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Don Palmese: Peppino Diana simbolo anticamorra
Indignarsi per una memoria infangata

Di Stefano Fantino il . Campania

Don
Diana ucciso per armi, ucciso per mille motivi. Ma non esplicitamente
per motivi legati al suo impegno anticamorra. Come se il documento che
il sacerdote di Casal di Principe,
presentato
alla locale forania ecclesiastica, non avesse valore. Quel documento
dove si parla di camorra opprimente, di riannunciare la parola del
Vangelo. E poi, documenti alla mano, una sentenza di Cassazione che
ribadisce i motivi della morte del sacerdote.

Non abbastanza per qualcuno. Libera Informazione dopo
le dichiarazioni dell’onorevole Pecorella, presidente della commissione
rifiuti, sulla vicenda legata alla morte di don Diana, intervista don
Tonino Palmese, referente campano della associazione Libera e sacerdote
lui stesso. Ne emerga la volontà di continuare e dare segni concreti,
in un generale clima che tende a cancellare la memoria.

Don Palmese, quale è stata la sua prima reazione dopo aver sentito le dichiarazioni dell’onorevole Pecorella?

La
mia prima reazione è stata di sconcerto ma anche di rabbia, pensando
che forse l’onorevole Pecorella ha confuso la commissione di inchiesta
sui rifiuti con le vicende umane e sacerdotale e l’uccisione di don Peppino Diana. Forse tratta tutto come se fossero rifiuti e questo mi indigna, mi
indispettisce, mi fa essere persino polemico. In seconda battuta,
andando oltre il sentimento di rabbia, penso che siamo davvero in una
fase revisionista nella quale gli attentati non sono più fascisti, le
uccisioni di camorra non sono più camorristiche per cui tutto il male
va minimizzato perché probabilmente non c’è stato mai male. E questa
cosa mi inquieta e mi fa riflettere.

Pensa
che la memoria di don Diana, anche attualizzata tramite un percorso di
gestione di beni confiscati alla camorra nel casertano possa essere
collegato a quanto accade?

Questa
è un’altro pensiero che mi viene in mente: il fatto che il lavoro di
Libera su “Le Terre di don Diana” stia cominciando ad essere veramente
significativo, per cui si rende necessario infangare per evitare che si
possa coltivare.

Eppure
gli argomenti di una sentenza passata in giudicato e di un lavoro di
impegno, ricordiamo il documento “Per Amore del mio popolo” scritto da
don Diana, non sembrano così importanti per chi intende “rivedere” la
morte del sacerdote. Ci aiuta a ricordare chi era e perché è stato
ucciso?

Don
Peppino Diana è morto fondamentalmente per i seguenti motivi. In primo
luogo perché era un simbolo. Un simbolo ovviamente pacato, non
esagerato, non esasperato, ma di fatto era un simbolo su quel
territorio. Non è un caso che abbiano ucciso lui e non altri preti che
pur essendo impegnati, evidentemente non avevano questa forza
simbolica. Dall’altra parte fu ucciso perché la camorra in quel
territorio desiderava a tutti i costi creare un clima di terrore e la
questione “simbolica”, l’uccisione di un simbolo di impegno, avrebbe
permesso loro di essere più forti e anche più fastidiosi.

Quali gli strumenti per combattere questa fase di revisionismo?

Continuando,
sostanzialmente, a fare memoria e rispondendo a chi tenta di
insozzarla, non con la stessa volgarità evidentemente di chi attacca,
ma rispondere con l’ “esserci”, dimostrando che l’esserci, un esempio
su tutti le cooperative che in nome di don Diana stanno nascendo, è un
segno bello e importante mentre queste polemiche e gli infangamenti
sono segni turpi. Poi la gente vede la differenza: dei ragazzi che
alleveranno animali, coltiveranno piante, rispetto al fango che viene
gettato sulla memoria.

Memoria di don Diana che anche grazie a questo è ancora forte sul territorio…

Don Peppino vive ancora, perciò vogliono distruggerlo, questo è l’unico segno evidente e positivo.

Pensa che la Chiesa, magari a livello locale campano, si muoverà a supporto della memoria di don Peppino? Lei cosa auspica?

Io
spero che aldilà della situazione contingente di questi giorni, dove ci
sono anche momenti di rilassamento dovuto al clima vacanziero non si
dimentichi un solo segno da parte della gerarchia ecclesiastica locale:
il 20 marzo scorso il vescovo di Napoli indosso con orgoglio e con
amore la stola di don Peppino Diana durante la celebrazione della messa
in memoria delle vittime di mafia. Credo che quella stola debba
continuare ad essere portata da tutta la Chiesa.

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