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Camminata in Aspromonte
La forza della memoria

Di Francesca Chirico il . Calabria

La freccia rossa che indica dove trovare Lollò punta costantemente
in basso, verso la valle di querce, torrenti e sentieri franosi ai piedi
di Pietra Cappa. Dal fazzoletto d’Aspromonte che per dieci anni ne
ha custodito il corpo, la grande roccia che incombe su San Luca, però,
non si vede, nascosta allo sguardo dal bosco fitto che circonda una
croce e una lapide scarna. Di Lollò Cartisano – il fotografo di Bovalino
rapito il 22 luglio 1993 e ucciso nel corso della prigionia con un colpo
alla testa – c’è solo la data di nascita. “Quella della morte
non la conosciamo
”, fa notare Deborah, tenendo in mano una pietra
dipinta di fiori gialli. A terra, colorate di azzurro, verde e rosso,
ce ne sono altre, portate in dono nel corso degli anni. “Dieci
anni dopo il rapimento abbiamo ricevuto la lettera di uno dei sequestratori
che ci chiedeva perdono e ci indicava il luogo in cui mio padre era
stato sepolto. Il cuore della ‘ndrangheta, duro come una pietra, si
era sciolto nel pentimento. Tutto il nostro inferno era almeno servito
a convertire un uomo delle cosche. Per questo abbiamo chiesto agli amici
di portare queste pietre colorate, simbolo del miracolo realizzato da
papà
”. E per questo il cammino-pellegrinaggio con cui la famiglia
ha deciso di ricordare ogni 22 luglio Lollò, si è trasformato nel
corso degli anni da riservatissima questione privata in intenso momento
comunitario, proprio come la messa officiata nella villetta di Bovalino
marina dove il fotografo fu rapito insieme con la moglie Mimma Brancatisano
(poi rilasciata). Quella casa oggi ospita minori a rischio. Nel segno
della speranza e della condivisione di un percorso che, simile al paesaggio
dell’Aspromonte, mescola asprezza e bellezza.

Quasi esito naturale di questa evoluzione,
nel cammino di quest’anno su iniziativa di “Libera” il nome di
Lollò Cartisano si è unito a quello di altre vittime di ‘ndrangheta,
evocate dai cartelli piantati lungo il sentiero che da un pianoro sopra
San Luca porta alla base di Pietra Cappa. Ad ogni stazione, un grano
di dolore e una freccia puntata altrove ma non lontano. I nomi infatti
erano quelli della Locride martoriata: Gianluca Congiusta, Giuseppe
Tizian, Celestino Fava, Cecè Grasso, Rocco Gatto e Fortunato Correale.
Una via crucis officiata da padri, madri, mogli che negli anni hanno
spezzato il proprio isolamento, rotto il proprio silenzio. Certo, la
mamma di Celestino Fava, ammazzato 13 anni fa nelle campagne di Palizzi,
esce ancora raramente. “Vado solo al cimitero”. Ammette però che
l’incontro con il dolore degli altri, e con la rete di sostegno per
i familiari delle vittime tessuta da “Libera”, gli ha comunque cambiato
la vita. “Ora ci sentiamo meno soli. Sappiamo che c’è qualcuno
che ascolta e può capire”. Ad ascoltare, il 22 luglio, erano in
tanti.

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