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«Armi rubate per la camorra»

Da il Tirreno il . Toscana

C’è la mano della camorra dietro al furto delle 7 pistole avvenuto nella sede della polizia municipale di Follonica
la notte tra il 23 e il 24 marzo 2007. La conferma arriva – secondo il
giudice – da alcune intercettazioni e da un telegramma inviato dagli
autori del colpo.
Tre le persone già condannate con l’accusa di
furto aggravato: l’ex vigilessa C.C., 33 anni, ora gli arresti
domiciliari e il suo fidanzato V. P., 23, rispettivamente a 5 anni e 8
mesi e 8 anni di carcere. Ha invece patteggiato 4 anni, F. A., 30 anni,
residente a Torre del Greco, considerato il collegamento tra il gruppo
follonichese e la malavita campana.
Cinque le persone coinvolte nell’inchiesta condotta dal pm Stefano
Pizza. Nella rete degli inquirenti sono finiti anche C.D’. 22 anni, e
C. F. .C, 33 anni, quest’ultimo ricercato in Germania. Il primo avrebbe
fatto da palo mentre il secondo si sarebbe tirato indietro a poche ore
dal colpo.
Nelle motivazioni firmate dal giudice Armando Mammone viene confermata
sia l’architettura che la ricostruzione del colpo e della consegna
delle armi da parte della C. e di . ad A. in un viaggio avvenuto il
primo di aprile 2008.
All’impianto accusatorio mancava però una domanda decisiva: il motivo.
Perché sottrarre sette pistole al comando dei vigili urbani? E
soprattutto chi fosse il mandante o comunque il destinatario di quelle
armi. Il giudice non ha dubbi.
«La cessione delle armi» scrive, è avvenuto «a soggetti appartenenti
alla criminalità organizzata». Questa ipotesi emerge sia dall’incontro
tra P. e A.un mese prima del furto, ma soprattutto da una conversazione
che A. effettua in carcere il 24 ottobre del 2008 parlando con il
compagno di cella. Nel dialogo spiega di essere stato arrestato «Per un
furto fatto a Follonica. Sai d’v’è Follonica? – dice – Dentro la Caserma dei vigili urbani, perché ci siamo rubati sette pistole». Una sorta di confessione.
Il giorno prima, sempre A., in un colloquio con suo zio fa l’ipotesi di
averle mantenute, ossia di aver conservato le armi, in cambio di un
regalo escludendo però di poter raccontare tutto agli inquirenti perché
avrebbero voluto sapere quei nomi. Chi sono gli altri nomi? Chi deve
proteggere? «In questo modo – risponde il giudice – ammette di avere
avuto la disponibilità delle armi e di averla persa cedendole a un clan
della camorra».
Il legame criminale tra P. e A. – secondo il gup – emerge anche in un
telegramma inviato il 15 settembre dal carcere di Pisa. Il destinatario
della missiva è il collega di A. a Torre del Greco al quale i due
carcerati chiedono aiuto e copertura. «Siamo a Pisa – scrivono e
l’avvocato per venire qui ha bisogno di soldi. Qui – vanno avanti – le
cose si mettono male perché stanno cercando di mettere in mezzo anche
altre persone. Ci servono il prima possibile 1.300 euro. Pensa –
concludono – che siamo in carcere anche per qualcun altro, non ci
lasciare soli».
Secondo il giudice A. e P. con queste frasi rassicurano il loro
contatto in Campania sul fatto che «avrebbero mantenuto il silenzio, ma
rappresentano la necessità di avere soldi per pagare gli avvocati e
rendere la permanenza in carcere meno dura».

da “il Tirreno” 21 – 07 -2009

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