Perché un ennesimo osservatorio
Il caso dei cronisti italiani minacciati, costretti a vivere sotto
scorta, a subire la censura o a rifugiarsi nell’autocensura ha una
estensione e una rilevanza che sfugge anche a molti giornalisti. La
mancata percezione della gravità del fenomeno è infatti uno degli
aspetti del problema: segnala l’esistenza di un retrovirus che infetta
l’informazione senza causare una linea di febbre, produce mutazioni
impensabili, resiste agli antibiotici. Bisogna studiarlo e cercare il
rimedio. Ecco perché nasce un ennesimo Osservatorio che si affianca a
quelli esistenti. Mi sono battuto perché nascesse con una iniziativa
congiunta della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti perché penso che gli
aspetti sindacali e deontologici convivono in queste vicende e quando
si separano i due aspetti la partita è persa in partenza. Ho cercato di
associare all’iniziativa anche la FIEG perché il problema si estende
anche sul terreno editoriale e non si può trascurare questo aspetto:
spero che maturino presto le condizioni per questo ulteriore
ampliamento delle forze in campo. Il problema dei cronisti sotto
scorta, come è ovvio, chiama in causa responsabilità politiche e delle
istituzioni che dovrebbero garantire più ampiamente il diritto dei
giornalisti di informare l’opinione pubblica senza rischi per la loro
incolumità. Non mancheremo di formulare proposte e richieste a questi
interlocutori. Vogliamo farlo sulla base di una precisa documentazione
e non in modo generico.
Vogliamo farlo senza mettere in
secondo piano il dovere di noi giornalisti di essere credibili
cominciando a fare fino in fondo la nostra parte per difendere il
lavoro corretto, il coraggio e la passione civile dei cronisti che
prendono il fuoco con le mani, che subiscono minacce inammissibili e
non sempre ottengono dai loro colleghi quella solidarietà piena che
sarebbe la scorta più efficace contro ogni tipo di rischio, quella che
è stata chiamata la scorta mediatica. Vogliamo sollecitare il mondo
giornalistico a verificare innanzi tutto se l’organizzazione delle
redazioni tiene conto della sicurezza personale dei cronisti. Sappiamo
che gli ostacoli non sono solo di ordine pratico. Sappiamo che su
queste questioni ci sono sensibilità diverse. Noi vogliamo offrire un
territorio neutro nel quale sviluppare una discussione rispettosa delle
posizioni di tutti, per giungere in definitiva a un chiarimento
all’interno della categoria sul modo di conciliare i principi
ispiratori della professione con una prassi di deroghe, di elasticità,
di compromessi che hanno una logica ma non possono essere senza limiti.
L’informazione giornalistica ha precisi caratteri organolettici che la
distinguono da altre forme di comunicazione. Se è ancora lecito far
passare per latte quello in cui è caduta qualche goccia di caffé,
quello che ne contiene di più, che prende un altro colore e un altro
sapore, è più onesto chiamarlo caffelatte.
Quando si
affrontano questi discorsi non si può nascondere né sottovalutare ciò
che non pochi giornalisti pensano e dicono, sia pure sottovoce: che
Lirio Abbate, Roberto Saviano, Pino Maniaci e tutti gli altri se la
sono cercata; che l’unico modo di evitare rischi consiste nel non
pubblicare certe notizie, cioè nell’accettare la censura come un dato
di fatto. Sono convinzioni sbagliate, non condivisibili, ma bisogna
misurarsi con esse, confrontarle con altre valutazioni, se si vogliono
fare passi avanti. Personalmente ho esposto il mio punto di vista il 28
novembre 2007 al congresso nazionale della FNSI, a Castellaneta Marina,
e lo ripropongo tale e quale:
“La
soluzione non può consistere nell’autocensura. Questo è un punto di
vista aberrante che respingo e che tutti insieme dobbiamo confutare,
perché infanga la memoria di tutti i giornalisti che in Italia sono
stati uccisi perché non hanno voluto rinunciare a fare onestamente e
fino in fondo il loro lavoro. Dobbiamo confutare questo modo di
ragionare perché nega la verità, perché nega un principio fondamentale
della nostra professione: quello dell’autonomia e dell’indipendenza di
giudizio del cronista. Spetta a noi giornalisti scegliere le notizie da
pubblicare, non spetta mai alle fonti della notizia, non spetta a chi
teme di essere danneggiato. Dobbiamo ribadirlo, dobbiamo far capire che
solo se agiremo sempre così, non esisteranno “notizie che uccidono”.
Esisteranno solo mafiosi, criminali, prepotenti che minacciano e sono
pronti ad uccidere per censurare notizie a loro sgradite, notizie che
secondo la nostra deontologia professionale sono uguali a tutte le
altre. Nel richiamare questi punti, chiedo che alla FNSI una attenzione
maggiore e un impegno continuativo per chiamare tutti i giornalisti a
discuterne, per offrire un forte sostegno a tutti i giornalisti che
entrano nel mirino. Sarebbe utile un convegno nazionale sulla cronaca
locale e le sue difficoltà, perché è nella cronaca locale che nascono
questi problemi. E’ nella cronaca locale che il giornalismo, giorno per
giorno, vince e perde la battaglia per far vivere le notizie a dispetto
di corporazioni e di interessi costituiti. E’ necessario parlare
pubblicamente di queste cose, fare chiarezza, diffondere nella società
la consapevolezza delle condizioni in cui si svolge il nostro lavoro.
Dobbiamo spazzare via gli equivoci e superare un senso di rassegnazione
che esiste, che va compreso, che può essere superato solo assumendo
iniziative in grado di alimentare il coraggio e la speranza. Dobbiamo
osservare il fenomeno in modo analitico. Perciò non possiamo
accontentarci di parlarne mentre siamo sballottati dall’onda
dell’emergenza e sopraffatti dall’emozione per il caso di un cronista
in pericolo. Dobbiamo discuterne a freddo. Solo così potremo scoprire
quale tremenda dinamica si innesca ogni volta che un cronista finisce
nei guai per aver maneggiato notizie scottanti, e in particolare quelle
ostili alla criminalità organizzata. E’ una dinamica che ho osservato e
che frena la solidarietà incondizionata necessaria in questi casi.
Dobbiamo capire cosa c’è dietro queste dinamiche e trovare gli
opportuni correttivi. Dunque facciamo insieme questa analisi. Diciamo
cosa dobbiamo fare noi e cosa dovrebbero fare altri soggetti: a
cominciare dagli editori e dal mondo della politica. Perché questo è un
problema che riguarda i giornalisti, ma non solo loro. La prima cosa
che dobbiamo fare è rompere il tabù che ci impedisce di dire questa
verità amara e tremenda”.
*consigliere nazionale della FNSI,
direttore di Ossigeno
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