonostante il provvedimento
di confisca, sono state registrate in occasione dello sgombero degli
immobili intestati a Salvatore Equino a Marina di Gioiosa. Colpito anche
il presunto tesoriere del clan Condello, Alfredo Ionetti assolto dalle
accuse di associazione mafiosa per estraneità alle strategie criminali
ma il cui patrimonio di appartamenti, titoli e polizze assicurative
in filiali lombarde e romagnole è stato confiscato. In città colpita
la ‘ndrina Libri con il sequestro di beni mobili e immobili, per un
valore di due milioni di euro, nella disponibilità di Antonino Caridi,
genero del defunto boss Domenico Libri, e rappresentati da numerose
attività commerciali site in via del Gelsomino (società “Iter”,
impresa individuale “Galatea”) e in via De Nava (“Centro Ceramica”)
e dall’impresa individuale “Libri Rosa”.

A fronte di
tutto ciò si registra qualche caso isolato di assegnazione per
fini sociali come la nuova caserma dei Carabinieri a Platì e la nuova
sede della Caritas a Cittanova. Qualcosa non funzione come dovrebbe.

Il difficile
decollo della legge 109 del 1996 e la scarsa percezione soprattutto
nella nostra città della restituzione di uno stato di Diritto attraverso
la consegna alla comunità di beni sottratti ai patrimoni mafiosi, indicano
che la procedura confisca – destinazione – assegnazione, monitorata
dalle Prefetture, con annessa riutilizzazione sociale si inceppa. Una
procedura troppo farraginosa, sostengono, gli addetti ai lavori. Si
registrano anche ritardi sulle stime e difficoltà nell’elaborare
una dettagliata mappatura dei siti confiscati, con relative informazioni
sulle condizioni e sulle singole situazioni. Il recente protocollo siglato
tra Prefettura di Reggio Calabria e Conaf (Consiglio Nazionale dei dottori
Agronomi e Forestali) si propone un’azione di affiancamento nella
fase di approntamento delle relazioni di stima dei terreni confiscati
e, poi, nella fase di attuazione di progetti di riqualificazione e riconversione.
Utile ma non sufficiente a fronte di molteplici criticità. Beni che
il Demanio destina alle amministrazioni senza averli effettivamente
liberati da vincoli e persone. Amministrazioni che si scontrano con
la difficoltà di presenze che impediscono una agevole e celere restituzione
e riutilizzazione. Beni che i tanti anni di sequestro rendono inagibili
e la necessità di ingenti fondi per renderli funzioni ai progetti di
associazioni e cooperative sociali. In questo senso è significativo
lo stanziamento di venti milioni di euro che, nell’ambito del POR
Calabria FESR 2007/2013, la Regione ha previsto in occasione della riunione
del Comitato di Sorveglianza tenutasi a Sibari lo scorso giugno.

La procedura
della confisca paga, infatti, lo scotto dei lunghi tempi della giustizia
nel nostro paese e di una burocrazia che costruisce fosse stagnanti
piuttosto che strade libere e accessibili verso l’obiettivo dell’efficienza.
Accanto a questo anche l’ombra onnipresente e invasiva della criminalità
organizzata i cui esponenti o familiari abitano indisturbati gli immobili
sottratti o gestiscono le aziende sequestrate o addirittura confiscate.
Recenti modifiche legislative sono intervenute per contrastare proprio
l’interposizione di terzi in favore dei soggetti sottoposti a provvedimento
di confisca e per consentire, entro 5 anni dalla morte, la confisca
anche nei confronti di soggetti deceduti. E’ stato il caso del recente
sequestro dei beni di Antonino Princi, morto nel maggio 2008 dopo 11
giorni di agonia a seguito dell’esplosione di un’autobomba a Gioia
Tauro.

Bisogna fare
meglio e di più! La ratio della legge e la sua valenza sul piano giudiziario
dell’aggressione ai patrimoni mafiosi, in quanto anima del crimine
organizzato e fine di questo potere deviato, devono intrecciarsi con
la funzione sociale e culturale del concetto di restituzione dello Stato
di Diritto. Uno Stato di Diritto violato che le Istituzioni devono essere
in grado di ricostituire. Una valenza che al momento si disperde nei
meandri delle criticità prima enunciate e che dovrebbero costituire
un monito per migliorare il sistema, piuttosto che una legittimazione
a cambiare strada. Gli esempi positivi esistono anche nella nostra città
e nella nostra regione come la cooperativa “Rom 1995”, la sede dell’associazione
antimafia “Riferimenti”, il centro ricreativo della parrocchia del
Buon Conisglio di Ravagnese, il Centro Reggino di Solidarietà (Ce.Re.So.),
la caserma dei Carabinieri di Cannavò, la cooperativa “Valle del
Marro” di Gioia Tauro. Tutto ciò dimostra, in Calabria come in Sicilia
dove il numero dei beni confiscati è triplicato come anche le esperienza
positive, che è possibile valorizzare al massimo la legge. Sono però
necessari il coinvolgimento della società civile e la coerenza della
politica. La vendita dei beni piuttosto che una riutilizzazione, come
proposto dal procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, forse
ridurrebbe qualche passaggio burocratico ma annullerebbe completamente
il valore aggiunto della legge, la sua valenza civile e sociale e non
garantirebbe l’assenza di rischio di un nuovo acquisto da parte dei
mafiosi. Il problema non è la legge, sicuramente perfettibile come
ogni provvedimento legislativo, ma la sua applicazione e l’apparato
che dovrebbe supportarne la compiuta declinazione concreta. Questa sfida
non si può perdere!

da strill.it

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