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Scudo (il)legale

Di Gaetano Liardo il . Istituzioni

La crisi colpisce forte e fa sentire violentemente i suoi effetti in tutto il pianeta. Una crisi, ricordiamo, frutto di operazioni finanziarie insostenibili che hanno drogato il mercato, rendendo vulnerabile e traballante l’attuale modello economico. La caratteristica principale della grande crisi del 2008 è l’improvvisa mancanza di liquidità che la sta trasformando da finanziaria in economica, da virtuale a reale, con ripercussioni devastanti sul tessuto sociale globale. Di fronte ad un “mostro” di tale portata i governi stanno cercando, con ogni mezzo possibile, di impedire la chiusura dei rubinetti della liquidità, impedendo il fallimento delle banche, sostenendo la domanda, e non per ultimo lanciando una vera e propria guerra santa contro i paradisi fiscali. Tutto ciò per garantire un tasso sufficiente di liquidità che impedisca il baratro del fallimento. 

Fra le misure più discusse,o discutibili, lo scudo fiscale che il governo italiano di centrodestra sta varando per la terza volta nel nostro paese. Cos’è uno scudo fiscale? Semplicemente uno strumento che garantisce il rientro o la regolarizzazione di capitali depositati illecitamente all’estero. Si calcola che il valore dei capitali italiani presenti illegalmente fuori dai confini del nostro paese ammonti all’astronomica cifra di 600 miliardi di euro circa. Viene naturale pensare che un governo responsabile faccia di tutto per mettere le mani su questo enorme mare di soldi tassandolo pesantemente, se non addirittura confiscandolo, al fine di ripristinare un concreto sentire di legalità, e di garantire una liquidità trasparente per rilanciare l’economia del nostro paese. Verrebbe da chiedersi, perché tanto accanimento nei confronti di questa tipologia di capitali? Semplicemente perché, ed occorre ribadirlo con fermezza, i capitali detenuti illecitamente all’estero sono, principalmente, il frutto di attività illegali quali evasione fiscale, corruzione e traffici illeciti. Quindi far rientrare, regolarizzandoli, questi capitali significherebbe aprire le porte dell’economia legale ai grandi gruppi criminali: mafie e colletti bianchi. 
A rendere prevedibile uno scenario del genere sono due elementi non secondari. Il primo riguarda la garanzia dell’anonimato per coloro i quali usufruiscono dello scudo fiscale. Il soggetto che intende rimpatriare, o regolarizzare, i capitali, dopo aver pagato l’aliquota (tassazione) richiesta pari al 5% della somma interessata dallo scudo, non dovrà fare i conti con il fisco, né tantomeno il fisco sarà a conoscenza dei suoi dati. Quindi, non solo lo stato declina ogni pretesa su tasse dovute ma evase, ma declina anche la possibilità di conoscere ed eventualmente perseguire chi, tramite lo scudo, ricicla denaro sporco. 
Il secondo elemento è relativo alla normativa sull’anti-riciclaggio. Il decreto legge del governo prevede espressamente che verrà applicata la normativa per contrastare il riciclaggio. Tuttavia, come ha spiegato bene il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, convocato ieri dalla Commissione Antimafia, quella normativa è «gracile». L’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) di Bankitalia può intervenire per fare verifiche anti-riciclaggio solo in seguito ad un segnalazione delle banche, quindi: «sono le banche che si fanno carico di segnalare rientri sospetti. Sulla base di questi l’UIF mette in moto una segnalazione alla Guardia di Finanza e all’Autorità giudiziaria». Riepilogando, esiste un serio e funzionale sistema di controllo anti-riciclaggio che però ha delle fondamenta fragilissime: l’azione della UIF non può essere autonoma, dipende necessariamente dalle segnalazioni degli istituti bancari. Quante banche, in una situazione di mancanza endemica di liquidità, si dimostreranno così sensibili da segnalare alla Banca d’Italia dei depositi sospetti? «In alcuni paesi – continua Draghi – ma sarebbe opportuno farlo anche da noi, alla UIF è dato il potere di attivare la Guardia di Finanza e di fare ispezioni, così come fa la Consob in caso di insider trading». Un cambio nella normativa vigente sicuramente aiuterebbe il lavoro di monitoraggio da parte delle istituzioni preposte, così come una normativa che garantisca la tracciabilità dei capitali. Tuttavia ci sono segnali sicuramente preoccupanti, come denuncia Beppe Lumia, componente della Commissione Antimafia: «è emerso ancora una volta il grave problema dell’impossibilità da parte delle procure antimafia di accedere all’anagrafe tributaria, utile per indagare sui patrimoni dei boss». 
La garanzia dell’anonimato, non prevista in nessun altra operazione di rientro di capitali messa in piedi da altri governi, un controllo anti-riciclaggio “fragile”, l’impossibilità delle procure di accedere all’anagrafe tributaria, l’impossibilità di avere la tracciabilità dei capitali, rendono evidenti enormi dubbi sull’opportunità di un’opzione quale lo scudo fiscale. L’ingresso di un enorme flusso di denaro di provenienza illecita darà la possibilità a mafiosi e corrotti di allungare le mani su un’economia legale in anemica mancanza di liquidità. I soldi delle mafie e dei corrotti metteranno un’enorme ipoteca sulle possibilità di rinascita e sviluppo del nostro paese. «Perché il governo si ostina a imboccare – si domanda Lumia – una strada che, attraverso l’anonimato, consentirà a patrimoni di mafia di rientrare in Italia e inquinare l’economia legale»? Già, perche?

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